Verso una nuova stagione di politica culturale
Autore/i:
Rubrica:
OPINIONI E CONVERSAZIONI
Articolo a cura di:
Pier Luigi Sacco
“E’ arrivato il momento di sperimentare un approccio radicalmente nuovo alle politiche culturali in una prospettiva di nuova, e anzi inedita, centralità. La recente convergenza di visione e di intenti tra grandi organismi sovranazionali come la Commissione Europea, l’OCSE e l’UNESCO, che punta in modo chiaro e deciso in questa direzione, costituisce allo stesso tempo un segnale eloquente ed incoraggiante”, considera il prof. PierLuigi Sacco a margine dello Speciale “Studi e ricerche” del Giornale delle Fondazioni di prossima pubblicazione. Continuare a confinarla della dimensione marginale dell’intrattenimento è miope di fronte alle sfide sociali più eclatanti per le quali è risorsa.
Quando la cultura viene considerata seriamente nelle agende della politica economica, si fa generalmente riferimento alla sua accezione socio-antropologica, un aspetto che peraltro riceve giustamente una grande attenzione in questo contesto storico in cui la ‘multiculturalità’ è una sfida che mette alla prova in fondo sostanziale i fondamenti stessi dell’ordine sociale e incide profondamente sulle logiche politiche della formazione e del mantenimento del consenso.
Anche la teoria economica manifesta una crescente apertura verso questa dimensione della cultura, sullo slancio di una crescente messe di risultati che mostra come diversi fattori di natura culturale abbiano giocato un ruolo di primo piano nel determinare dei fondamentali assetti socio-economici di lungo termine su temi come la cultura imprenditoriale, la capacità competitiva, la parità di genere e così via.
Analogamente, sta aumentando l’attenzione per la dimensione culturale della cura medica e per le prospettive della medicina interculturale. E tuttavia, questa attenzione crescente non si accompagna ad un analogo interesse per la cultura come forma intenzionale e specializzata di produzione del significato, ovvero per tutte le forme di espressione che siamo abituati ad associare al termine ‘cultura’ nella sua accezione più ristretta: il teatro, la musica, le arti visive, il design, il cinema, e così via.
L’interesse verso questa accezione più specifica e limitata della cultura sembra limitato dal fatto che tali forme di espressione vengono generalmente confinate nella dimensione dell’intrattenimento – un ambito di attività sicuramente importante e utile, ma allo stesso tempo marginale e anzi quasi contrapposto all’urgenza e spesso alla drammaticità insita nelle sfide sociali più eclatanti. Al più, l’interesse per la cultura in questa accezione ristretta sembra essere legato alla capacità di dimostrarne la rilevanza in quanto macro-settore dal peso economico significativo, non diversamente da quanto si argomenterebbe per qualunque altro settore di produzione – e già questa sarebbe una conquista visto che tuttora per molti il fatto che la cultura possa avere un peso economico significativo rimane per qualche ragione fonte di meraviglia.
E tuttavia questa visione riduttiva del ruolo della cultura nella sua accezione più ristretta nel contesto delle grandi sfide sociali è piuttosto miope e la ragione è la mancata capacità di comprendere quanto la produzione consapevole del significato, e l’accesso alle esperienze il cui unico scopo è appunto l’esperienza del significato, esercitino una influenza profonda su alcune delle dimensioni fondamentali del comportamento umano, e in particolare tanto della dimensione cognitiva che di quella emozionale che sono alla base di tali comportamenti.
Se si considera la cultura da questo punto di vista, si prende coscienza della sua notevole capacità di produrre cambiamenti comportamentali significativi, di modificare anche radicalmente la percezione e la categorizzazione sociale di una vasta gamma di fenomeni, di agire tanto sul piano delle motivazioni che su quello delle disposizioni con modalità spesso meno accessibili ad altri aspetti dell’esperienza umana. E di conseguenza, ciò fa sì che delle politiche culturali consapevoli di questa potenzialità e complessità possano contribuire al raggiungimento di determinati obiettivi di politica economica e sociale con modalità e meccanismi di azione diversi e in alcuni casi complementari a quelli di altri strumenti più consolidati.
La frequente assenza di una specifica presenza della cultura tanto nel quadro degli obiettivi che in quello degli strumenti delle politiche è quindi il segno di una arretratezza concettuale e metodologica che non può permanere, soprattutto in una fase nella quale molte delle sfide sociali più urgenti si prestano ad essere almeno parzialmente reinterpretate in una chiave ‘culturale’. Questo vale per il multiculturalismo e la coesione sociale (in cui le due dimensioni della cultura, quella allargata e quella più ristretta, interagiscono in modo complesso e sottile), per la sostenibilità socio-ambientale, per il benessere e la salute, ma anche per le nuove sfide della società della conoscenza e dell’intelligenza artificiale.
E’ arrivato il momento di sperimentare un approccio radicalmente nuovo alle politiche culturali in una prospettiva di nuova, e anzi inedita, centralità.
La recente convergenza di visione e di intenti tra grandi organismi sovranazionali come la Commissione Europea, l’OCSE e l’UNESCO, che punta in modo chiaro e deciso in questa direzione, costituisce allo stesso tempo un segnale eloquente ed incoraggiante.
Pier Luigi Sacco
Professor of Cultural Economics- IULM University
Special Adviser to the EU Commissioner for Education and Culture European Commission
Director, FBK-IRVAPP-Trento
Senior Researcher metaLAB (at) Harvard University-Cambridge-USA
Visiting Scholar Department of Romance Languages and Literatures- Harvard University