Verso un’industria «pensante»
Albert Einstein diceva: «temo il giorno in cui la tecnologia andrà oltre la nostra umanità: il mondo sarà popolato allora da una generazione di idioti». Preoccupazione legittima, perché immaginare nel futuro l’azzeramento del fattore umano è una prospettiva poco rassicurante che, come dice il geniale scienziato, lascerebbe poco spazio allo sviluppo del nostro intelletto. Diverso - e meno condivisibile, spiegherò perché - è invece l’allarme dei detrattori assoluti dell’intelligenza artificiale, che intravedono alle porte uno scenario dominato dalla totale sostituzione uomo-macchina e ipotizzano un irreversibile e tragico sacrificio dell’evoluzione dell’umanità sull’altare dell’automazione tecnologica.
Ma si tratta di una riflessione seria, che va condotta al netto di atteggiamenti apocalittici e strumentali come quelli che troppo spesso si diffondono in questo inizio di millennio.
La produzione industriale e i processi produttivi sono mutati profondamente, e la robotica sta già da tempo soppiantando mansioni che la catena di montaggio di stampo fordista attribuiva alla mano dell’uomo: vero. Ma che questo preluda alla marginalizzazione dell’intervento umano è un postulato forse suggestivo da una punto di vista letterario, ma privo di fondamento.
In realtà sul versante produttivo sono due i fenomeni in corso, che concorrono al medesimo effetto: 1. il manifatturiero si va trasformando nella direzione di una maggiore flessibilità della produzione e di una più ampia accessibilità anche da parte di imprese di piccole e medie dimensioni, proprio grazie alle possibilità offerte dall’innovazione dei processi; 2. Il settore dei servizi conosce una nuova espansione supportata dal moltiplicarsi degli strumenti e delle piattaforme a sua disposizione.
Nel frattempo la digitalizzazione ha messo mezzi di produzione a disposizione di tutti sotto forma di devices (come smartphone e tablet) costantemente connessi e in grado di produrre e accedere a contenuti in circolazione continua: nei prossimi anni miliardi di persone disporranno di strumenti per creare, partecipando direttamente all’economia e alla cultura globale.
Siamo immersi, di fatto, in un software culturale di cui stampanti 3D, droni, smartwatch sono strumento e che contribuisce a rendere l’industria sempre meno «pesante» e sempre più «pensante».
L'immateriale acquisisce concretezza, l’ingegno si trasforma in ingegneria. La rivoluzione culturale, di fatto, sta determinando una nuova rivoluzione industriale.
Pensiamo, a titolo di esempio, ad un oggetto che con una stampante 3D può essere moltiplicato «su misura» infinite volte e a costi bassissimi. Ciò che assumerà il massimo valore sarà il prototipo, ossia il prodotto dell’ingegno che lo ha creato. I robot che assisteranno la produzione non avranno più bisogno di sequenze meccaniche avviate da una mano per funzionare, ma piuttosto di idee per creare oggetti la cui produzione, grazie ai nuovi mezzi, non sarà più vincolata all’economia di scala.
È questo l’inizio della fine dell’Umanesimo? Tutt’altro. Questo è piuttosto il panorama ideale all’interno del quale riaffermare il ruolo dell’arte e della cultura per lo sviluppo.
Liberi dai vincoli del meccanicismo e dalle mansioni seriali, avremo a nostra disposizione una nuovo spazio per coltivare il talento, conoscere e praticare l’arte e la cultura. Accade già: Google acquista contenuti – oggetto di una nuova «corsa all’oro» - e intanto costruisce anche automobili che si guidano da sole. Il cui design, però, è realizzato un team di umani di talento, non da macchine intelligenti.
Proprio attorno alle possibilità di accesso ai contenuti offerte da tecnologie abilitanti, costruiremo una nuova cittadinanza fondata sul sapere, attorno alla quale ruoteranno la politica e le forme democratiche del futuro, in nuovi ed evoluti simposi ed agorà.
A questo dovremo preparare le future generazioni attraverso sistemi educativi ibridi e trasversali, sul modello «singularitiano» (la Singularity University di Seattle che ha abolito di fatto le discipline settoriali) di approccio multidisciplinare e olistico che massimizzi l’empowerment delle capacità di collegamento e di sintesi tra i contenuti: sarà l'epoca del «culture mining», dove il sapere del passato sarà indispensabile per elaborare quello del futuro.
La governance degli strumenti tecnologici sarà affidata a nuove e più complesse intelligenze, in grado di attingere a tutte le sorgenti del sapere superando il dualismo tra tecnica e umanesimo e facendo della creatività la massima espressione della conoscenza. Intelligenze, possiamo starne certi, tutte umane.
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