TIC- temporanee identità collettive nel circuito della produzione artistica
SPECIALE HANGAR LAB. Una considerazione critica sul dibattito intorno al mantra dell’audience development ed engagement. Gli autori si interrogano se non sia più importante del processo definitorio « l'urgenza, generata dal perdurare degli effetti della crisi - economica, sociale, politica -di creare e custodire spazi di incontro tra realtà che ormai percorrono troppo spesso circuiti autoreferenziali che raramente si intersecano ». La Fondazione Piemonte dal Vivo, con l’esperienza della Lavanderia a Vapore e quella del Vignale Monferrato Festival, ha indagato questo “senso comune” aprendo un dialogo diretto con il territorio. E il dubbio sugli esiti estetici dei progetti di partecipazione «Lasciamo che l'artista sia artista. Abbiamo bisogno che l'arte sia di valore perché generi valore. La relazione tra arte e società fondata sull'inclusione del pubblico nel processo artistico, quali che siano le modalità di selezione dei partecipanti e le finalità dichiarate, troppo spesso chiude un occhio sugli aspetti estetici del lavoro finale»
Abbiamo bisogno di semplicità, tutti. Di ritrovare un linguaggio comune che trascenda le specificità di un dato contesto socio-culturale. Di non avere intermediari, di sentirci capaci di decidere se partecipare o non partecipare a un’esperienza collettiva, a una pratica culturale, a un evento artistico. E di ritornare alle domande semplici – sempre che la domanda di senso sia una domanda semplice - e con queste inaugurare un dialogo che sappia realizzare spazi in cui dare significato all’incontro tra soggetti che si ritrovano a condividere usi, gesti, emozioni.
Le istituzioni artistiche contemporanee in questi ultimi anni stanno cercando nuove relazioni con la società, spesso attraverso meccanismi che si richiamano alle formule, tra il tecnicistico e l’esoterico, di audience development e audience engagement. Molto tempo si dedica alla loro definizione e a riflettere teoricamente sulle loro diverse implicazioni. Ci chiediamo se sia opportuno. Se non sia troppo presto per cercare delle definizioni. Se ciò che è definito/ivo corrisponda davvero all'urgenza e all’intima precarietà del momento storico che stiamo vivendo. Non è forse necessario in questo momento lasciare che il potenziale di un contesto si esprima nella sua magmatica complessità ed evitare di costruire specchi dentro i quali si può perdere il senso delle priorità?
Il perdurare degli effetti della crisi - economica, sociale, politica - porta con sé l'urgenza di creare e custodire spazi di incontro tra realtà che ormai percorrono troppo spesso circuiti autoreferenziali che raramente si intersecano. La coesione sociale ai tempi della moltitudine (Virno, 2014), dopo una lunga stagione di affermazione delle spinte soggettivistiche, è la sfida che la cultura e l’arte devono raccogliere, cercando di creare le condizioni perché questi circuiti autoreferenziali si rompano incontrandosi e scontrandosi.
La Fondazione Piemonte dal Vivo, con l’esperienza della Lavanderia a Vapore e quella del Vignale Monferrato Festival, ha indagato questo “senso comune” aprendo un dialogo diretto con il territorio. Nel tempo molti sono stati gli interlocutori di questo confronto: cittadini, associazioni, istituzioni pubbliche. Insegnanti di scuole di danza, rappresentanti di associazioni locali, imprenditori culturali, curatori e docenti universitari hanno contribuito a sviluppare un dialogo alla Lavanderia a Vapore intorno ad un interrogativo condiviso: come può lo spazio in cui si sperimentano pratiche – culturali ma non solo - diventare davvero un ‘luogo’, espace vécu, per dirla con Lefebvre (1974)?
A Vignale albergatori, ristoratori, commercianti, associazioni di promozione locale e istituzioni pubbliche si sono raccolti attorno ad un interrogativo più “utilitaristico”: come può un evento culturale essere opportunità di sviluppo economico, sociale e culturale per un territorio?
Tutte queste persone sono state interpellate senza chiedere necessariamente loro una risposta immediata né, tantomeno, fornirne loro una preconfezionata. Questi incontri hanno però consentito di migliorare la conoscenza del territorio e di comprenderlo come un insieme di risorse, competenze e spazi disponibili (e mancanti). Un processo di conoscenza del contesto perennemente in atto, che non pretende di essere esaustivo ma fonda le proprie deboli certezze sulla consapevolezza del limite dell'azione intrapresa.
Avere la consapevolezza di quali siano questi elementi - reali e potenziali - in un territorio consente di valutare plurime possibilità di relazione tra arte e società e di uscire dalla convinzione che l'unica relazione possibile sia quella fondata sull'illusione del cittadino di essere artista, protagonista assoluto della scena.
Lasciamo che l'artista sia artista. Abbiamo bisogno che l'arte sia di valore perché generi valore.
La relazione tra arte e società fondata sull'inclusione del pubblico nel processo artistico, quali che siano le modalità di selezione dei partecipanti e le finalità dichiarate, troppo spesso chiude un occhio sugli aspetti estetici del lavoro finale. La dimensione estetica è quella caratteristica che consente al prodotto artistico di uscire dal particolarismo dell'esperienza singola per approdare all'universalità dei contenuti. Se manca questa dimensione il valore prodotto dall'azione è limitato alla partecipazione che, come tale, è oggi pericolosamente permeata di retorica e strumentalizzata dal potere. Se invece la dimensione estetica del contenuto è prodotto da un/a professionista, l'arte in questo caso è degna di essere strumento per eccellenza di comunicazione della contemporaneità, funzione che può organizzare le risorse materiali e immateriali - luoghi, conoscenze e oggetti/strumenti - di un territorio per la realizzazione di un prodotto artistico e per la creazione di valore – non solo monetario – per il sistema locale.
Se quindi il territorio viene letto come un insieme di risorse, competenze e luoghi, il progetto artistico e l'idea che ne è alla base possono essere intesi come nodi dai quale si diramano infinite possibilità di relazione, interdisciplinari e intersettoriali, con le realtà locali, che alla portano alla rappresentazione di un prodotto che s’inscrive in un orizzonte di senso condiviso.
La relazione tra arte e società in quest’ottica si può quindi dispiegare sotto molteplici profili: realizzare l’offerta artistica in luoghi non convenzionalmente deputati alla cultura (supermercati, carceri, scuole…); sviluppare contenuti e forme espressive del progetto artistico confrontandosi con la comunità scientifica o con qualsiasi altra comunità portatrice di conoscenza relativa al contenuto o alla forma scelta (Hopper-Greenhill 2000); concepire un progetto capace di esprimersi utilizzando anche risorse disponibili nel territorio.
Su queste premesse si strutturano le temporanee identità collettive (TIC), raggruppamenti temporanei di comunità differenti (Maffesoli 1988) intorno ad un pre-testo artistico. In questo modo l'arte ritorna al centro del dibattito sociale e si pone come occasione di incontro tra realtà sociali differenti.
Seguendo questa logica la Lavanderia a Vapore di Collegno è riuscita a coinvolgere il territorio di Collegno e non solo. Ogni spettacolo, ogni progetto di residenza coreografica è stato considerato per i contenuti veicolati e per le forma di comunicazione scelte (media coinvolti: danza, musica video…), punto da cui si sono irradiate molteplici possibilità di relazione con il contesto sociale, culturale ed economico che in molti casi sono state anche uno strumento efficace di conoscenza del territorio di riferimento.
Allo stesso modo, per il Vignale Monferrato Festival l’analisi del contesto e dei progetti artistici ospitati ha reso possibile l’ideazione e la realizzazione del “Progetto Paese della danza”, risultato di una interazione dinamica tra offerta artistica, culturale e territorio (Broccenti e Pronti, 1988).
Entrambi gli approcci hanno portato eccellenti risultati in termini di partecipazione.
In questa prospettiva le azioni di coinvolgimento del pubblico non hanno ragione di esistere, perché venire a teatro diventa una conseguenza di naturale di un processo condiviso. Bisogna forse smettere di considerare il pubblico come una entità monolitica, ma vederlo piuttosto come un insieme di risorse, spazi, competenze con cui il sistema dell'arte deve entrare in relazione lasciando fuori dalla porta l'illusione narcisistica del protagonismo dei singoli.
Al di là dei risultati quantitativi raggiunti, pensiamo sia importante concludere questi cicli di azioni con delle domande semplici: una volta conclusi gli eventi o le stagioni, che cosa resta nel quotidiano di questa esperienza? Quali meccanismi di autorganizzazione stabili e duraturi sono stati attivati nel sistema locale? Domande a cui le comunità che hanno partecipato dovrebbero essere chiamate a rispondere. Ciascuna con il proprio contributo, per restituire una visione d'insieme costruttiva dell'operato complessivo.
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Bibliografia
Broccenti L. e Ponti S.(1998), Il museo tra istituzione e azienda, Milano, il Sole 24 ore.
Hopper-Greenhill E. (2000), Nuovi valori, nuove voci, nuove narrative: l’evoluzione dei modelli comunicativi nei musei d’arte, (da Simona Bodo (a cura di) Il museo relazionale. Riflessioni ed esperienze europee, Torino, Edizioni Fondazione Giovanni Agnelli.
Lefebvre H. (1974), La construction de l’espace, Paris, Anthropos.
Maffesoli M. (1988), Les temps de tribus, le decline de l'individualisme dans les sociétès de masse, Paris, Librairie des Meridiens.
Virno P. (2014), Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee, Roma, DeriveApprodi.
Mara Loro è esperta in indagine e sviluppo delle identità collettive.
Con una duplice formazione artistica ed economica, dal 2001 studia le relazioni tra arte e economia e sperimenta, in differenti contesti socio culturali, le componenti di un metodo innovativo, di creazione e produzione artistico-teatrale multimediale (Modello Hypertopia, Loro M., Sica L, Zitoun G), presentato e discusso in ambito accademico. Opera sul territorio nazionale progettando, attraverso il linguaggio dell’arte e della cultura nelle sue forme più varie - arti visive, musica, teatro, letteratura, architettura, filosofia, sociologia, antropologia, psicologia - occasioni di riflessione interdisciplinare partecipata su problematiche sociali contemporanee tra cui immigrazione, mondo del lavoro, sicurezza, legalità, emarginazione.
lavora come Community Manager per la Fondazione Piemonte dal Vivo.
Carlo Salone, professore all’Università di Torino, all’Université Paris-Est Créteil e all’Université Lyon 2-Lumière, dirige il Master internazionale ITC-ILO “World Heritage and Cultural Project for Development” presso la Turin School of Development
Si è occupato di politiche territoriali europee, sviluppo regionale e nuovo regionalismo e, più di recente, del ruolo della cultura e dell’arte nei processi di rigenerazione urbana e di place-making, argomenti su cui ha pubblicato monografie e articoli anche su riviste internazionali.