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Speciale Russia

  • Pubblicato il: 14/12/2012 - 09:56
Autore/i: 
Rubrica: 
NOTIZIE
Articolo a cura di: 
Georgina Adams
Roman Abramovic e la sua compagna

L’esodo del decennio Putin
Mosca sul Tamigi
A Londra e dintorni oggi vivono mezzo milione di russi

L’emigrazione russa si è svolta a ondate. Una delle maggiori è stata nel 1917, dopo la Rivoluzione bolscevica, ma la più grande è in corso. Tra il 2001 e il 2011, secondo il Servizio federale russo per le migrazioni, più di 1,25 milioni di persone sono partite, e queste sono solo le cifre ufficiali registrate. La cifra reale è di certo assai più elevata perché comprende quanti hanno mantenuto la cittadinanza russa o un’abitazione nel Paese. L’«esodo del decennio di Putin», come viene talvolta definito, è diretto principalmente verso il Regno Unito. Si stima che a Londra e nei suoi dintorni risiedano circa mezzo milione di russi e il ritmo di immigrazione si è particolarmente accresciuto nel corso degli ultimi sei mesi, secondo il finanziere e collezionista d’arte residente a Londra Igor Tsukanov. «Praticamente non c’è settimana senza che io riceva la telefonata di qualcuno in Russia che vuole trasferirsi a Londra, rivela. Le ultime elezioni sono state una mazzata psicologica». La crescita vertiginosa della corruzione, il bavaglio all’opposizione e la mancanza di qualsiasi tentativo di modernizzare l’economia, oltre alla sensazione di correre pericoli fisici, hanno spinto molti super ricchi a gettare la spugna, o almeno a mandare all’estero mogli e figli.

I russi preferiscono Londra a New York
Oggi Londra è la scelta preferita di molti emigranti russi, a differenza degli anni Settanta, quando la meta era Israele, o New York negli anni Ottanta. «Per svariati motivi: una combinazione di buone scuole, buone infrastrutture, un regime fiscale favorevole, il facile accesso all’Europa e il fatto che chi viene qui ha già dei contatti», spiega Nonna Materkova, che ha fondato Calvert 22, il primo spazio artistico non profit che promuove nella capitale britannica arte russa, delle ex repubbliche sovietiche e dell’Europa dell’Est. La situazione geografica è importante, aggiunge Gary Krimershmoys, un consulente d’arte proprietario di una galleria a New York: «Molti dei recenti immigrati sono in affari; hanno bisogno di poter tornare a Mosca, che è a meno di quattro ore di volo da Londra». Considerato che New York non è più l’obiettivo di molti emigranti, Sotheby’s ha deciso di non tenervi più le sue aste annuali di arte russa, mentre continueranno le vendite di arti decorative russe, che hanno una base di collezionisti più internazionale.

Non sono ancora grandi filantropi
Se l’arrivo degli espatriati russi in Occidente è stata una manna per gli agenti immobiliari di alto livello, i costruttori di yacht e i negozi di beni di lusso, anche la arti ne hanno beneficiato, ma in gran parte indirettamente, attraverso il coinvolgimento dei russi nel mercato. Coinvolgimento che però nel caso della filantropia è più lento. «Generalizzando, e ovviamente ci sono delle eccezioni, i russi non considerano la filantropia alla stessa stregua degli occidentali, sostiene Krimershmoys. Se si fanno delle donazioni spesso è per ragioni commerciali o politiche». Esempi: si dice che il miliardario della Gazprom Alisher Usmanov nel  2007 abbia pagato 25 milioni di sterline per la collezione Rostropovich, appena prima che andasse all’asta da Sotheby’s Londra, ora conservata nel Palazzo di Costantino a San Pietroburgo, la città natale di Putin. Nel 2002 il magnate minerario Vladimir Potanin ha donato al Museo dell’Ermitage «Quadrato nero» di Malevic (1915). Anche quando sono in parte o del tutto residenti fuori dalla Russia, alcuni dei suoi più ricchi cittadini continuano a sostenere musei nel Paese d’origine. È il caso del miliardario dell’alluminio Oleg Deripaska, che sovvenziona l’Ermitage, e di Leonid Mikhelson, la cui società del gas Novatek ha sponsorizzato mostre fuori Mosca. La mostra sui Preraffaelliti attualmente in corso alla Tate Britain nella sua tappa al Museo Puskin (giugno 2013) sarà sponsorizzata da Usmanov. Un fundraiser di un’organizzazione culturale non profit che lavora con i russi afferma: «Sostanzialmente i poteri forti della Russia dicono agli oligarchi quali musei debbano sostenere, e loro lo fanno». E, continua: «Molti russi non vogliono che si sappia che stanno finanziando la cultura inglese. I russi sono un po’ come i mediorientali. Quando arrivano qui, ci vuole un po’ prima che si ambientino e la smettano di spendere come dei pazzi per delle sciocchezze». «È vero, riconosce Tsukanov, che i russi sono stati molto lenti nel sostenere la cultura, ma adesso la cosa sta prendendo piede, e va ricordato che in patria non avevano esperienze di questo tipo».

Grandi compratori di blue-chip...
Quanto al mercato dell’arte, si sa che l’impatto del collezionismo russo è molto forte, ma non è facile venire a conoscenza delle transazioni più significative. Al di là dei numeri, gli specialisti delle case d’asta ammettono, in via confidenziale, che gli acquisti dei russi sono considerevoli e in crescita, ma sulle cifre restano decisamente abbottonati. Alcuni elementi si possono cogliere durante le aste, quando gli acquisti vengono fatti da personale di lingua russa. Il recente prezzo record di 21,3 milioni di sterline da Sotheby’s Londra per «Abstraktes Bild (804-9)» di Richter, 1994, è stato offerto da Natasha Mendelsohn di Sotheby’s, quindi molto probabilmente per un cliente russo. Gli acquisti russi sono stati particolarmente forti nel settori moderno e impressionista: due opere che si pensa siano andate a compratori russi sono «La Lecture» diPicasso, 1932, venduto per 25,2 milioni di sterline da Sotheby’s Londra nel febbraio 2011, e «Les Cariatides» di Delvaux, 1946, che a maggio 2011 ha realizzato 9 milioni di dollari da Sotheby’s New York.

...ma non di arte contemporanea russa
Gli acquisti d’arte dei russi non hanno seguito la normale trafila del collezionismo dei mercati emergenti, che dall’arte dell’Ottocento passa all’arte contemporanea nazionale, per proseguire poi coi nomi internazionali. Quando i russi hanno cominciato a collezionare, intorno al 2000, le vendite di dipinti russi da Sotheby’s ammontavano a 6 milioni di dollari l’anno, mentre nel 2007 quel totale era esploso a 151,5 milioni di dollari. Il 2007 è stato l’anno in cui artisti dell’Ottocento come Aivazovsky sono stati battuti a cifre stratosferiche, in un caso a 2,7 milioni di sterline. Dal picco del 2007 le vendite russe si sono significativamente contratte, con i totali in ribasso e le percentuali di riacquisto in rialzo. Il capodipartimento di Sotheby’s Jo Vickery descrive il mercato come «stabile, ma non ai livelli del 2007», e spiega che: «Sempre più collezionisti russi si sono buttati avidamente su altri settori». Questo esodo, insieme allo scarso interesse dei compratori russi nei confronti dell’arte contemporanea di casa loro, è stato un duro colpo per il mercato. A Mosca le gallerie languono; molte chiudono o si trasformano in spazi non profit. Nel distretto artistico Winzavod dall’inizio di quest’anno gallerie di punta come AidanMarat GuelmanXL hanno cominciato a spostarsi verso un modello essenzialmente non commerciale. Il museo Art4U, fondato nel 2006 dal collezionista Igor Markin, ora apre solo su appuntamento. La Fabbrica di cioccolato Ottobre Rosso, in precedenza utilizzata dalla collezionista Maria Baibakova e dalla Gagosian Gallery come spazio per l’arte contemporanea, ospita adesso perlopiù uffici di agenzie pubblicitarie e caffè alla moda. Allora come si spiega la mancanza di interesse per l’arte contemporanea russa? «È una domanda che mi sento fare spesso, dice Igor Tsukanov. Tutti credono che l’arte contemporanea sia sostenuta da giovani professionisti intorno ai 35 anni, ma questi non sanno nemmeno dove andranno a vivere. Vogliono solo mandare i figli in scuole inglesi; non hanno nessuna voglia di collezionare». «In realtà è la storia di due élite, osserva Sergei Skaterschikov, fondatore della Skate’s Art Market Research. La generazione tra i 40 e i 50 anni che la fortuna se l’è costruita con le proprie mani ha scelto di tenere un basso profilo, ricordando la macchina dell’oppressione. Molti, comunque, sono andati a Londra. La nuova élite ha un retroterra culturale limitato e si attiene alle direttive e alle regole del partito, che non è un grande sostenitore della creazione contemporanea». A esacerbare ulteriormente la situazione è stato il clamore suscitato dalle Pussy Riot e dalle sentenze di carcerazione imposte a due delle componenti del collettivo punk-rock. Un caso che ha demoralizzato Skaterschikov, e con lui tante altre persone intervistate per questo articolo: «Pussy Riot ha suscitato una consapevolezza molto forte del potere dell’arte contemporanea, ma poi quel che è successo dopo è stato invece un chiaro messaggio del Governo circa i suoi limiti». Non tutti, comunque, sono depressi come Skaterschikov. Nonna Materkova cita come un fatto positivo, che aiuterà a diffondere la conoscenza dell’arte contemporanea russa, il nuovo comitato istituito alla Tate per acquisire opere d’arte russa, dell’Europa dell’Est e delle ex repubbliche sovietiche. «I russi hanno bisogno di integrarsi meglio nel mondo dell’arte internazionale, dice. Stiamo quindi espandendo i nostri programmi educativi, lavorando con le Università di San Pietroburgo e di Edimburgo. Ma vedo un grande interesse da parte dei giovani».


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da Il Giornale dell'Arte numero 326, dicembre 2012