Più cultura per costruire una società più giusta
Bologna. Si è tenuto ieri nella cornice della Sala dei Poeti di Scienze Politiche dell’ateneo bolognese, l’incontro «Cultura e giustizia sociale. Investire sul sapere per costruire il futuro», organizzato dalla Fondazione Unipolis nell’ambito del progetto «culturability - la responsabilità della cultura per una società sostenibile» e promosso in collaborazione con l’Università di Bologna.
Ospite illustre, l’etnologo e antropologo francese Marc Augè che, con la sua lectio magistralis, ha ripercorso la fisionomia della sua idea di surmodernitè: una società caratterizzata dal restringimento dello spazio, dall’accelerazione del tempo e dall’individualizzazione dei destini.
La malattia della nostra società, ha spiegato Augè, sta nell'ideologia dell'immanenza del presente, un’ideologia che dobbiamo scardinare ripensando il nostro tempo, riappropriandoci dei nostri tempi sospesi, contrastando il condizionamento che l’attuale modello socio-economico esercita sul nostro movimento nei luoghi e nei non-luoghi, sulla capacità di relazionarci all’altro e di proiettarci nel futuro.
Centrale, nel suo discorso, il riferimento all’antropologia della solitudine. «Nella società globale esistono tre classi: gli oligarchi, i consumatori e gli esclusi, che sviluppano il sentimento di non contare nulla per gli altri. In Francia, abbiamo 4,8 milioni di esclusi, con un incremento del 20% negli ultimi due anni». Il senso di isolamento è, comunque, trasversale, se si considera che «un numero crescente di francesi ha relazioni emotive solo con i colleghi di lavoro».
Secondo l’antropologo, la disuguaglianza sociale genera un’ambiguità che impedisce lo sviluppo umano. Esso può essere riconquistato attraverso la riappropriazione del tempo – superando il mito dell’eterno presente –, osservando il rituale – «ciò che ci dà l’idea del futuro, come l’arte che ci fa sentire il sentimento di un nuovo possibile» – e rilanciando l’istruzione nel suo senso più ampio, cioè attraverso la «rivoluzione dell’utopia dell’educazione, che ha valore nella misura in cui è condivisa da tutti».
Quest’ultimo punto è il fulcro del dibattito dichiarato negli intenti: se si vuole combattere l’ingiustizia sociale, è necessario investire sulla cultura per moltiplicare le occasioni di conoscenza e crescita intellettuale per le persone – di tutte le fasce di reddito e di tutti i gradi di scolarizzazione.
Perché, come ricorda Walter Dondi – direttore della Fondazione Unipolis –, se è ormai assodato che la cultura rappresenta una leva fondamentale dello sviluppo sociale, rendendola più integrata, coesa e aperta al cambiamento, «esiste un’aristocrazia del sapere: oltre alle disuguaglianze economiche, l’accesso alla cultura non è equo».
L’occasione, quindi, è quella giusta per presentare la prossima linea d’intervento della fondazione che, a gennaio 2013, lancerà il piano strategico d’incentivazione all’impresa culturale con finalità sociali. Pochissimi i dettagli forniti, ma è stato dichiarato che sarà favorita l’espansione dell’assetto giuridico della cooperativa: per ragioni istituzionali del Gruppo Unipol – che è cooperativo –, ma anche formali, perché più di altri la cooperativa è un sistema organizzativo in grado di supportare i valori della collaborazione e dell’uguaglianza.
Un programma che può intervenire strutturalmente a riportare al centro quel processo di osmosi delle tre dimensioni dell’uomo che Augè ha dichiarato essenziale: l'uomo come individuo cosciente, l’uomo come attore culturale, l’uomo come componente dell’umanità.
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