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MACRO – scopico

  • Pubblicato il: 09/03/2012 - 14:28
Autore/i: 
Rubrica: 
FONDAZIONI E ARTE CONTEMPORANEA
Articolo a cura di: 
Santa Nastro
Bartolomeo Pietromarchi

C’è una nuova direzione al Macro di Roma. La notizia non è della prima ora, senz’altro, mentre recenti sono le notizie circa le direttive con cui Bartolomeo Pietromarchi ha deciso di condurre il suo museo. Andiamo con ordine. Si apre intanto il 16 marzo con un’infornata di appuntamenti che lasciano intravedere una pluralità di scelte e orientamenti, di punti di vista e di tagli con cui pensare «l’oggetto mostra». Ad esempio, mentre alla «Pelanda» fino al 29 aprile c’è una personale di Steven McCurry il quale, ancora oggi, ci guarda con gli occhi di una bambina iraniana di molto tempo fa e ci innamora, negli spazi di Via Nizza succede di tutto. Si entra sotto una grande installazione, fatta di plastic bags (questo il titolo), disegnata dall’artista camerunense Pascale-Marthine Tayou (presto al museo con una personale), ma si incontrano gli interventi di Christian Jankowski, con il suo irreverente «Casting Jesus», Miltos Manetas, Mircea Cantor, Marcello Maloberti. Importante appuntamento con il recentemente (e tragicamente) scomparso Vettor Pisani, cui il museo dedica un omaggio a cura del bravo e preparato Stefano Chiodi e con una collezione privata di ampio respiro (internazionale), la Berlingieri. Non manca, infine, l’apertura degli studi degli artisti in residenza. Vale a dire: giovani artisti, artisti italiani, midcareer, internazionali. Pubblico e privato. Artisti e collezionisti. Studiosi e curatori. Ovvero, l’intero ventaglio di soggetti che compongono il mondo dell’arte contemporanea nel suo insieme. Ma le novità non finiscono qui. Come suggerisce lo stesso Pietromarchi, il museo non deve essere un corpo estraneo nello spazio urbano, ma un luogo presente nella vita della città. Un organismo vitale e pulsante in cui lo spettatore vive, non necessariamente per andare a vedere una mostra. Ci passa attraverso, grazie all’apertura giornaliera del transito che collega via Nizza con Via Reggio Emilia, e magari in questo piccolo tragitto, di pochi minuti, incontra un artista di vent’anni e ne scopre le opere, si ferma a bere un caffè al bar, il suo bambino scappa via, attratto da un laboratorio creativo, oppure egli stesso è calamitato, da un’installazione cui non avrebbe mai pensato. Magari, mandando una mail, grazie alla wifi per tutti, così come funziona all’estero. Ed è così che nascono le idee, scoprendo qualcosa di inaspettato e cominciando, giorno dopo giorno, a percepire il luogo pubblico come «proprio». Facendo sì che una mostra non sia solo un divertissement, ma (finalmente) un momento collettivo di «civiltà».
 
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