Luigi Bonotto
«Mi spiace, ma al momento la collezione è un po’ sguarnita»: esordisce così Luigi Bonotto, durante la visita che si snoda lungo il percorso della fabbrica di tessuti di cui è proprietario, a Molvena, un paese poco distante da Bassano del Grappa (Vicenza). In un ufficio uno dei suoi «ritratti», ovvero un assemblaggio dei suoi oggetti quotidiani, dai colori sgargianti, un’installazione di Milan Knizak; in una saletta un totem di Nam June Paik davanti a una parete di opere di Ben Vautier; tra i telai gli scatoloni con i 250 manifesti di Joseph Beuys; in una vetrina un sasso e due fossili raccolti da George Brecht, con la scritta «annullato». Non c’è angolo o parete che non esibisca un quadro, un manifesto o un video, frammisti ai telai, in una commistione di arte e vita quanto mai consona alla poetica di Fluxus, di cui Bonotto è uno dei collezionisti più importanti a livello europeo. Per questo, nella ricorrenza del cinquantesimo dalla nascita ufficiale del movimento a Wiesbaden (Germania) nel 1962, le opere della sua collezione sono in giro per il mondo: ad esempio, a Reggio Emilia, dove sino al 24 febbraio, a Palazzo Magnani, è aperta la mostra «Women in Fluxus & Other Experimental Tales» (cfr. «Il Giornale dell’Arte» n. 325, nov. ’12, p. 34) dedicata alle donne, per iniziativa di Rosanna Chiessi, sua amica dagli anni Ottanta; a Ginevra, dove il 19 dicembre, al Musée Ariana, si apre la mostra curata da Adelina von Fürstenberg dedicata al «Food» (fino al 24 febbraio, cfr. box nella pagina a fianco) per la quale è già in partenza una confezione di sei bottiglie di vino rosso, rigorosamente biologico, prodotte da Beuys. Accanto alla fabbrica, quella che era la sua abitazione (ora Bonotto vive a Bassano) e dove dalla fine degli anni Settanta il collezionista ospita gli artisti: Fluxus, ma non solo perché il 60% della sua collezione si riferisce alla poesia concreta e visiva.
Signor Bonotto, come mai il suo interesse per Fluxus iniziò vent’anni dopo la nascita del movimento?
Quando lo permisero i proventi della mia fabbrica. Nel Veneto, ad Asolo, c’era stato un precedente con Francesco Conz, che considero il mio maestro. Purtroppo alla sua morte la sua opera è andata dispersa. Per questo ho deciso di archiviare tutto e di mettere tutto online, a disposizione di tutti. Come già avviene, in via sperimentale, nella mostra di Reggio Emilia.
Quante sono le voci?
Impossibile fare un conto esatto. Però sono circa 5mila schede, ogni scheda contiene in media 20 opere tra video, brani musicali, documenti, manifesti, interviste, quadri e sculture. Una prova? Per la scheda di John Cage mezz’ora va anche stretta.
I suoi figli sostengono che dopo il suo incontro con Fluxus la sua mente si è «disgregata».
Però aggiungono: «Per fortuna». Una delle conseguenze è che abbandonai la mia attività di artista. Ero stato allievo di Vedova, ma ho capito che non potevo sostenere il paragone con un Duchamp o un Beuys.
Come si è svolta la sua formazione?
Tramite la passione di mio padre Giovanni per l’arte. Mi fece conoscere Giotto e Michelangelo. Nei suoi viaggi d’affari in Europa frequentava i musei e mi riferiva delle sue scoperte. Prediligeva gli impressionisti.
Come sono i suoi rapporti con gli artisti ?
Di amicizia con Giuseppe Chiari e Gianni Emilio Simonetti, che tuttora mi comunica il suo entusiasmo per telefono (due loro spartiti sono presenti alla mostra del Novecento a Bassano, Ndr). Quanto a Georges Maciunas, che non ho mai incontrato, era soprattutto un impresario. Il vero artista era George Brecht, che si isolò nella Foresta Nera ed è del tutto ignorato. Spero sia presto riscoperto.
Che cosa ci dice di Yoko Ono?
Gentile, orientale, furba, intelligente, amica, negli anni Sessanta, degli artisti più importanti di New York. Non solo di Fluxus anche della Pop art. Senza di lei John Lennon sarebbe stato un provinciale. Nel 2009, quando ricevette dalla Biennale il Leone d’Oro alla carriera, Yoko soggiornò a Malvena per una settimana. Facemmo dei manifesti con la scritta «Dream», diffusi in tutta Italia.
Un consiglio per i collezionisti?
Meglio comprare una casa. Altrimenti c’è rischio di sbagliare al 90%.
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