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La civiltà nuragica all’asta

  • Pubblicato il: 15/07/2015 - 15:25
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Articolo a cura di: 
Manlio Lilli

La recente vendita  presso una casa d’aste londinese di alcuni bronzetti nuragici ha riacceso il dibattito su un tema irrisolto. Il traffico, spesso illecito, di materiali archeologici sardi. Il loro approdo nei cataloghi delle case d’asta europee e americane senza la possibilità di alcun intervento diretto da parte delle istituzioni. Il rischio che mentre si discute sul da farsi un patrimonio di materiali differenti vada disperso, sembra reale. Tra molte incertezze, un punto fermo. L’intervento sempre più frequente di fondazioni ed imprese non solo nel salvataggio di opere d’arte, ma anche nella tutela e valorizzazioni di contesti archeologici

 
«Stop alla vendita all’asta a Londra dei bronzetti nuragici! Sono anni che vediamo che preziosissimi reperti archeologici dell’età nuragica vengono fatti oggetto di traffici illecito e persino venduti all’asta», è il titolo di una petizione online su charge.org diretta al Ministro Franceschini (https://www.change.org/p/petizione-al-ministro-dario-franceschini-per-fe...). Il motivo, chiaro. Riportare a casa l’ennesimo nucleo di materiali nuragici finiti all’asta in una delle tante case europee. Non solo. Tentare di porre fine a questa consuetudine. Poco prima della fine del mese di giugno, sono stati reclamizzati dalla casa d’aste londinese Emax nove bronzetti, datati tra il IX e il VI secolo a. C., con prezzi che variavano da poche centinaia a quasi diecimila euro per ciascun reperto. Sulla questione il deputato di Unidos Mauro Pili ha presentato un’interrogazione urgente ai Ministri Franceschini e Gentiloni (http://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=4/09633&ramo=CAMERA&leg=17). Non solo. Ha scritto all’ambasciata londinese a Roma, convinto che «L'amministrazione britannica non può consentire questo sfregio alla cultura e alla storia della nostra isola. I sardi si attendono una risposta urgente e risolutiva da parte del Regno Unito». Ha perfino twittato alla Regina Elisabetta #QueenElizabeth, please return the Nuragic bronzes to Sardinia. Alla fine la risposta non è arrivata da nessuna delle istituzioni sollecitate ma dalla Fondazione di partecipazione Nurnet - La rete dei Nuraghi- e il gruppo Facebook "Archeologia della Sardegna". Sono stati loro ad acquistare quattro bronzetti, grazie al contributo di soci e privati cittadini, e riportati nell'Isola.  Con l’idea di donare i bronzetti acquistati a un piccolo Comune sardo allo scopo di tutelare e valorizzare le piccole realtà «che nel corso di questi anni sono state dimenticate e abbandonate dalle istituzioni».  A sentire Marco Minoja, Soprintendente per i Beni archeologici della Sardegna, il Mibact, attraverso la struttura da lui presieduta, avrebbe agito su più fronti. « … abbiamo chiesto alla società che vendeva la collezione e alla casa d’aste di sospendere la vendita in attesa delle verifiche, abbiamo anche domandato il certificato di proprietà degli oggetti ma non abbiamo avuto risposta. Allo stesso tempo abbiamo messo in moto i nostri contatti libanesi per capire se questa collezione, appartenente a un cittadino del Libano, era detenuta legalmente. …», lo sfogo del Soprintendente.
Provenienza e autenticità sono infatti i temi sui quali si è dibattuto, sia nelle fasi precedenti che in quelli successive all’asta londinese.  «Sicuramente sono reperti sardi finiti nelle mani di collezionisti libanesi», a detta di Nicola Manca, presidente di Nurnet. Ma la questione sembra tutt’altro che risolta. Le certezze di Manca contraddette dai dubbi di Minoja, secondo cui «Purtroppo di questa collezione esistono solo le immagini sul web e posso dire solo che esiste un ragionevole dubbio che potrebbe trattarsi di oggetti contraffatti». La diatriba a distanza tra il Presidente di Nurnet e il Soprintendente archeologo rischia però di rendere marginale il problema di fondo di questa vicenda. La presenza quasi ininterrotta di testimonianze nuragiche nelle case d’asta europee e americane.
Nel 2012 era stata la galleria Royal Athena a riproporre sul suo sito la vendita di sei straordinari materiali nuragici, forniti di descrizione di autenticità (http://www.royalathena.com/PAGES/SardinianIberianCatalog/SardinianIberia...).  I prezzi compresi tra i 37.500 dollari del “Prehistoric Nuraghiam”, datato tra il IX e l’VIII secolo a. C., e i 6.500 dollari del “Sardinian bronze ox”, dell’VIII secolo a. C. L’anno precedente la stessa casa d’aste aveva in catalogo un altro bronzetto nuragico, raffigurante un arciere, in vendita a 25.000 dollari.
Nel dicembre 2013 un’indagine dei carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio culturale di Sassari ha permesso di sgominare un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di reperti archeologici tra la Sardegna, la Corsica e alcune regioni della penisola. Il valore dei materiali archeologici, tra i quali navicelle bronzee di epoca nuragica, intorno al milione e mezzo di euro. L’area di estrazione la “Valle dei nuraghi”, una vasta area del sassarese nella quale sono presenti i resti di oltre trenta nuraghi e di dieci tombe di giganti. L’indagine era partita nel 2012, facendo ricerche su un traffico di sostanze stupefacenti. Insomma la vendita all’asta dei bronzetti sempre più si connota come l’esito di più complesse e ramificate operazioni. Nelle quali il traffico di materiale archeologico è solo uno degli aspetti. Forse neppure quello che movimenta più risorse. Proprio per questo la sensazione è che la questione rimarrà pressoché irrisolta finché le azioni non saranno pensate a più largo raggio. Per sconfiggere l’idra, è stato sufficiente l’impegno di Ercole. Per rendere inoffensiva la macchina criminale che muove traffici non sempre chiari di materiali archeologici, non bastano eroi, ma una seria controffensiva. Organizzata.
Tra molte incertezze, almeno un punto fermo. Il salvataggio operato da Nurnet (http://www.nurnet.it/it/609/Chi_Siamo.html), tutt’altro che un caso isolato nel difficile panorama sardo nel quale Fondazioni ed imprese continuano a svolgere un ruolo importante. La civiltà nuragica al centro di un unico progetto, nel quale tutela e valorizzazione sono termini differenti di un’unica  questione. E’ quindi merito di diverse organizzazioni di diritto privato senza scopo di lucro se aree archeologiche, collezioni, parti di territorio hanno potuto essere conservate, continuando ad essere Patrimonio comune. Così non solo Nurnet, «Fondazione di Partecipazione …  con lo scopo di “promuovere un’immagine diversa della Sardegna nel mondo e da ciò generare economia turistica con tutti gli effetti benefici collaterali di filiera». Ma anche  la Fondazione Barumini sistema cultura che si occupa della gestione dei beni culturali nel territorio di Barumini e la Fondazione Banco di Sardegna, alla quale recentemente si deve il finanziamento per alcuni interventi all’area del Nuraghe Sirai, nel comune di Carbonia. Senza contare la Fondazione Promotea, attiva nel territorio del Marghine, ed alcuni mesi fa promotrice della realizzazione di un percorso per disabili visivi nel complesso archeologico di Macomer (http://www.unionesarda.it/articolo/cronaca_sardegna/2015/05/10/macomer_l...).
Una regione dalle grandi potenzialità, in parte considerevole ancora inespresse, avrebbe l’occasione di mostrarsi aldilà delle sue bellezze marine. Mettendo in mostra le testimonianze delle civiltà nuragica, dopo aver evitato che il patrimonio materiale sia assottigliato da traffici illeciti.
 

 
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