Il gioco dell’industria in cinquanta oggetti
Negli spazi dell’ex fabbrica di Lambrate della Bracco, Mostrami Factory@via Folli 50.0, voluto dalla Fondazione Bracco, in occasione di Expo in città, va in scena la mostra «Il gioco dell’industria» promossa da Museimpresa. Ne parliamo con la curatrice, Francesca Molteni, che racconta come costruire un’inedita storia del Made in Italy giocando con 50 oggetti simbolici conservati negli archivi e musei d’impresa
La mostra «Il grande gioco dell’industria. 50 + 1 oggetti che hanno fatto la storia dell’impresa italiana» parte da un assunto preciso. Gli oggetti parlano. Basta saperli interrogare e ascoltare. Per la loro natura industriale sono tutti oggetti a portata di mano. Vicini e contigui al nostro vivere quotidiano. Sono presenze che hanno segnato e segnano, in maniera vistosa, o silenziosa, il nostro paesaggio visivo ed esperienziale. Proprio per questa ragione la loro storia si presta ad essere evocata con parole, immagini, e video, anche in assenza del prodotto. Non è un caso che la mostra sia la prosecuzione ideale di storie di carta, comparse nelle pagine del Domenicale del Sole 24 Ore, raccolte da Francesca Molteni, curatrice della mostra, nella rubrica «Oggetti d’impresa», partendo da una sollecitazione di Museimpresa, l’associazione italiana di archivi e musei d’impresa.
Proseguendo nella via tracciata da «I Oggetti d’Impresa, che aveva inaugurato la sezione con il racconto della spoletta volante inventata nel 1733 da Jhon Kay, vero e proprio simbolo della Rivoluzione industriale, anche in mostra “The Flying Shuttle” è il punto di avvio, o il pretesto, il + 1, da cui parte la narrazione dei 50 oggetti. “La sfida, afferma Francesca Molteni, è stata di chiedere ai curatori di archivi e musei d’impresa di scegliere un oggetto icona rappresentativo della propria storia industriale.Il più innovativo, il più venduto o il più curioso, un simbolo, esattamente come la spoletta di Kay, per dare vita a un percorso per immagini che dal 1733 arriva ai nostri giorni. Un percorso che, rifacendosi al gioco dell’oca, ripercorre la storia dell’impresa italiana in 50 oggetti sulla scia tracciata nel 2009 dal direttore del British Museum, Neil MacGregor, nel volume «La storia del mondo in 100 oggetti». Un gioco che non ha nulla a che fare con la rievocazione nostalgica di oggetti che per la loro natura d’uso non sono cimeli, ma figli dell’industria, espressione degli imprenditori, di un progresso tecnologico, di manovalanze, in grado di plasmare l’immaginario di una nazione. Un racconto che volutamente parla a un pubblico allargato e trasversale che ha l’occasione di scoprire cosa sta dietro a oggetti spesso ancora in produzione. In mostra ci sono anche degli indovinelli, la cui soluzione si trova nei pannelli disposti a ferro di cavallo in cui si snoda l’esposizione, prevalentemente grafica e fotografica con un allestimento leggero ideato da ma:design e Franco Raggi.”
Di molti degli oggetti in mostra, conosciamo la genesi, l’autore, la carta d’identità del prodotto, che spesso è metefora perfetta dell’operare aziendale, in cui la parte sta per il tutto. La vespa per la Piaggio, il sandalo invisibile per Salvatore Ferragamo, la sedia Ghost per la Kartell. In altri casi, è invece tutto da scoprire che cosa “la parte” (il dettaglio, l’ingranaggio), rivela del corpo aziendale. Come accade con il Dinoplex, componente industriale per l’accensione delle auto che, montato inizialmente sulla Ferrari, è diventato accessorio comune che ha contribuito alla fortuna della Magneti Marelli. O pituttosto con la bassina, caldaia funzionale al confezionamento dei confetti Meucci, o ancora con la storia del flumicil della Zambon, raccontata attraverso l’innovativo packaging. Non mancano oggetti simbolo della comunicazione italiana, come la blu box della pasta Barilla che, oltre alla storia della grafica con il contributo di Erberto Carboni racconta di un cambio di abitudini nei consumi italiani, attraverso l’adozione di una confezione moderna come alternativa alla vendita della pasta sfusa. O il racconto di idee che si trasformano in riuscite trovate pubblicitarie, come il bicchiere del Branca Menta, la cui forma scolpita si ispira direttamente agli igloo. La lista di oggetti è lunga: dalla caffettiera Alessi di Aldo Rossi al cucciolo della Ducati, al Cinturato della Pirelli. Tutte insieme queste storie formano un ritratto inedito dell’impresa italiana che attende nuovi sguardi per comporre memoria, tradizione e innovazione in un racconto capace di parlare a tutti. A volte, però, bisogna andare a caccia dell’invisibile, di storie meno note che producono rivoluzioni che passano inosservate. Come è accaduto con la molecola di Iopamidolo, frutto della ricerca Bracco, che ha rivoluzionato la diagnostica per immagini, rivelando un lato inedito della storia della medicina che si è sviluppato proprio nella sede industriale dove oggi si tiene la mostra, in via Folli 50, a Lambrate.
In questo caso, la storia del prodotto si unisce alla storia del luogo produttivo, il cui riuso culturale dell’ex fabbrica, portato avanti dalla Fondazione Bracco, apre ancora una volta nuove prospettive sulla cultura d’impresa e sulle forme contemporanee con cui le aziende scelgono di rappresentarsi.
© Riproduzione riservata