Focus Montagna XXI secolo - La nuova vita delle Alpi friulane. La parola a Luciano Gallo
Autore/i:
Rubrica:
PAESAGGI
Articolo a cura di:
Antonio De Rossi
A decorrere dal 1 gennaio 2016, la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia ha dato avvio a un vasto processo di riorganizzazione delle autonomie locali, che ha portato alla soppressione delle Province e a «forme obbligatorie di esercizio associato di funzioni comunali». Le nuove Unioni Territoriali Intercomunali (UTI) sono caratterizzate da un’ampia condivisione delle funzioni e competenze locali, ponendo le premesse per forti progettualità di sviluppo a base territoriale. Abbiamo intervistato su questi temi Luciano Gallo, direttore dell’UTI delle Valli e delle Dolomiti Friulane, che ci ha raccontato gli ambiziosi progetti di questo territorio poco conosciuto e storicamente fragile, ma segnato oggi da dinamismo e innovazione.
Girovagando tra le pieghe di un Paese in perenne transizione, dove i disegni di riforma sovente restano interrotti e talvolta arretrano, può capitare di incontrare delle situazioni inaspettate, dove si sperimentano nuove prospettive di sviluppo locale. L’Unione Territoriale Intercomunale delle Valli e delle Dolomiti Friulane (VDF), collocata sul lato occidentale dello spazio regionale al confine col Veneto e a sud della Carnia, raggruppa 22 comuni per un totale di 36.000 abitanti e 1.148 kmq di superficie. La prima cosa che colpisce è la scelta – quasi olivettiana – di mettere insieme i centri urbani dell’alta pianura dei Magredi e i rilievi interni della bellissima Valcellina che si spinge fino a Vajont e a Erto e Casso, evitando la consueta riserva indiana della montagna.
Ma a colpire è soprattutto il vasto progetto di condivisione di competenze e progettualità, con una visione integrata di sviluppo locale che scardina la tradizionale strutturazione per settorialità, con investimenti comuni dell’ordine dei 30 milioni di Euro che attraversano temi molteplici, dalla cultura al turismo, dalla pianificazione territoriale ai servizi scolastici, dall’energia ai finanziamenti europei. Non quindi la consueta unione dei comuni volta alla mera gestione dei servizi, ma un organismo capace di innovazione che costruisce collettivamente progetti di futuro.
Direttore Luciano Gallo, come è stato possibile superare il tradizionale localismo nazionale e giungere a questa forma di governance fortemente condivisa?
La svolta decisiva ha avuto luogo quando il sindaco di Maniago, realtà di 12.000 abitanti in un contesto di piccoli comuni, ha proposto il criterio “una testa un voto”, e non il peso del voto in proporzione al numero di abitanti. Questo ha creato immediatamente un clima di fiducia reciproca. La fiducia, “da te mi aspetto bene”, è il primo requisito per poter lavorare insieme. E un altro momento decisivo è stato l’incontro che abbiamo chiamato “La carica dei 101”, svoltosi l’8 aprile 2017 a Malnisio di Montereale Valcellina, quando 270 opinion leader distribuiti in 20 tavoli di lavoro hanno discusso e generato idee.
Ma prima di tutto vi è la consapevolezza diffuso che il modello di sviluppo che ci ha accompagnato in questi anni non funziona più. Un vecchio edificio che sta perdendo pezzi un po’ da tutte le parti, e in cui i territori fragili come le nostre montagne stanno soffrendo molto. Questo è il tempo dove le forme e i sistemi del passato si stanno destrutturando per andare ad assumere nuove strutturazioni, nuove geometrie, nuove configurazioni territoriali più adatte all’ambiente e al paesaggio in cui insistono. Per questo abbiamo bisogno di una visione condivisa di territorio, altrimenti la trappola mortale del localismo ci schiaccia nelle stesse forme, negli stessi confini senza riuscire a transitare verso il domani.
Siamo consapevoli che nell’attuale fase storica i territori sono tornati, dopo un lungo periodo di ibernazione, ad occupare un ruolo di primo piano nello sviluppo del progresso sociale, economico, culturale, istituzionale dell’intero Paese. La globalizzazione ha fatto “risorgere” l’importanza della dimensione locale. Oggi sono i territori i luoghi privilegiati dove sperimentare il nuovo. È dai territori che provengono i più significativi impulsi allo sviluppo.
Quello che colpisce della vostra esperienza è la capacità, a partire dalle possibilità inscritte nella legge regionale, di costruire una visione di sviluppo che integra tutti i diversi fronti, e dove ad esempio i progetti culturali e per il paesaggio si intrecciano con l’economia locale e con una riconcettualizzazione del telaio infrastrutturale costituito dal nuovo asse ferroviario Sacile–Gemona e dal parallelo percorso ciclabile FVG3. Come siete riusciti a superare la tradizionale visione per settorialità a comparti stagni, che insieme al localismo rappresenta uno dei grandi limiti della contemporaneità italiana? E quali sono i principali asset del vostro progetto di sviluppo locale?
Siamo convinti che per generare sviluppo locale vanno assicurate tre dimensioni: promuovere il modello dell’amministrazione condivisa; essere consapevoli che il destino delle imprese è legato a quello del proprio territorio; essere consapevoli che l’amicizia civile (il capitale sociale) è motore di sviluppo.
In merito all’amministrazione condivisa, la nostra idea è che l’Unione non sia altra cosa rispetto ai Comuni. L’UTI nasce perché, per alcune funzioni e per alcuni servizi comunali, solo insieme si possono raggiungere livelli di efficienza ed efficacia amministrativa adeguati per affrontare le sfide dello sviluppo territoriale. Due sono le strade che stiamo percorrendo per la competitività e il benessere del territorio e dei suoi cittadini: la costruzione dell’Unione Territoriale Intercomunale delle VDF «Alleanza tra Comuni per la buona amministrazione», con l’associazione di funzioni e servizi comunali per assicurare livelli di maggiore efficienza ed efficacia amministrativa necessari per lo sviluppo delle VDF; la costruzione del Tavolo dell’Alleanza per lo Sviluppo delle VDF «Alleanza tra le diverse espressioni della società civile, dell’economia e delle istituzioni» per disegnare e costruire insieme il cammino dello sviluppo.
Secondo, il destino delle imprese è oggi legato a quello del loro territorio. Se un territorio “fallisce”, falliscono anche le imprese che in quel territorio operano e viceversa. È il territorio che funge da attrattore per le attività economiche. È il territorio che deve essere in grado di riacquistare la propria capacità di innovazione rimasta così a lungo assopita, durante la stagione della società industriale.
Terzo, l’amicizia civile è prerequisito indispensabile per affrontare la sfida dello sviluppo perché permette di ri-trovare la speranza di un domani possibile e il coraggio di iniziare il cammino superandone le difficoltà. Quando l’Io diventa Noi, acquista una validità vigorosa e diventa capace di innescare la trasformazione. Dire che il capitale sociale è motore di sviluppo comporta la consapevolezza che il territorio è il luogo privilegiato per creare capitale sociale, che sviluppo umano e sviluppo urbano sono inscindibili. Lo sviluppo delle persone è un processo che trasforma i nostri paesi. Bisogna essere consapevoli che un welfare all’altezza delle sfide chiede l’interazione di tutta la società, e non solo della PA.
Gli attori principali di questo processo sono i sindaci, insieme alle rappresentanze istituzionali, economiche e sociali del territorio. La loro missione è dimostrare che è possibile stare insieme e dare vita ad un movimento di amicizia civile capace di coltivare le virtù civiche del rispetto, della collaborazione, della condivisione, della cooperazione tra persone con idee e appartenenze anche diverse. Fiducia che determina speranza. Sentire insieme che il futuro non fa paura, che dal domani ci si aspetta bene. Penso sia così importante, per lo sviluppo del territorio, far crescere l’amicizia civile, che la capacità di riconoscerla ed alimentarla sarà il principale criterio di selezione della nuova classe dirigente.
Un nodo che mi sembra decisivo della vostra esperienza è l’attenzione dedicata all’informazione e alla condivisione con le comunità locali. Avete ad esempio creato un corposo periodico che viene inviato alle 17.000 famiglie dell’UTI e che descrive con modalità giornalistiche e non burocratiche tutti i progetti in corso.
Sì, l’esperienza dell’“Eco delle Valli e delle Dolomiti Friulane” è molto importante. Tutta la comunità deve essere costantemente informata delle progettualità in corso, adottando forme di comunicazione appropriate. Un progetto condiviso di sviluppo che deve passare per l’economia della montagna e dei Magredi, per l’intelligenza manuale di questi luoghi, per una storia identitaria originale ed unica, per la capacità di avere uno sguardo lungo su ciò che ci viene incontro. Una visione sul domani, un’apertura, una speranza, con la determinazione di fare oggi un passo per costruirla.
© Riproduzione riservata
Antonio De Rossi è professore ordinario di progettazione architettonica, direttore dell’Istituto di Architettura Montana e coordinatore del dottorato in Architettura Storia Progetto presso il Politecnico di Torino. Tra il 2005 e il 2014 è stato vicedirettore dell’Urban Center Metropolitano di Torino. È autore di diversi progetti, e con i due volumi «La costruzione delle Alpi» (Donzelli, 2014 e 2016) ha vinto i premi Mario Rigoni Stern e Acqui Storia.
Ma a colpire è soprattutto il vasto progetto di condivisione di competenze e progettualità, con una visione integrata di sviluppo locale che scardina la tradizionale strutturazione per settorialità, con investimenti comuni dell’ordine dei 30 milioni di Euro che attraversano temi molteplici, dalla cultura al turismo, dalla pianificazione territoriale ai servizi scolastici, dall’energia ai finanziamenti europei. Non quindi la consueta unione dei comuni volta alla mera gestione dei servizi, ma un organismo capace di innovazione che costruisce collettivamente progetti di futuro.
Direttore Luciano Gallo, come è stato possibile superare il tradizionale localismo nazionale e giungere a questa forma di governance fortemente condivisa?
La svolta decisiva ha avuto luogo quando il sindaco di Maniago, realtà di 12.000 abitanti in un contesto di piccoli comuni, ha proposto il criterio “una testa un voto”, e non il peso del voto in proporzione al numero di abitanti. Questo ha creato immediatamente un clima di fiducia reciproca. La fiducia, “da te mi aspetto bene”, è il primo requisito per poter lavorare insieme. E un altro momento decisivo è stato l’incontro che abbiamo chiamato “La carica dei 101”, svoltosi l’8 aprile 2017 a Malnisio di Montereale Valcellina, quando 270 opinion leader distribuiti in 20 tavoli di lavoro hanno discusso e generato idee.
Ma prima di tutto vi è la consapevolezza diffuso che il modello di sviluppo che ci ha accompagnato in questi anni non funziona più. Un vecchio edificio che sta perdendo pezzi un po’ da tutte le parti, e in cui i territori fragili come le nostre montagne stanno soffrendo molto. Questo è il tempo dove le forme e i sistemi del passato si stanno destrutturando per andare ad assumere nuove strutturazioni, nuove geometrie, nuove configurazioni territoriali più adatte all’ambiente e al paesaggio in cui insistono. Per questo abbiamo bisogno di una visione condivisa di territorio, altrimenti la trappola mortale del localismo ci schiaccia nelle stesse forme, negli stessi confini senza riuscire a transitare verso il domani.
Siamo consapevoli che nell’attuale fase storica i territori sono tornati, dopo un lungo periodo di ibernazione, ad occupare un ruolo di primo piano nello sviluppo del progresso sociale, economico, culturale, istituzionale dell’intero Paese. La globalizzazione ha fatto “risorgere” l’importanza della dimensione locale. Oggi sono i territori i luoghi privilegiati dove sperimentare il nuovo. È dai territori che provengono i più significativi impulsi allo sviluppo.
Quello che colpisce della vostra esperienza è la capacità, a partire dalle possibilità inscritte nella legge regionale, di costruire una visione di sviluppo che integra tutti i diversi fronti, e dove ad esempio i progetti culturali e per il paesaggio si intrecciano con l’economia locale e con una riconcettualizzazione del telaio infrastrutturale costituito dal nuovo asse ferroviario Sacile–Gemona e dal parallelo percorso ciclabile FVG3. Come siete riusciti a superare la tradizionale visione per settorialità a comparti stagni, che insieme al localismo rappresenta uno dei grandi limiti della contemporaneità italiana? E quali sono i principali asset del vostro progetto di sviluppo locale?
Siamo convinti che per generare sviluppo locale vanno assicurate tre dimensioni: promuovere il modello dell’amministrazione condivisa; essere consapevoli che il destino delle imprese è legato a quello del proprio territorio; essere consapevoli che l’amicizia civile (il capitale sociale) è motore di sviluppo.
In merito all’amministrazione condivisa, la nostra idea è che l’Unione non sia altra cosa rispetto ai Comuni. L’UTI nasce perché, per alcune funzioni e per alcuni servizi comunali, solo insieme si possono raggiungere livelli di efficienza ed efficacia amministrativa adeguati per affrontare le sfide dello sviluppo territoriale. Due sono le strade che stiamo percorrendo per la competitività e il benessere del territorio e dei suoi cittadini: la costruzione dell’Unione Territoriale Intercomunale delle VDF «Alleanza tra Comuni per la buona amministrazione», con l’associazione di funzioni e servizi comunali per assicurare livelli di maggiore efficienza ed efficacia amministrativa necessari per lo sviluppo delle VDF; la costruzione del Tavolo dell’Alleanza per lo Sviluppo delle VDF «Alleanza tra le diverse espressioni della società civile, dell’economia e delle istituzioni» per disegnare e costruire insieme il cammino dello sviluppo.
Secondo, il destino delle imprese è oggi legato a quello del loro territorio. Se un territorio “fallisce”, falliscono anche le imprese che in quel territorio operano e viceversa. È il territorio che funge da attrattore per le attività economiche. È il territorio che deve essere in grado di riacquistare la propria capacità di innovazione rimasta così a lungo assopita, durante la stagione della società industriale.
Terzo, l’amicizia civile è prerequisito indispensabile per affrontare la sfida dello sviluppo perché permette di ri-trovare la speranza di un domani possibile e il coraggio di iniziare il cammino superandone le difficoltà. Quando l’Io diventa Noi, acquista una validità vigorosa e diventa capace di innescare la trasformazione. Dire che il capitale sociale è motore di sviluppo comporta la consapevolezza che il territorio è il luogo privilegiato per creare capitale sociale, che sviluppo umano e sviluppo urbano sono inscindibili. Lo sviluppo delle persone è un processo che trasforma i nostri paesi. Bisogna essere consapevoli che un welfare all’altezza delle sfide chiede l’interazione di tutta la società, e non solo della PA.
Gli attori principali di questo processo sono i sindaci, insieme alle rappresentanze istituzionali, economiche e sociali del territorio. La loro missione è dimostrare che è possibile stare insieme e dare vita ad un movimento di amicizia civile capace di coltivare le virtù civiche del rispetto, della collaborazione, della condivisione, della cooperazione tra persone con idee e appartenenze anche diverse. Fiducia che determina speranza. Sentire insieme che il futuro non fa paura, che dal domani ci si aspetta bene. Penso sia così importante, per lo sviluppo del territorio, far crescere l’amicizia civile, che la capacità di riconoscerla ed alimentarla sarà il principale criterio di selezione della nuova classe dirigente.
Un nodo che mi sembra decisivo della vostra esperienza è l’attenzione dedicata all’informazione e alla condivisione con le comunità locali. Avete ad esempio creato un corposo periodico che viene inviato alle 17.000 famiglie dell’UTI e che descrive con modalità giornalistiche e non burocratiche tutti i progetti in corso.
Sì, l’esperienza dell’“Eco delle Valli e delle Dolomiti Friulane” è molto importante. Tutta la comunità deve essere costantemente informata delle progettualità in corso, adottando forme di comunicazione appropriate. Un progetto condiviso di sviluppo che deve passare per l’economia della montagna e dei Magredi, per l’intelligenza manuale di questi luoghi, per una storia identitaria originale ed unica, per la capacità di avere uno sguardo lungo su ciò che ci viene incontro. Una visione sul domani, un’apertura, una speranza, con la determinazione di fare oggi un passo per costruirla.
© Riproduzione riservata
Antonio De Rossi è professore ordinario di progettazione architettonica, direttore dell’Istituto di Architettura Montana e coordinatore del dottorato in Architettura Storia Progetto presso il Politecnico di Torino. Tra il 2005 e il 2014 è stato vicedirettore dell’Urban Center Metropolitano di Torino. È autore di diversi progetti, e con i due volumi «La costruzione delle Alpi» (Donzelli, 2014 e 2016) ha vinto i premi Mario Rigoni Stern e Acqui Storia.
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