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Come e da dove nasce il progetto kilowart?
Kilowart è la sezione di arti visive di Kilowatt Festival, rassegna dedicata alla scena contemporanea che si tiene ogni estate a Sansepolcro, in provincia di Arezzo. Il focus principale del Festival è il teatro, ma sono numerosi gli sconfinamenti e le interazioni con ambiti quali musica e letteratura. L’idea di organizzare una manifestazione aperta alle contaminazioni e alla diversità di linguaggi espressivi nasce proprio dalla volontà di voler restituire la complessità e le molteplicità dei codici adottati da chi si trova a operare oggi nell’ambito dello spettacolo e delle produzioni artistico-culturali. Nel 2014 Kilowatt giungerà alla XII edizione: dimostrazione di un festival che ha saputo dare continuità alla propria azione, ottenendo per questo importanti riconoscimenti, su tutti il Premio Ubu 2010, che può essere considerato l’«Oscar» del teatro italiano.
Per Kilowart avete lanciato un bando. In che cosa consiste, a chi è rivolto, quali sono le modalità di partecipazione?
Dopo quattro edizioni nelle quali era il curatore a selezionare direttamente gli artisti da invitare (tra gli altri, Filippo Berta nel 2012 e Maria Teresa Zingarello nel 2013), abbiamo pensato di invertire la rotta: nasce da qua l’idea di un bando aperto ad artisti italiani under 35 per la realizzazione di un progetto che indaghi il contesto di Sansepolcro – facendo riferimento alla sua memoria storica, alla conformazione urbana, ai problemi e alle opportunità del contesto odierno –, da sviluppare nel corso di una residenza di due mesi, culminante nel periodo del Festival (18-26 luglio). Aspetto saliente del bando Kilowart è inoltre la modalità di selezione dell’artista vincitore: sarà infatti un gruppo di dieci cittadini di Sansepolcro e dintorni, insieme a un addetto ai lavori (la curatrice e critica d’arte Ilaria Gianni, direttore artistico della Nomas Foundation di Roma) e altre due figure più «istituzionali» (il direttore del Festival, Luca Ricci, e un membro dell'Istituzione Biblioteca Museo di Sansepolcro) a decidere quale progetto realizzare tra quelli raccolti attraverso il bando. L'idea è quella di creare un momento di confronto e scambio tra esperti e non, con l'obiettivo di giungere alla scelta di un progetto che sia il più possibile condiviso. L’artista avrà a disposizione due mesi di residenza a Sansepolcro per sviluppare la propria idea, collaborando con il contesto, osservandolo, interagendo con esso. Abbiamo ricevuto oltre trenta progetti; il vincitore sarà proclamato entro la prima settimana di maggio. Il bando Kilowart è stato selezionato dalla Regione Toscana nell’ambito di «Toscanaincontemporanea 2013» e può contare per questo su un piccolo ma prezioso contributo, ottenuto in collaborazione con il progetto «Incontri al Museo», a cura di Ilaria Margutti, grazie al quale una serie di artisti è chiamata a presentare il proprio percorso artistico alla cittadinanza. Il bando Kilowart vede inoltre la collaborazione attiva della Fondazione Piero della Francesca, che ospiterà gli incontri del comitato di selezione; si tratta di una partecipazione alla quale teniamo molto, visto che Piero della Francesca costituisce una presenza eternamente «contemporanea». L’artista selezionato sarà sicuramente contento di conoscere da vicino alcune delle opere più importanti del grande maestro del Rinascimento.
Il bando Kilowart nasce sulla scia dell’esperienza Nouveaux Commandataires[1]. Chi sono i committenti? Questa modalità viene considerata un modello? Perché? Ha dei punti di criticità?
«Nouveaux Commanditaires» (Nuovi Committenti) è stato senz’altro una delle fonti di ispirazione nell’ideazione del bando. Questo programma, infatti, prevede che artisti e comunità lavorino a stretto contatto alla realizzazione di opere d’arte destinate allo spazio pubblico, con la mediazione di un curatore. Mi piaceva l’idea di proporre anche a Sansepolcro – anche se con risorse imparagonabili – una piattaforma di progettazione artistica in cui parte della comunità di Sansepolcro fosse soggetto attivo, consapevole e responsabile fin dalle primissime battute. Gli artisti, spesso, non sono abituati al confronto con la «realtà»: il risultato è una frattura pienamente percepibile tra società e mondo dell’arte, basti pensare al senso di inadeguatezza che talvolta coglie le persone nel momento in cui entrano in un museo d’arte contemporanea. Con il bando Kilowart vorremmo che il contesto cittadino, anche nei suoi aspetti più quotidiani, fosse al centro non solo dell’osservazione dell’artista, ma anche della sua azione, parafrasando il critico Christian Caliandro. Naturalmente un progetto del genere presenta delle criticità: che rapporto si instaurerà tra la «commissione popolare» e l’addetto ai lavori, chiamati a scegliere insieme? Riusciranno a trovare un punto di incontro tra i rispettivi criteri di giudizio? È un rischio, ma credo valga la pena operare in questa direzione: sono convinto che possa essere un’occasione di crescita per tutte le parti chiamate in causa, a partire dagli artisti. In questa contesto, vorrei ritagliarmi un ruolo da mediatore, piuttosto che da curatore (fermo restando che seguirò da vicino tutta la produzione del progetto nei due mesi di residenza).
Sempre più spesso i metodi tradizionali di lettura del territorio risultano inadeguati per rivelarne la complessità. In che modo l’arte e la creatività possono contribuire a esplorare e conoscere il territorio, trasformare lo spazio pubblico e «fare città» creando spazi sociali e relazionali?
Credo che l’arte possa favorire l’incontro tra un territorio – la sua storia, i suoi spazi pubblici – e chi lo vive. L’importante è che ciò avvenga sempre attraverso una «forma» – l’opera – capace di dare una visione non convenzionale di un dato contesto. Se l’artista non crea immagini in grado di far compiere uno scarto rispetto a ciò che vediamo e pensiamo quotidianamente, magari proprio a partire dal nostro vissuto di tutti i giorni, allora ritengo che si parli di qualcosa di diverso dall’arte.
Oggi c’è forse un abuso del termine «partecipazione», ma anche di «arte pubblica». Quali sono i nodi irrisolti nel fare arte nello spazio pubblico?
Non penso sia sufficiente definire «pubblica» un’opera per il semplice fatto di trovarsi in uno spazio accessibile alle persone. L’arte pubblica dovrebbe tentare di dare un’interpretazione del contesto nel quale si inserisce; un’interpretazione magari non condivisa, ma comunque capace di suscitare riflessioni, provocare dibattito. Ci sono tanti esempi di opere collocate nello spazio pubblico con una finalità puramente «decorativa»: per carità, non fanno male a nessuno, ma al tempo stesso non credo lascino un segno. A quel punto, forse, meglio lasciare gli spazi delle città così come sono, senza aggiungere altro.
Quali problematicità dovrebbero essere teorizzate sull’argomento?
Credo che il tema centrale del dibattito sull’arte pubblica sia quello del coinvolgimento delle persone. L’esito dell’incontro tra l’artista e una comunità è sempre incerto; d’altra parte, meglio correre questo rischio che far piovere dal cielo progetti artistici che sono percepiti dalle persone come distanti, privi di senso e che non fanno che aumentare la frattura di cui parlavamo poco fa. Ecco, sono convinto che la costruzione di senso sia un processo a suo modo collettivo e che non possa non tenere in considerazione le istanze dei cittadini/abitanti di un dato contesto; magari per ribaltarle, smentirle, ma sempre confrontandosi con esse. «La massa è fatta perlopiù di persone che non se ne intendono e si fidano solo degli esperti»: anche Ernst Gombrich, citando Luciano di Samostata, metteva in luce l’eccessiva autorità degli «addetti ai lavori» e il disinteresse del «pubblico». Vorrei che il bando Kilowart rappresentasse un piccolo contributo per opporsi a questa tendenza. Altra questione che mi interessa è quella della permanenza delle opere: il concetto di monumento, imperituro e talvolta imperniato di retorica, potrebbe forse lasciare il posto a interventi temporanei e capaci di alternarsi, la cui presenza possa essere «reversibile» rispetto a un luogo preesistente. Una strada che alcuni stanno già percorrendo, per esempio a Latronico, in provincia di Potenza, con il progetto A cielo aperto.
Qual è o dovrebbe essere il compito dell’artista oggi?
Parlare del tempo che viviamo attraverso forme e immagini, evitando di farne una cronaca – per quella ci sono i giornali – e senza rinunciare all’aspetto visivo del proprio lavoro; analizzare i contesti, documentarsi e riportare l’arte all’interno di un dibattito condiviso, senza la pretesa di voler cambiare immediatamente le cose, ma agendo sottotraccia. Sansepolcro ha avuto la fortuna di ospitare un progetto a mio avviso esemplare, quando nel 2009 venne realizzata l’azione collettiva L’ultima ombra, ideata dall’artista Marco Baldicchi: centinaia di persone hanno ricostruito l’ombra della Torre di Berta, fatta saltare nel 1944 dai nazisti, tracciandone la sagoma sulla pavimentazione dell’omonima piazza con del carbone. Un’opera di grande impatto visivo, carica di memoria e senso civile. Ritengo che questa esperienza possa indicare una strada da battere.
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[1] Il progetto «Nuovi Committenti» è un modello innovativo per la produzione di arte per lo spazio pubblico ideato nel 1991 dall’artista belga François Hers, promosso dalla Fondation de France, introdotto in Italia nel 2001 dalla Fondazione Adriano Olivetti e oggi diffuso su scala europea con il titolo New Patrons. Con il proposito di ristabilire un forte legame tra arte e società, Nuovi Committenti permette a chiunque – comitati spontanei di quartiere, scuole, amministratori locali, singoli individui o gruppi di cittadini – di farsi committente di un’opera d’arte destinata ai propri luoghi di vita o di lavoro, spesso con una funzione d’uso collettiva. Dall’ideazione alla produzione tutto il processo è accompagnato da un curatore o storico dell’arte nel ruolo di mediatore culturale, capace di interpretare desideri e bisogni della committenza, individuare un artista e attivare un percorso di riflessione e scelte condivise. In questo contesto l’arte spesso si misura con processi di cittadinanza attiva in risposta alle numerose problematicità e ai cambiamenti del tessuto urbano.