Dove sta andando la filantropia istituzionale?
La realtà è complessa. Mettersi in rete è una risposta. Ne parliamo con Bernardino Casadei, già segretario generale di Assifero, l’associazione che coinvolge 91 fondazioni ed enti filantropici del Paese. Un mondo articolato che comprende fondazioni d’impresa come UniCredit, Bracco, Enel, Popolare di Novara, Telecom. Fondazioni di famiglia, ecclesiastiche. Un quarto degli associati è costituito da fondazioni di comunità.
BC.Si sta passando da una visione della filantropia come redistribuzione a una filantropia come investimento. Dalla focalizzazione verso l'innovazione, oggi è sostenibilità il criterio che guida l’intervento: far stare in piedi, dare futuro alle organizzazioni che si supportano, superando l'idea mantra del progetto. Il progetto è uno strumento e l’ente deve essere messo in grado di portarlo avanti.
Come evolvono le imprese?
Per molto tempo la filantropia è stata vista uno strumento di consenso e reputazione, collegata all'attività di comunicazione. Sempre di più viene letta in termini strategici, per perseguire finalità di interesse comune ed economie esterne funzionali alla crescita dell'impresa. Dall’inizio della crisi del 2008 prende corpo la consapevolezza che l'attività imprenditoriale è collegata con una serie di dimensioni sociali, rilevanti anche nella competizione globale. L’impresa ha interesse che la società funzioni e si rende conto che può contribuire a creare le condizioni di benessere. Un esempio. L’impresa opera con personale che proviene da una comunità. La qualità della vita del territorio incide nei fattori di produzione, nel modo in cui le persone vivono la loro dimensione professionale. Se l’investimento è strategico, è un valore condiviso, regge anche nelle crisi.
Occorre una crescita anche in termini di strutture, competenze, figure deputate per passare dalla mera elargizione a una nuova strategia.
Questo è un punto schizofrenico. La tendenza è ancora usare risorse interne che non sempre hanno maturato esperienze in questi ambiti. Gran parte delle fondazioni hanno strutture molto leggere, gravate da pesi amministrativi e burocratici che le portano a mettere in secondo piano gli elementi strategici.
Qual è il contributo di Assifero?
Favorire relazioni fra i soci, far crescere capacità progettuali, trasferire con tempestività nel dibattito del Paese ciò che accade a livello mondiale. Ci sono tendenze che si stanno sviluppando- non solo nei paesi anglosassoni che hanno una forte leadership da sempre nella filantropia-, ma anche in Egitto e in Sud America. Per esempio, grazie ad un approccio fondato sulle relazioni e la fiducia reciproca, la struttura egiziana di Habit for Humanity è passata in pochi anni dalla costruzione di 30 case all’anno a oltre 2.000. Una crescita della produzione del 700%.
Qualche primato lo ha il nostro Paese?
L’Italia è considerata leader a livello mondiale per la diffusione della tecnologia informatica nel mondo della filantropia. Assifero ha dato un contributo: cerchiamo di favorire un più ampio utilizzo degli strumenti social attraverso una nostra piattaforma e le fondazioni di comunità hanno a disposizione uno strumento gestionale integrato fra i più avanzati al mondo. Recentemente abbiamo sviluppato un software, disponibile in open source, per utilizzare, anche con scarse conoscenze, gli strumenti del project management per rigorosi budget di progetto. Questo è il primo passo per rendicontazioni on line e per raccogliere in modo sistematico il sapere generato dai singoli progetti, una conoscenza che raramente viene condivisa e quindi un valore disperso. Tra i temi che contribuiamo a diffondere c’è la valutazione dell'impatto collettivo degli interventi. Per operare in contesti sempre più complessi con problemi multidimensionali sono fondamentali relazioni e reti per ottenere un’efficacia reale, superando la logica della singola iniziativa, scartando gli opportunismi per un risultato sistemico.
Che ruolo ha la cultura nelle strategie di investimento, sia come settore, sia come strumento?
In questi anni di crisi sociale, molti fondi sono stati dirottati sull’emergenza, anche dalle fondazioni che operavano sulla cultura. Eccetto qualche sperimentazione felice, c’è ancora più retorica che operatività sul valore della cultura come pre-requisito per lo sviluppo sociale, ma c’è attenzione sempre più forte all’imprenditoria sociale, soprattutto per quanto riguarda i giovani: creare occupazione e benessere, oltre alla valorizzazione di beni o alla produzione di contenuti culturali.
Cosa manca al quadro normativo e fiscale?
Non occorre una profonda riforma, abbiamo un buon margine di manovra nell’esistente. Ci sono problemi specifici, che potrebbero essere agevolmente risolti. Due anni fa siamo riusciti a far cambiare parere dell'Agenzia delle Entrate sulle imprese: oggi possono costituire Onlus.
Ora partirei da una chiara e univoca definizione di utilità sociale, concetto sul quale c'è molta ambiguità: secondo l’Agenzia delle Entrate si identifica con quello di solidarietà sociale (verso soggetti svantaggiati), il che non appare corretto e rende molto problematica l’erogazione di contributi in ambito culturale e della formazione, dove la maggior parte dei beneficiari non appartiene alle categorie più vulnerabili per definizione.
Ci sono norme da rimettere a posto: ad esempio un'impresa che costituisce la propria fondazione per la tutela del patrimonio storico-artistico può dedurre i contributi come se la costituisse per l’assistenza sociale, ma non può operare su entrambi i versanti, pena l’indeducibilità, per il principio della esclusività, contenuto in uno due commi che disciplinano tali benefici nel Testo Unico.
La gestione patrimoniale è l'aspetto in cui siamo messi peggio, dal punto di vista fiscale. Negli altri paesi civili gli investimenti delle fondazioni sono infatti detassati, mentre noi paghiamo il 20%. Questa è l’urgenza.www.assifero.org
Dal XIII Rapporto Annuale Fondazioni, in Il Giornale dell'Arte, 338, gennaio 2014