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Donne che cambiano il mondo: la forza della filantropia

  • Pubblicato il: 15/09/2015 - 11:03
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CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di: 
Milena Zanotti

Con Elisa Bortoluzzi Dubach parliamo di un dibattito organizzato presso il Centro Svizzero di Milano che verterà sulla «generosità delle donne» nella società civile e scaturito dalla pubblicazione di un libro sul mecenatismo femminile, che ha «generato un’onda» in termini di interesse e partecipazione. Il volume si intitola Mecenati-Pensare-Agire Cambiare, Haupt editore, 2014 ed il magazine di Migros, letto da un milione di persone, gli ha dedicato una cover story di cinque pagine

 
Milano. Incontriamo Elisa Bortoluzzi Dubach presso il Centro Svizzero di via Palestro e ci introduce alla giornata che si terrà in questa sede, il 6 ottobre 2015, alle ore 18 (per informazioni e registrazione: 0276320340, [email protected]), organizzata dalla Camera di Commercio Svizzera in Italia (CCSI). Il panel sarà composto da Renata Babini Cattaneo Premoli (Fondazione Uriele), Mariavittoria Rava (Fondazione Francesca Rava – N.H.P. Italia) Pier Luigi Sacco (Università di Lingue e Scienze della Comunicazione- IULM) ed Elio Silva (Il Sole 24 Ore), che discuterà il tema della filantropia e del mecenatismo mettendo a confronto gli esempi svizzeri e mitteleuropei con la situazione italiana.
L'incontro sarà moderato da Elisa Bortoluzzi Dubach, autrice insieme a Hansrudolf Frey del volume Mäzeninnen-Denken-Handeln-Bewegen (Mecenati-Pensare-Agire-Cambiare). Il libro verte sull’attività filantropica femminile ripercorrendone le vicende storiche, con un affondo sui tempi odierni attraverso venti ritratti di figure di primo piano del mondo di cultura tedesca, italiana e svizzera. Queste sono esemplificative dei differenti modi di approccio al mecenatismo e si addentrano nei motivi che spingono le donne a intraprendere l’attività di mecenati.
Docente universitario e consulente di Relazioni Pubbliche, Sponsorizzazioni e Fondazioni, Elisa Bortoluzzi Dubach è un’esperta del settore dello sponsoring culturale e sociale, ha contribuito personalmente alla creazione di grandi fondazioni erogative. Già membro della Commissione Cultura della città di Zugo, fa parte dal 2001 della giuria del Premio per la promozione del finanziamento privato della cultura “Mecenate” (Austria). E’ autrice di articoli di riferimento nel campo dello sponsoring e delle fondazioni erogative. E’ suo il primo manuale operativo in materia di sponsorizzazioni: Sponsoring dalla A alla Z - Manuale operativo, Skira, Milano, 2009, nonchè il primo manuale per la collaborazione fra mondo non-profit e fondazioni erogative, Lavorare con le fondazioni – Guida operativa di fundraising, Franco Angeli, Milano, 2009.
Chiediamo ad Elisa Bortoluzzi Dubach di introdurre il libro e i temi della ‘tavola rotonda’.
 
 
Come nasce l’idea di un libro incentrato sul mecenatismo e in particolare, su quello declinato al femminile?
Mi occupo professionalmente di mecenatismo da molti anni: mi sono sorpresa che in letteratura ci sia così poco dedicato al contributo delle donne in questo ambito.
Ho cercato di dare un contributo per colmare questo vuoto dal mio punto di vista, indagando il collegamento tra le azioni compiute dalle donne del passato e quelle di oggi.
L’obiettivo era di scrivere per un pubblico il più possibile esteso allo scopo di suscitare un dibattito, cosa che non avrebbe potuto essere con un prodotto esclusivamente accademico.
Il risultato è una pubblicazione con una introduzione storica che evidenzia le linee di continuità con molti esempi di progetti attuali, un capitolo dedicato al ruolo della comunicazione per la filantropia contemporanea, i ritratti di venti mecenati dei nostri giorni provenienti da cinque paesi (Austria, Germania, Svizzera, Liechtenstein ed Italia), una bibliografia e un indirizzario di istituzioni del mondo accademico, fondazioni dedicate alla tematica, istituti universitari e quanti altri in una forma o nell’altra si sono dedicati al tema.
 
 
 
Il volume narra la vicenda del mecenatismo in venti ‘case histories’ particolarmente significativi che raccontano di donne le quali hanno fatto della passione, intraprendenza e forza d’animo la propria cifra: tra le altre Gisela Kutter, Ise Bosch, Carolina Müller – Möhl, Mirjam Staub – Bisang, Marie von und zu Liechtenstein, Janine Aebi – Müller, Ingvild Goetz sino a Susanna Tamaro, Gilda Ripamonti Aletti Montano, Renata Babini Cattaneo Premoli, Elena Mantegazza. Quale è il ‘fil rouge’ che accomuna queste persone?
Nella nostra idea, le protagoniste del libro dovevano essere portatrici di progetti innovativi. La volontà di spendersi, l’originalità dei progetti e grande disponibilità a raccontare successi e criticità sono stati i criteri di scelta adottati per individuare le nostre interlocutrici. Questo senza riguardo alla loro notorietà.
Ci siamo trovati di fronte a donne che hanno deciso di raccontare la propria storia, coscienti che solo comunicando le proprie scelte, raccontando come siano maturate,  si può attivare la diffusione del virus della filantropia e motivare altri a donare. Come afferma Mariavittoria Rava “In questa ottica comunicare non è presunzione, è umiltà. Il filantropo non è solo donatore di denaro, ma anche portatore di valori.” La missione della comunicazione è anche essere una fonte di ispirazione per i futuri filantropi e filantrope, una galleria di esempi nei quali ognuno può trovare ragioni per la propria iniziativa che inevitabilmente avrà, ancora una volta, il carattere dell’unicità.
 
 
 
Con il dibattito del 6 ottobre, la CCSI  crea un ponte tra Svizzera ed Italia. Nella sua esperienza, esiste una differenza tra le due nel modo di concepire la filantropia al femminile?
L’azione delle filantrope si muove entro l’orizzonte della generosità. Essa è il loro valore fondante. Il loro agire può essere motivato dalle ragioni più diverse: la tradizione familiare, un evento traumatico personale, un sussulto della coscienza di fronte alle ingiustizie della storia o all’iniquità del caso, il desiderio di dimostrare che ogni essere umano è capace di essere tale a prescindere dal suo passato, e mille altre ancora. Tutte generano il desiderio di prodigarsi in modo disinteressato per lenire, se non risolvere, la situazione problematica di chi ha visto ridursi a zero le opportunità di vivere dignitosamente. Come tutto questo viene inteso è funzione del sistema etico e dei valori di una società, che a loro volta sono il risultato del lento sedimentarsi nei secoli di quella struttura complessa che chiamiamo globalmente “cultura”.
Questa lunga premessa ci permette di comprendere come mai, a parità di risultati ed effetti concreti sulla realtà, esiste una percezione ed una pratica differente nella filantropia a sud e a nord delle Alpi.
 
 
 
Ci può fare qualche esempio?
Pensiamo solo all’influenza che ha avuto la Riforma nella percezione individuale e sociale della ricchezza. Questo momento storico, i cui effetti sono stati filtrati da secoli di storia, ha ancora oggi una percepibile influenza sul modo di intendere l’intervento finanziario, sull’understatement, sulla disponibilità pubblica, sul modo di rapportarsi con i beneficati delle filantrope di quell’area culturale.
 
 
 
Da qui l’importanza di costruire un ponte?
Siamo in una fase di ‘Rinascimento’ del mecenatismo individuale: sono persuasa che si creeranno delle reti filantropiche in Italia e in Europa.
A differenza degli USA, dove il networking è una pratica comune e condivisa, in Europa questo è ancora poco sviluppato, soprattutto tra ambiti che possono esprimere visioni differenti ma che trovano nella pratica un terreno comune.
Oggi è più che mai necessario condividere i saperi, interrogarsi insieme sui modelli creativi di approccio ai problemi, mettere a frutto un tesoro di esperienze, imparare a colloquiare con lo Stato con approccio proattivo, spingere l’università ad occuparsi non solo della filantropia e del mecenatismo delle fondazioni ma anche di quello individuale.
Questo significa sostenere la società civile con nuovo slancio, evitare gli sprechi, e dare alla generosità individuale un potente impatto a fronte dei grandi problemi che affliggono la società.
 
 
 
Quali sono le opportunità offerte dall’evento del 6 ottobre?
È oggi importante promuovere anche in Italia un dibattito pubblico sulla filantropia e il mecenatismo che possa far crescere la professionalità e la capacità di visione di tutti gli attori in gioco. Questi non possono limitarsi alla mera elargizione di denaro ma dovrebbero aprirsi, ad esempio, alla collaborazione progettuale e alla sperimentazione condivisa di azioni innovative, allo studio della sostenibilità dei progetti sostenuti.
Questa tavola rotonda sarà l’occasione per un dibattito a tutto campo fra mecenati e pubblico, aperto a tutti e senza filtri, per dare a quanti vorranno partecipare l’occasione di riflettere e di scambiare esperienze con chi della filantropia ha fatto la missione della propria vita.
Sarà anche l’occasione per scoprire che cosa la filantropia femminile abbia prodotto nel corso dei secoli e perché oggi rappresenti uno dei fenomeni più vitali del Terzo Settore.
 
 
 
A proposito del valore dell’agire individuale: esiste una specificità del ruolo delle donne nella filantropia?
È impossibile parlare di filantropia al femminile senza storicizzarla e localizzarla. Nel mondo occidentale, oggi le donne hanno accesso all’istruzione anche di altissimo livello; hanno acquisito diritti per molto tempo negati come quelli al lavoro, il diritto al voto; hanno ruoli di leadership in aziende e istituzioni e compensi spesso allineati a quelli degli uomini.
Tutto questo influenza il mecenatismo e produce nuove modalità di intervento che descriverei in questo modo: la costruzione di relazioni di fiducia e scambio con persone e organizzazioni della società civile, mediante il sostegno economico, la messa a disposizione di know-how e di reti di contatti, per la cura, la generatività e il supporto a una crescita equa e sostenibile.
Parole chiave come cura e generatività caratterizzano la filantropia al femminile, ed esprimono concetti coerenti con la visione del mondo delle donne.
 
 
 
Come mai il suo libro ha un co-autore maschio?
Ho fortemente insistito con Hansrudolf Frey perché scrivesse con me il libro sulla filantropia femminile. Ho voluto Hansrudolf non solo per la sua competenza e professionalità, ma per la necessità che sentivo di coniugare nel libro le sensibilità maschile e femminile e le culture latina e svizzera, così da rendere giustizia non solo alla provenienza geografica delle mecenati, ma anche alle attese delle nostre lettrici e dei nostri lettori.
 
 
 
Che reazioni avete avuto dalla vostra audience?
Siamo rimasti sorpresi e colpiti dall’impatto che il libro ha avuto anche al fuori della cerchia degli addetti ai lavori.
Dalla corrispondenza che riceviamo quotidianamente e dalle molte migliaia di contatti internet che riscontriamo ci siamo accorti come il tema della filantropia tocchi corde profonde degli individui, quasi fosse un elemento costitutivo del contratto sociale che ci lega gli uni agli altri.
 
 
 
Avete fatto qualche riflessione su questo punto?
Certo, anche se per ora ci muoviamo in un ambito del tutto empirico. Ci siamo accorti di essere andati ad impattare con la percezione del sé in relazione all’altro, con la riflessione che molti di noi fanno riguardo al proprio ruolo nel mondo e nel tempo. Ci siamo chiesti se questo non avesse a che fare con la crisi del sistema di valori che la nostra società sta attraversando, e se la filantropia non possa avere un ruolo esemplare nella sua ricostruzione, cosa della quale tutti sentiamo profonda necessità. Se questo dovesse succedere anche solo parzialmente, saremmo di fronte ad un fenomeno sociale formidabile, inaspettata conseguenza dell’azione filantropica. Soprattutto femminile!
 
 
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