Dalla Russia con amore
Mosca. È uno dei paesi del domani. Anzi, di un presente in cui l'occidente ha assunto un ruolo secondario, quasi vassallo nei confronti di contesti emergenti sempre più ricchi e più forti, dalle spalle ampie, almeno quanto le loro ambizioni di gusto e culturali. Così succede che anche Mosca si dota di una sua Biennale. Accade in realtà da diversi anni, quasi da dieci, dal momento che l'edizione prevista nel 2013 nella città sovietica porta sul distintivo il numero 5. Al netto però di qualsiasi considerazione di spicciola geopolitica o di enfasi intrisa da una sorta di protezionismo di marca europea, si può affermare che la mostra promossa dalla fondazione omonima è oggi una realtà che inizia a posizionarsi, anche se con una gestazione lenta, nel nutrito calendario delle tante iniziative «colleghe» sparse per il globo. La ricetta? Grossi nomi del panorama curatoriale – Nicolas Bourriaud, Hans Ulrich Obrist, Daniel Birnbaum, Rosa Martinez, tra gli altri, nel 2005, Jean Hubert Martin nel 2009, Peter Weibel nel 2011 -, una connotazione di 'mostra diffusa', che ha visto edizione per edizione una istituzione cittadina protagonista dell'evento, la presenza benevola (e forse, talvolta, anche ingombrante) del Ministero della Cultura e del Governo della Federazione Russa. E - ça va sans dire- una tasca potente (basta dare un'occhiata alla sfilza di aderenti al Board of Trustees per rendersene conto). Ma veniamo, dunque, alla quinta puntata di questa saga dell'arte, che aprirà i battenti il prossimo 19 settembre 2013, visitabile al pubblico solo per 31 giorni. Come da tradizione, la scelta della sede cade su un luogo inedito per la kermesse, questa volta al Manege, un edificio a due passi dal Kremlino eretto nel 1817, convertito in exhibition hall dopo la ristrutturazione avvenuta nel 2005, a seguito di un tremendo incendio che ne sconvolse le architetture. Anche il curatore – rigorosamente europeo - è nuovo di zecca, ed affianca il direttore artistico della biennale Joseph Backstein. Questa volta la scelta cade sull'olandese Catherine de Zegher, già co-direttore della Biennale di Sydney nel 2012 direttore, fino al 2006, del The Drawing Center di New York. Ancora segreti, ovviamente, gli artisti che saranno coinvolti e i temi in cantiere, anche se la De Zegher ha già commentato: il progetto espositivo sarà interculturale e intergenerazionale. Devono coesistere il senso del tempo e quello della continuità (…), la sensazione che sia gli artisti che il pubblico sono impegnati nel fare la storia ed il presente nel modo in cui solo la grande arte riesce. Quando il tempo viene attivato in questo modo, ciò che emerge è uno “spazio-tempo” dell'ic et nunc ('here and now' nel testo -ndr) rivolto a questioni socio politiche odierne e all'introduzione di nuovi, necessari, schemi di pensiero attraverso la molteplicità delle pratiche artistiche. Questioni fondamentali, nodali anzi, nel dibattito contemporaneo. Tuttavia c'è il rischio che si traducano in una sfida importante e concettualmente azzardata nella terra in cui ancora oggi si svolge la complicata vicenda tra arte e politica delle Pussy Riot.
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