Come promuovere la città? Coinvolgendo le comunità
Il volume di Livio Gigliuto come spunto per gettare uno sguardo aggiornato sul mondo del marketing territoriale e occasione per tentare una lettura territorialista dei temi proposti. La città è un prodotto che ha un mercato e dei concorrenti? Oppure è il luogo dove le diverse comunità devono essere rappresentate e coinvolte, premessa indispensabile perché il territorio sia vivibile e accogliente, e poi anche appetibile?
Livio Gigliuto è un sociologo specializzato in analisi e progettazione dei processi di sviluppo, e giovane consulente del Sindaco di Catania per il marketing del territorio. Anche a seguito di questa recente esperienza nasce «Come promuovere la città. Strumenti e azioni efficaci di marketing del territorio» (FrancoAngeli, 2015), volume che intende fare il punto sugli strumenti di marketing territoriale raccogliendo inoltre i contributi di esperti e amministratori come punto di partenza per definire orizzonti e applicazioni della disciplina. La posizione del volume appare da subito volutamente dialettica e aperta al confronto, tanto che dalle prime pagine le parole chiave che più ricorrono sono sì “reputazione”, “brand” e “crescita”, ma anche ripetutamente “equilibrio”. Il problema di partenza assunto da Gigliuto è infatti individuare le chiavi di promozione della città, senza che questa pregiudichi le dinamiche endogene, anzi interagendo con esse e divenendone agente di valorizzazione. Non si tratta per Gigliuto di elaborare fantasiosi makeup urbani, edulcorare ciò che non va per trasformarlo magicamente in prodotti vendibili e appetibili, quanto soprattutto riuscire ad individuare e comunicare adeguatamente le caratteristiche di un territorio per invitare l'universo mondo a conoscerlo con curiosità. Gli ingredienti per ragionare su cosa sia la città da promuovere, quali siano le sue contraddizioni e le sue potenzialità, chi i suoi attori e quali le sue dinamiche, ci sono tutti, e questo volume permette di lavorarli sul tavolo attrezzato dell'esperto di marketing. Tale complessità è ben rappresentata dalla varietà dei contributi ospitati, che pongono ora l'accento sulla attrattività di un territorio per le imprese, ora per i flussi turistici, o ancora sul ruolo della Pubblica Amministrazione o delle tecnologie per il patrimonio, delle città sostenibili fino alle città seduttive. E, a fare da filo conduttore di molti (se non di tutti) gli interventi, la comunità locale, i cittadini, gli abitanti, i city users. E' possibile interpretare il tema del marketing territoriale partendo proprio da loro?
Gigliuto è chiaro da subito: tra i territori può esistere competizione, come avviene tra i prodotti nel mercato. Il marketing territoriale è uno strumento per avvantaggiare una città in questa competizione, ma non costituisce a sé una politica di sviluppo locale, semmai può essere uno mezzo al suo servizio. Men che mai è una attività pronta a sacrificare tutto, compreso il benessere di chi abita i territori, pur di fare mercato (Caroli, 1999). Il punto è: qualunque sia lo strumento, esso deve consentire ad un attore di raggiungere un obiettivo. Quali sono dunque gli attori in gioco? E quali gli obiettivi? Residenti, istituzioni locali, imprese (soggetti interni) e poi visitatori/turisti, investitori o nuovi residenti (soggetti esterni), sono i players che costituiscono gli interessi in campo nelle conseguenze di attività di promozione territoriale. Gigliuto è consapevole che la coperta è corta, quando si parla di obiettivi: un intervento “turistizzante” può portare benefici ad alcuni e creare disagi o piena trasformazione della vita per altri, come succede nei casi di gentrificazione dei centri storici. L'autore individua nell'equilibrio e nell'armonia delle scelte di politica locale e del correlato piano di marketing la soluzione a questo rischio, tenendo saldamente conto del benessere dei residenti e il loro coinvolgimento nei processi di potenziamento.
Rimandando alla lettura del volume gli ulteriori focus e i percorsi metodologici, ben articolati e strutturati come un vero e proprio handbook, i ragionamenti di Livio Gigliuto producono – come è sano che faccia una pubblicazione scientifica – alcune riflessioni e soprattutto molte domande. Perché se nell'elaborazione di strategie di promozione del territorio si parte – come spesso accade – dall'obiettivo di sviluppo economico, il rischio è che si elaborino pianificazioni distaccate dai bisogni degli attori locali, dando vita a prodotti magari affascinanti e rassicuranti, ma che poco o niente hanno a che fare con lo spirito del luogo. Prodotti che rappresentano piuttosto una offerta tarata sull'interpretazione generica della domanda massiva, ben lontana dalla capacità di interpretare e comunicare il territorio nelle sue sfaccettature e nelle sue (perché no?) contraddizioni.
E' il caso dei parchi tematici o delle mostre blockbuster (per fare un paio di esempi), che atterrano in contesti logisticamente efficienti, magari con una spruzzata di paesaggio naturale o una pennellata di prezioso contesto storico-architettonico a fare da sfondo, per massimizzare le visite e sostenere la retorica dello sviluppo come fine supremo. L'ansia da prestazione sul mercato è comprensibile per una azienda che deve vincere la competizione, pena il collasso. Ma siamo sicuri che per una città tale parametro è quello che fa la differenza? Siamo certi che il ritorno economico di (ipotizziamo) vincenti campagne di promozione territoriale sia capace di giovare a tutti i segmenti della popolazione e degli stakeholders? Il rischio è quello di assistere a polarizzazioni squilibrate, tra un'estrema intensità in luoghi-faro resi “caldi” dalla ricerca del ritorno di investimento e la rarefazione di ampie aree che sono invece costrette a ripiegare sulle politiche delle briciole, davanti a sistemi territoriali totalmente squilibrati e orientati a sostenere solo i “grandi attrattori”. Decongestionare i territori creando equilibrio tra grandi attrattori e patrimonio diffuso (non solo culturale, ma anche naturale e paesaggistico) porterebbe invece ad un migliore e diversificato utilizzo dei luoghi da parte di tutti, residenti e “forestieri”: reti territoriali più lente, sostenibili e davvero diffuse, frutto di una pianificazione condivisa per cui sia “possibile rivendicare un'efficacia di natura culturale, sociale ed economica che vada oltre il conteggio dei corpi che varcano le soglie e il numero di biglietti venduti” (Bollo, 2013).
Questa potrebbe costituire una chiave di supporto alle politiche di promozione territoriale: sovvertire il punto di vista che si basa sul gettonatissimo totem dello sviluppo economico, assumere quello del benessere olistico delle comunità di riferimento (residenti storici; nuovi residenti; imprese “coesive”; city users abituali), pensando che il rafforzamento degli stakeholders, il soddisfacimento dei loro bisogni e dei loro sogni, possa creare ambienti più coesi e pertanto più attrattivi, più interessanti, più convenienti. La comunità diviene a sua volta agente di benessere e di accoglienza, se sente di potere essere messa in grado di agire.
Nella “Carta di Lanzarote per un turismo sostenibile” (1995) venne scritto che “la protezione della qualità della destinazione turistica e la capacità di soddisfare i turisti devono essere determinate dalle comunità locali in consultazione con gli enti coinvolti”: Annalisa Cicerchia, nel suo “Risorse culturali e turismo sostenibile”, ci fa ben comprendere quanto questo processo partecipativo debba essere il necessario presupposto di attività così impattanti e delle strategie (anche di marketing) che le sostengono.
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Livio Gigliuto è un sociologo specializzato in analisi e progettazione dei processi di sviluppo sociale, economico e culturale. Autore di numerosi saggi su marketing e ricerca sociale, è consulente del Sindaco di Catania per il marketing del territorio e responsabile per la Sicilia dell'Istituto Piepoli S.p.A.
Ciccio Mannino, dottore di ricerca in storia urbana, vive a Catania dove lavora con lo staff di Officine Culturali, l’associazione di cui è co-fondatore, presidente e supervisore. Officine Culturali si occupa tra l’altro delle attività di fruizione del Monastero dei Benedettini, immenso complesso pluri-architettonico, un po’ tardo-barocco un po’ contemporaneo: l’edificio, sede universitaria e spazio pubblico tra i più permeabili della città, funge anche da grande laboratorio dell’associazione. Dentro Officine ha portato la propria formazione dei master in storia e analisi del territorio (UniCT) e in management dell’arte e dei beni culturali (Sole 24 Ore), nonché l’esperienza maturata in alcune imprese di comunicazione digitale e un bagaglio umano e sociale in gran parte proveniente dall’Antico Corso, lo spazio urbano che ospita il Monastero. Qui e in altri luoghi sperimenta con il suo staff processi di progettazione incentrati sul bisogno di vivere il patrimonio culturale come bene comune e come spazio accessibile di cittadinanza; e la cultura d’impresa come metodo per tentare di rendere sostenibili quei processi.