Come il patrimonio culturale può ritornare ad essere risorsa all’avanguardia?
Tra le potenzialità da sviluppare indicate dalla riforma Franceschini, nel suo recente libro ”Ereditare il futuro” Lorenzo Casini identifica come imprescindibili un cambio di passo nella gestione delle risorse umane e una maggiore efficienza del Pubblico per dialogare con il privato e considera che “Il modello fondazione non è valido in quanto tale, ma solo in presenza di pre-requisiti (...). Il Paese non è pronto per far entrare nella gestione dei musei statali anche soggetti privati. Il privato può contribuire davvero se la parte pubblica è efficiente”
Milano. Tra l’odierno «Mettere il visitatore al centro del nostro lavoro» (uno dei mantra del neo direttore di Brera) e il lapidario “Per noi il visitatore era quasi un fastidio» (frase rubata a un dipendente del ministero vecchio stile) c’è di mezzo un mondo. Fondamentalmente, una diversa visione della Cultura, della sua funzione e del ruolo che i musei possono svolgere.
Come racconta nel suo recente libro Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale Lorenzo Casini, professore ordinario di Diritto amministrativo nella Scuola IMT Alti Studi di Lucca e consigliere giuridico del MIBACT, «la riforma del 2014 ha profondamene mutato il ministero tentando di risolvere molti dei vizi originari di un apparato nato già vecchio nel 1974 quando fu creato».
L’interesse del testo risiede nella lettura analitica della storia, della regolazione e dell’attuale gestione di un ente visto dagli occhi di un giurista che ne racconta in modo chiaro vizi storici e potenzialità da sviluppare.
Scorrere le cifre dei 40 anni di vita del Ministero raccolte nel libro è molto interessante: quando fu istituito aveva 50 mld di lire di bilancio iniziale, raddoppiati l’anno successivo ma comunque pari allo 0,01 del PIL. Nel 2013 il bilancio era di 1,4 mld di euro, di cui circa la metà per il personale. Con 400 ml di euro per il FUS, alla tutela, al netto degli utili derivanti dal Gioco del Lotto (20-30 ml annui), arrivavano appena 50 ml di euro.
Nel testo normativo del 1974 si stabiliva già che il ministero dovesse “tutelare e valorizzare” il patrimonio storico-artistico, senza che però fosse ben chiaro il significato e la portata di una tale espressione. «Solo dopo trentacinque anni la valorizzazione ha trovato pieno compimento anche in termini organizzativi all’interno del Ministero - scrive Casini – Ciò non toglie (…) che già nel 2016 si è reso necessario intervenire con ulteriori aggiustamenti, soprattutto per quanto riguarda l’amministrazione periferica».
Gli anni 2014 e 2015 segnano un inversione di tendenza anche dal punto di vista economico con l’introduzione di un apposito fondo per la tutela da 100 ml annui, lo stanziamento di 70 ml annui per il Piano strategico Grandi Progetti Beni Culturali e con un piano straordinario di assunzioni. Il bilancio del Ministero è salito a 1,65 mld nel 2015 e a 2,1 mld nel 2016.
«Dal 2014 l’Italia sembra essersi resa conto dell’importanza strategica del settore del patrimonio culturale»: è stata introdotta una forte agevolazione fiscale come l’artbonus, le leggi di stabilità del 2015 e 2016 hanno stanziato risorse significative per la cultura, sono previste nuove assunzioni tramite concorsi. «Oggi la macchina amministrativa del patrimonio è stata riorganizzata, i musei sono stati creati e le funzioni ridistribuite, lo Stato non può non riconoscere che il patrimonio culturale è per l’Italia un settore in cui è stata a lungo tempo all’avanguardia e dovrà tornare a esserlo».
Con la riforma Franceschini si sono voluti affrontare per la prima volta in modo organico quattro dilemmi sulla regolamentazione del patrimonio culturale: il rapporto pubblico-privato; la circolazione internazionale di opere d’arte; la progettazione di mostre; il rapporto tra beni culturali, beni paesaggistici e ambiente.
Per analizzare nel concreto questi temi, nel libro l’autore ha scelto l’esempio di Pompei: nel Grande Progetto Pompei s’innescano infatti implicazioni come la globalizzazione (è un sito UNESCO), la scelta del modello organizzativo, il ruolo dei privati, il distacco e lo spostamento delle opere, le concessioni dei servizi aggiuntivi, la pianificazione urbanistica e paesaggistica.
In un recente incontro all’Istituto Bruno Leoni sulle sfide future che dovrà affrontare il settore dei beni culturali nel nostro Paese, Casini ha focalizzato l’attenzione su tre grandi innovazioni della riforma: il rilancio della ricerca e della formazione, l’integrazione tra cultura e turismo e la creazione di un vero sistema museale nazionale.
«La riorganizzazione era un atto obbligatorio – ha spiegato l’autore – necessario per adeguare il Ministero ai nuovi numeri della spending review e senza il quale non sarebbe stato possibile procedere a nuove assunzioni. Si è voluto cogliere l’opportunità e trasformare le congiunture in qualcosa di più, affrontando per la prima volta questioni annose e strutturali».
«Un dato della riforma che non sembra ancor essere emerso in tutta la sua portata - ha sottolineato Casini – è che alla base della riorganizzazione vi è un progetto culturale, quello di recuperare la missione di educazione e di ricerca che dovrebbe competere all’amministrazione dei beni culturali in Italia» a partire dalla neo istituita Direzione generale Educazione e Ricerca. Un primo esempio di collegamento tra l’amministrazione per i beni culturali, scuola, università e ricerca (richiesto dall’art. 9 della Costituzione) è la legge 107/2015 che potenzia le forme di partnership tra le scuole e gli istituiti e luoghi della cultura.
Rispetto al tema della creazione di un vero sistema museale nazionale, ai principali musei statali è stata concessa maggiore autonomia gestionale, sono nati i poli regionali, è mutato il ruolo delle sovrintendenze. Con la nascita di una Direzione Musei sul modello francese, sono stati creati 13 musei dotati di autonomia speciale con un direttore scelto con selezione pubblica internazionale, un consiglio di amministrazione, un comitato scientifico e un bilancio autonomo.
Durante l’incontro l’autore è stato sollecitato dal pubblico in particolare su due temi.
Il primo riguarda una delle storiche criticità del MIBACT, ossia la mala gestione delle risorse umane. Il ministero ha alle sue dipendenze circa 19 mila persone di cui solo 8 mila entrate per gara; l’età media è di 54 anni. Poiché la recente riforma non ha ancora toccato questo punto, i neo direttori dei musei autonomi si ritrovano a lavorare con un personale che non possono scegliere (con evidenti ricadute in termini di mancate competenze) e i cui costi sono a carico del bilancio statale.
«Il problema del personale e della sua gestione (età, poco ricambio, ritardo nell’adeguamento dei profili professionali, rigidità nella mobilità, limiti nel trattamento economico) non è un limite della riforma, ma una questione molto più ampia. – sostiene Casini - Non riguarda solo il MIBACT, ma tutta l’amministrazione italiana.
Quanto ai musei autonomi, il modello prescelto è l’unico al momento configurabile all’interno del Ministero. Se si rimane dentro il MIBACT, allora il personale e il suo trattamento restano assoggettate alle regole del pubblico impiego. Ma una trasformazione dei musei statali in altri enti, pubblici o privati, è prematura: prima le istituzioni vanno create, poi vanno verificate con attenzione tutte le condizioni di contesto. Il modello fondazione, ad esempio, non è valido in quanto tale, ma solo in presenza di determinate circostanze. E anche per il Louvre ci sono voluti anni prima che fosse trasformato in ente pubblico».
Un altro tema di primaria importanza è il complesso rapporto tra pubblico e privato, su cui l’artbonus rappresenta un primo importante passo avanti, contribuendo a recuperare anni di ritardo rispetto agli altri Paesi, in particolare la Francia.
In quarant’anni anni l’andamento del rapporto tra Ministero e privati ha seguito un andamento altalenante, con esiti non sempre felici, «prefigurando il privato o come deus ex machina o come un mercante nel tempio» – sostiene l’autore. E’ una relazione che richiede valutazioni caso per caso in modo da identificare soluzioni diverse a seconda del contesto di riferimento.
«Il Paese non è pronto per far entrare nella gestione dei musei statali anche soggetti privati. Il privato può contribuire davvero se la parte pubblica è efficiente. E questo deve essere il primo obiettivo ed è l’obiettivo della riforma».
Dal punto di vista strettamente giuridico, alla luce del contributo del diritto sulla formazione di una consapevolezza sull’esistenza di un patrimonio culturale e la sua valenza per la collettività, l‘autore ha auspicato il superamento di alcuni miti (l’eccessivo benculturalismo, la chimera della valorizzazione, l’infinita riforma organizzativa) e una maggiore attenzione della scienza giuridica a questi temi, meglio se in collaborazione con altre discipline. Un più forte legame con l’economia e la statistica, ad esempio, renderebbero noti cifre e dati, ora spesso poco chiari, sulle reali condizioni dell’amministrazione del patrimonio culturale italiano.
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Lorenzo Casini, Ereditare il futuro. Dilemmi sul patrimonio culturale, Il Mulino, 2016, 20€