Italia Non Profit - Ti guida nel Terzo Settore

Become like a water my friend. Parola di Alterazioni Video

  • Pubblicato il: 16/03/2016 - 00:02
Autore/i: 
Rubrica: 
LA PAROLA AGLI ARTISTI
Articolo a cura di: 
Neve Mazzoleni

Recentemente tornati a Milano, dove sono nati nel 2004, Alterazioni video hanno presentato un’ampia rassegna della loro produzione cinematografica dal nome TURBO FILM allo Spazio Oberdan, in collaborazione con Fondazione Cineteca Italiana e Dispari& Dispari Project. Conosciuti per il progetto Incompiuto Siciliano, che anticipando i tempi, ha avviato una mappatura di tutti i siti delle opere pubbliche lasciate incompiute, rileggendole in una nuova chiave abilitante attraverso lo sguardo artistico, Alterazioni video continua la sua scrittura cinematografica che mixa i generi ed esplora i confini dell’estetica
 
 
  
 
You must be shapeless, formless, like water. When you pour the water in a cup, it becomes the cup. When you pour the water in a bottle, it becomes the bottle. When you pour the water in a teapot, it becomes the teapot. Water can drip and it can crash. Become like a water my friend. – Bruce Lee
 
Una delle prime e più nobili funzioni delle cose poco serie è quella di gettare un’ombra di diffidenza sulle cose troppo serie. - Umberto Eco
 
Vuoi sapere cos’è che veramente non amo? Non amo questa morbosa ossessione di misurare, e di chiedere che si dicano cose, e di inchiodare, e di avere e di raccontare. È una specie di mania ossessiva che mi soffoca, per non parlare di quanto mi deprime. – David Foster Wallace
 
 
 
 
 
Interno. Tavoli. Voci maschili e una femminile.
Qualche pollice di silicio che proietta un’immagine di nuvole in rappresentanza delle persone in carne e ossa. Rimbalzi di voci, interferenze, sovrapposizioni. Fuori un tramonto dal 25° piano della city dove il sole scende dietro al Monviso. Dall’altra parte un ufficio in fermento prima di una inaugurazione. Infine una stanza dall’altra parte dell’oceano con  9 ore di fuso orario. Ambientazione dalla quale partire con un nuovo tumblr dal titolo “Fenomenologia di Alterazioni video”. Dopo la loro rassegna allo Spazio Oberdan di Milano, i 5 artisti attivi come collettivo dal 2004 fra Milano, Berlino, New York, ci parlano del loro libro che restituisce la storia di questi ultimi anni di produzione e anticipa il prossimo progetto. In conversazione con Alterazioni Video: Paololuca Barbieri Marchi, Alberto Caffarelli, Andrea Masu, Giacomo Porfiri, Matteo Erenbourg.
 
 
Cosa siete?
Alterazioni Video: Siamo come acqua, fluidi e adattabili. Siamo 5 uomini formati fra mondo dell’arte contemporanea, della produzione musicale, della comunicazione multimediale, del cinema che dal 2004 praticano la ricerca dell’equilibrio dinamico attraverso un gioco di squadra. Lavoriamo da tre città diverse (Milano, New York, Berlino), progettando a distanza e girando intensivamente in loco. Non troviamo una mediazione, ma una permanente negoziazione, un costante arrangiamento dell’accordo comune. Portiamo punti di vista, talenti ed esperienze diverse nel nostro dialogo creativo. Non ci sono gerarchie, non ci sono orari o luoghi. Per un nuovo TURBO FILM iniziamo da una storia che uno di noi propone agli altri, di solito comprende un luogo e un fatto specifico legato a quel luogo. Scriviamo una pagina di soggetto e creiamo un tumbrl dove carichiamo contenuti di varia natura: immagini, testi, gif, tracce musicali, video. Uno storyboard visuale in dinamico arricchimento, che, una volta sul luogo, si trasforma in un film. È un discorso in divenire in forma di opera aperta.
 
Sembra la realtà di una band rock più che una pratica artistica…
All’interno del nostro libro TURBO FILM. And the uncertain future of moving images Domenico Quaranta ci definisce infatti artist band  e aggiunge che proprio l’arte è quello che ci tiene insieme. Perché di solito è un progetto a lungo termine che richiede dedizione e motivazione. Richiede frequenti incontri online e dal vivo, lunghe chat e conversazioni email, una fortissima amicizia e molti conflitti. Normalmente il mondo dell’arte guarda con qualche sospetto alle forme collettive di espressione estetica. Eppure, ripercorrendo i linguaggi cinematografici dove sono richieste differenti skills, anche noi non potremmo agire diversamente. Il condizionamento del mercato punta molto all’emergere delle personalità autoriali individuali. Negli Usa, per alcuni di noi che ci vivono e insegnano, è comune discutere su questo tema. Il mercato teme lo scioglimento di queste operazioni, ha difficoltà a iniettare denaro su un pensiero collettivo. Noi invece, sia per sopravvivenza continua, sia per altri interessi culturali ci siamo allargati, andando oltre il sistema delle gallerie e continuiamo e la scelta di crearci un brand ci ha permesso di costruire una nostra riconoscibilità. Cerchiamo tutte quelle forme e spazi per poterci produrre e diffondere il nostro linguaggio.
 
 
Quali sono i vostri riferimenti?
Dopo Pier Paolo Pasolini, sicuramente Alberto Grifi, soprattutto con l’opera Verifica incerta (1964) realizzata con Gianfranco Baruchello, attraverso la sua metodologia che produce estetica da materiali scartati. Il montaggio vivificante che riesce a ridare senso fino all’ultimo, attualizzandolo. Tra gli italiani Alighiero Boetti e Gino De Dominicis che utilizzano la pratica della “leggerezza” nell’accezione dalle Lezioni americane di Italo Calvino, come sottrazione di peso, scarto di visione. Ma poi Chris Burden, Martin Kippenberger, Gordon Matta-Clark, è impossibile citarli tutti.
Fra le letture alle quali ci riferiamo come impianto teorico, W.J.T.Mitchell, teorico contemporaneo che riflette sul futuro delle immagini in movimento, considerate alla stregua di esseri viventi, David Martine-Jones dell’Università di Glasgow, Thomas Elsaesser.
 
 
Cosa avete realizzato recentemente a Milano? Com’è andata?
Siamo soddisfatti. L’incontro con il Direttore della Fondazione Cineteca Italiana, Matteo Pavesi, che ci ha visti a Berlino e poi ha voluto approfondire la nostra conoscenza, ci ha permesso di portare allo Spazio Oberdan un’azione complessa chiusa il 4 marzo. Un’installazione nel foyer che di fatto era un set cinematografico, con presenza di sculture e video, la realizzazione di un concerto live con una performance che ha richiamato moltissimo pubblico, tanto che abbiamo dovuto ripeterla due volte nella stessa sera. E poi la rassegna del TURBO FILM, ovvero la nostra intera produzione cinematografica dal 2008 al 2014 che rappresentiamo con questo titolo, che caratterizza anche il nostro stile.  Con l’occasione abbiamo promosso il nostro libro che narra questi anni di lavoro e collaborazioni e il manifesto del TURBO FILM, con il nostro statement stilistico . Non tornavamo a Milano da qualche tempo. L’unica occasione nel 2014 con GLITCH curata da Davide Giannella al PAC.
 
 
Scrive bene sul vostro libro Arto Ushan, attore del film FReD, rispetto alla vostra pratica dicendo che il vostro film è già fatto, nonostante la mancanza di attrezzature professionali per le riprese, attori, cameramen, scrittori, editori, produttori, ingegneri del suono e di tutto il resto, senza il quale il cinema tradizionale è impossibile. Quindi perché non cominciare a girare?
Ci piace dire che il TURBO FILM è un genere cinematografico tra gli spaghetti western e il neorealismo di YouTube, spesso improvvisato e partecipato, che richiama gli albori del cinema mantenendo le sue radici nell’arte contemporanea. In realtà non abbiamo una grammatica. Anzi siamo sgrammaticati, de-costruiti, talvolta non sequenziali e privi di senso. Non c’è scrittura. C’è montaggio che però si può declinare anche in più varianti a seconda del pubblico al quale lo proponiamo. Come si diceva prima è una piattaforma aperta a contaminazioni, letture, riletture, digressioni e proposte anche esterne. La disciplina TURBO parte dalla nostra capacità di usare quanto è disponibile, dalla consapevolezza che, con qualsiasi contesto si abbia contatto, anche se può sembrare privo di interesse, la bellezza è nascosta in scenari inaspettati. Un TURBO FILM in movimento altera la realtà, cambia la routine, trasforma la nostra percezione. Per essere TURBO, l’esperienza deve essere coinvolgente, avvolgente, pericolosa e deve forzarti a prendere delle decisioni: uniformità è una parola bandita dal nostro dizionario.
 
 
Come trovate la scena artistica italiana?
C’è una vivacità incredibile nonostante tutto. Ci sono moltissimi giovani che producono e ricercano. Ad esempio siamo rimasti colpiti dalla scena palermitana, con la quale siamo in conversazione. Ci sono persone mature, con visioni eccellenti. Quello che continua a mancare è la libertà di fare ricerca. Troppi vincoli burocratici, strutture rigide, spazi antiquati o assenti. Di base c’è una fatica a rendersi visibili ed è per questo che il nostro Paese continua a registrare tanti abbandoni. Noi stessi siamo migranti e ci occupiamo anche di altre attività perché non si vive di sola arte.
Il sistema dell’arte non aiuta la ricerca. Le gallerie fanno davvero fatica a immettere finanziamenti per la produzione. Fino ad oggi ci siamo curati poco di aspetti commerciali perché non abbiamo l’aspirazione di raggiungere la distribuzione blockbuster. Abbiamo lavorato meglio con Fondazioni e Istituzioni private che ci hanno sostenuto con più apertura e freschezza verso la ricerca e innovazione dei linguaggi. Siamo in effetti più interessati a lavorare con i grandi produttori di contenuto culturale, musei, cinema, istituzioni pubbliche che con il collezionismo tradizionale. La retrospettiva allo Spazio Oberdan ci ha permesso di fare il punto sulla nostra attività, cristallizzando alcune esperienze dalle quali ripartire.
 
 
Con Incompiuto siciliano avete anticipato la nascita dell’Anagrafe delle opere incompiute di interesse nazionale che ha creato il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, operativa dal 2013. Recentemente i dati aggiornati restituiscono un numero pari a 868 siti lasciati incompiuti, 215 solo in Sicilia. Come l’arte può contribuire ad arginare queste derive?
Con il SIMOI il nostro database condivide 20 opere incompiute, nel loro elenco sono in gran parte presenti ristrutturazioni e varianti di progetto che non ci sono nel nostro. Questo significa che le incompiute in Italia sono migliaia, nessuno sa esattamente quante.
L’arte non ha la possibilità di un’azione diretta, politica o sociale, ma, lavorando sulla percezione del reale, è in grado di intervenire su come noi guardiamo al mondo.
In questo senso, definire il fenomeno delle incompiute come il più importante stile architettonico italiano dal dopoguerra ad oggi, crea un frame di riferimento, un paradigma di lettura e interpretazione che ci permette di elaborare nuovi strumenti e strategie di intervento.
Sono ormai una decina le tesi e un PhD di giovani architetti che, ispirandosi al nostro manifesto e a quanto abbiamo fatto finora, elaborano progetti che, per esempio, tengono conto delle comunità locali.
Partendo da un mappatura dei bisogni reali sul territorio aggiornata all’oggi, sviluppano protocolli di intervento evitando la costruzione di opere inutili, future incompiute.
 
 
Il vostro prossimo progetto vuole indagare i record del mondo. Peccato non ci si riferisca a quelli sportivi, ma a tutt’altre azioni e talenti. Voi stessi vi siete iscritti a recordsetter.com e avete ottenuto qualche primato davvero assurdo come leccare una patata il più a lungo possibile, o sbattere le palpebre un numero di volte considerevole in un minuto. Quale significato dietro queste azioni?
Siamo partiti da un’amara constatazione. Siamo quasi otto miliardi su questa pianeta. La lotta alla sopravvivenza è durissima, soprattutto con scarsità di risorse e concentrazione di mezzi sono nelle mani di alcuni potenti minoritari rispetto alla maggioranza che rimane invisibile. In particolare siamo partiti dal concetto di record mondiale, come in assoluto riconoscimento di un talento distintivo. Da una prima ricerca ci siamo resi conto che la massima concentrazione di tali talenti è in India, una società di 800 milioni di persone divise in caste, dove le opportunità del singolo sono pari a zero. Il record rappresenta allora una possibilità di riscatto, notorietà e gloria, accentuata dalla velocità di distribuzione delle informazioni in rete. Per questo motivo siamo entrati in competizione per studiare il fenomeno. Coloro che detengono i primati sono venerati alla stregua di un saggio, uno yogi. Noi vogliamo interagire in questo fenomeno e realizzare un film apocalittico che narra di un futuro imminente nel quale ogni abilità, anche la più insulsa, può garantire la sopravvivenza.
 
 
Quali evoluzioni nel prossimo futuro intravedete per i linguaggi estetici? Remixaggi o nuove estetiche?
Da tempo  la dimensione estetica è in crisi. Jean Baudrillard rifletteva, in uno suo ultimo scritto, che l’arte ha perso quanto le era proprio: “La possibilità di sfidare il reale, di creare una scena altra rispetto a quella del reale”.
In una società dove tutto è diventato visibile, in un mondo dove tutto è stato mappato, c’è sempre meno posto per l’illusione estetica.
Fine dell’arte come risultato dell’ultimo secolo e mezzo di arte moderna. Gli artisti stessi sono stati ormai soppiantati nel ruolo di coloro  che sono deputati alla creazione di nuove immagini: basta passare 10 minuti sui social media per rendersene conto.
Cosa c’è al di là dell’estetica? C’è ancora altra illusione che l’estetica? Questa è la domanda alla quale ancora non esiste ancora una risposta, ma sulla quale stiamo lavorando.
 
 
La conversazione è l’esito di una skypecall con Paololuca Barbieri Marchi, Andrea Masu e Giacomo Porfiri fra Milano e New York.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA
 
 
 
Articoli correlati:
L’ARTE NON È UN ANGELO, SEMMAI UNA TALPA
QUANDO L’OPERA È VIVA, L’ARTE FA LUCE
SECOLO AMERICANO COME SINEDDOCHE DEL DECLINO OCCIDENTALE
COLTIVARE IL RE-INCANTO
FACCIA, VISO E VOLTO DI CESARE PIETROIUSTI
FIABA DAI DUE FINALI

ph. Cock Surfing, Surfing With Satoshi, Puerto Rico, 2013

La rubrica 'La parola agli artisti' nasce in collaborazione con ArtVerona