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Azione pubblica per la rigenerazione creativa. Il caso di NOVA

  • Pubblicato il: 18/03/2014 - 14:34
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Articolo a cura di: 
Stefano Simoncini

Santo Stefano di Magra. Il contenitore è dei più suggestivi, ma di quelli che, per chi ne sa qualcosa di riqualificazione, fanno venire i brividi lungo la schiena ad amministratori e operatori. Un guscio vuoto immenso, che non indovini da fuori, perché il vuoto ti aggredisce appena varchi l’ingresso di uno degli innumerevoli e concatenati padiglioni, ritmato soltanto da una foresta di pilastri di cemento. E il silenzio che accompagna il vuoto è così esagerato che ti rimanda subito per contrasto ai frastuoni delle macchine, ai brontolii dei forni, alle voci delle migliaia di operai che devono in qualche modo aver riempito questi spazi di sogni, lotte, conquiste, ma anche fatica, sofferenze e malattie. Ha qualcosa di sacro, una sacralità fatta di sacrificio umano che sembra vanificato ma senti che non lo è.
In questi spazi immensi si è prodotto pochi giorni fa un evento strano, uno sforzo d’immaginazione collettivo per capire quale potrebbe essere il loro destino, ma anche una riappropriazione simbolica nei termini di una loro conversione in Bene comune. Parliamo dell’incontro Nova Cantieri Creativi |Spazi mutanti, spazi mutati che si è tenuto all’interno delle Ceramiche Vaccari di Santo Stefano di Magra il 14 e 15 marzo, che ha intrecciato racconti, dibattiti, musica, per ragionare di «rigenerazione creativa» ma anche per cominciare a produrla abitando collettivamente quelle megastrutture.

Situarsi. Liguria, retroporto spezzino, siamo in un piccolo centro di 9000 anime, Santo Stefano di Magra, che un tempo era un’area industriale situata a 10 chilometri dal porto, da cui partivano mattoni, mattonelle e refrattari per tutto il mondo. Oggi è il vertice settentrionale della città diffusa che s’inarca tra Toscana e Liguria da Livorno a La Spezia, e oltre a ospitare grandi funzioni legate alle attività portuali (il centro di servizi doganali con le giocose cataste di container), è diventato un laboratorio della rigenerazione urbana proprio in conseguenza della dismissione delle sue fabbriche storiche. Una, la ex Sirma (fabbrica di refrattari), è stata già recuperata da qualche anno con la creazione di un nuovo distretto urbano dove il mix piuttosto tradizionale, residenziale e commerciale, è stato alleggerito da una qualità architettonica che raramente si riscontra in Italia per analoghe operazioni. Le vecchie strutture sono state preservate nei loro corpi esterni e sono state integrate a corpi moderni con grande finezza e funzionalità. Una combinazione di estro creativo e intelligente pragmatismo sembra animare anche il progetto «Nova» (Nuovo Opificio Vaccari per le Arti), che però si annuncia al tempo stesso più arduo e più innovativo. Più arduo, perché, in un periodo di grande crisi economica, si tratta di recuperare e rifunzionalizzare un’area industriale immensa, 200.000 metri quadrati di capannoni dove si sono prodotte ceramiche, grès e mattoni dai primi anni del Novecento fino al 2006. Più innovativo, perché prende l’abbrivio grazie all’incontro tra un sindaco molto intraprendente, Juri Mazzanti, e una consolidata realtà torinese, la Fondazione Fitzcarraldo - che opera nell’industria culturale e nei settori creativi come centro di ricerche, servizi e consulenze.
Insieme hanno dato vita alla 2 giorni di «Nova Cantieri Creativi | Spazi mutanti, spazi mutati».

Trasumanar e organizzar.  Lo diceva il poeta  ed è l’alchimia cui dovrebbe aspirare una politica anch’essa «rigenerata»: tenere insieme i bisogni materiali della società nel suo insieme e le esigenze morali e culturali di ogni individuo. L’incontro di Santo Stefano di Magra è stato un po’ questo. Un rito civile in cui si è vissuta la rigenerazione, intendendo per rigenerazione un’azione pubblica realmente mirata a rivitalizzare i vincoli sociali (economia e cultura), oltre che le strutture fisiche che li ospitano. Tutto ha contribuito a tenere insieme queste due valenze. Una prima parte dedicata alle esperienze italiane ed estere di rigenerazione «creativa», esperienze che, spesso su iniziativa di comunità o individui che dal basso si sono attivati, o di amministrazioni particolarmente illuminate, hanno saputo mettere al centro la cultura in questi difficili processi. La scelta delle esperienze è stata così felice da costituire un’antologia esaustiva dei diversi metodi e finalità possibili.
Si è andati dal pragmatismo finlandese, raccontato da Raine Heikkinen, che spinge l’azione pubblica ad animare il più grande centro culturale del paese in un’area ex industriale di 56.000 metri quadrati, all’ormai mitico modello della Friche di Marsiglia, testimoniata con grande suggestione da Philippe Foulquié, che ha avviato ormai molti anni fa il recupero delle ex manifatture di tabacco nel quartiere operaio della Belle de Mai insediandovi attività di sperimentazione culturale, da teatro d’avanguardia a radio giovanili, per poi estendere il recupero alle attività dell’industria culturale, film e musica, e infine attirare gli investimenti pubblici con l’insediamento di grandi servizi culturali.
In ambito italiano, si è passati dall’iniziativa fantasiosa e caparbia di un gruppo di cittadini ferraresi, ben rappresentato da Fabrizio Casetti, che con il centro Grisù stanno recuperando una caserma pezzo a pezzo e senza fondi, all’approccio originalissimo dell’ex Fadda, nato sull’onda della straordinaria iniziativa della Regione Puglia (Laboratori urbani) di sostegno alla creazione di imprese creative in spazi recuperati con fondi pubblici, che come ha riferito Roberto Covolo, si pone come piattaforma per l’attivazione culturale, sociale ed economica di un’intera comunità, che dentro l’ex Fadda trova e contribuisce a creare formazione, servizi, cultura.
Un secondo momento ha visto alternarsi esperti come Luca Emanueli, Gianluca D’Inca Levis, Tommaso Sacchi e Simona Saraceno per ragionare in modo più teorico o specialistico sugli orizzonti e sui metodi della rigenerazione. Si sono tematizzati usi eccentrici, in ogni senso, dell’arte contemporanea (Gianluca D’Inca Levis) e dell’architettura, all’insegna dell’esperienza estraniante e della «bassa definizione» (concetto riferito all’architettura da Luca Emanueli come combinazione di valorizzazione dei luoghi e alta tecnologia), ma anche si è ascoltato un elogio della temporaneità di certi riutilizzi, brillantemente sostenuto da Tommaso Sacchi, che giustamente rileva come nella decontestualizzazione e nella rifuzionalizzazione degli spazi ex industriali, azioni culturali dinamiche di soggetti plurali annullano la distanza tra produttori e fruitori. Simona Saraceno ha infine suggerito con grande chiarezza quali possono essere i canali di finanziamento europeo alla cultura.

La strategia della lumaca. E’ stato l’argomento della seconda giornata, dopo intermezzi d’intrattenimento come le canzoni e le chiacchierate di Roberto Vecchioni. E abbiamo appreso che, di questi tempi, l’ente pubblico può essere più dinamico, visionario e concreto del privato, curando indirettamente gli interessi di quest’ultimo mentre si preoccupa di garantire quelli collettivi.
Con un panel illustre di relatori, tra i quali Luca Dal Pozzolo, Franco Bianchini, Stefano Boeri e molti altri, si è discusso alla fine del difficile progetto Nova.
Qui basti riferirne gli aspetti più singolari, senz’altro da emulare. Nel quadro di un’immensa proprietà privata, sotto il controllo di una multinazionale tedesca, l’amministrazione di Santo Stefano ha agito in modo molto audace vincolando e acquistando le strutture più antiche, dove insedierà funzioni pubbliche culturali come biblioteca e archivio, e inventando una figura contrattuale a dir poco inconsueta per il soggetto pubblico finalizzata ad avviare una rigenerazione graduale e incentrata su funzioni culturali. Ma come se la proprietà è privata? Il comune si è fatto cedere in comodato d’uso alcuni padiglioni per poi concederli attraverso gare di evidenza pubblica a imprese e associazioni culturali in cambio della riqualificazione degli spazi. Ciò con due scopi: quello di improntare a servizi culturali parte del futuro accordo di programma per la rigenerazione globale dell’area, ma anche per utilizzare la cultura come volano di sviluppo.
E inoltre produce due vantaggi: l’iniziativa fattiva e rapida persino in contesti privati fa sì che l’attore pubblico sia in grado di farsi, come deve, regista e garante di operazioni complesse di sviluppo urbanistico; in questo modo le aree d’intervento, anche se sono molto estese, vengono da subito recuperate e gradualmente rigenerate, senza attendere fondi pubblici che non ci sono per grandi opere o i tempi che il privato deve attendere per rendere bancabile l’operazione.

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