Archivissima. Il lato Pop degli archivi
Autore/i:
Rubrica:
FONDAZIONI PER LA CULTURA
Articolo a cura di:
Elisa Fulco
Archivio-Mania. A inizi giugno, si è svolta a Torino la prima edizione del Festival italiano degli Archivi, Archivissima, promosso da Promemoria, che ha reso l’archivio un soggetto Pop e Torino capitale degli archivi, complice l’inaugurazione del Museo Lavazza. Andrea Montorio, ceo di Promemoria, Heritage Agency dedicata alla valorizzazione del patrimonio storico di imprese e istituzioni, ci racconta l’evoluzione del format e gli effetti dell’archivio mania come fenomeno contemporaneo che parla di autenticità, accessibilità e di democrazia.
Dalla Notte degli Archivi ad Archivissima. Che cosa ha reso possibile la trasformazione del format e quali le ragioni che decretano il successo di Torino come capitale nazionale degli Archivi?
Archivissima rappresenta l’evoluzione del format “La notte degli Archivi”, tenutosi per due edizioni nel 2016 e nel 2017, che si è ripetuto anche quest’anno a conclusione del Festival, in cui rinomati scrittori, in orari serali, hanno letto e interpretato i documenti conservati negli archivi. Sin dall’inizio abbiamo immaginato di realizzare il Festival Archivissima ma ci siamo dati un paio d’anni per verificare la giustezza della nostra intuizione. La coincidenza dell’apertura del Museo Lavazza a Giugno del 2018 con il convegno Brandscape e il lancio del secondo numero del nostra magazine Archivio, ci hanno spinto ad accelerare la nascita del Festival, consapevoli che la città di Torino, sia per dimensioni che per la rete di istituzioni disseminate nel territorio, si presta perfettamente ad ospitarlo. Una vocazione che nasce da una forte identità industriale, forgiata da imprese storiche come la Fiat e la Compagnia di Sanpaolo, e da attori economici e culturali, che sia a livello locale che regionale, sono sempre stati sensibili al tema dell’archiviazione e della valorizzazione del patrimonio. Inoltre, la collaborazione con il Polo del ‘900, sostenuto dalla Compagnia di San Paolo che ha finanziato il progetto In[TO]68, dedicato agli archivi artistici e filmici del 68, con il Museo del Cinema, e non ultimo il nostro impegno come Promemoria nella digitalizzazione dell’Archivio Olivetti, e il recente riconoscimento di Olivetti come Patrimonio Unesco, hanno reso di fatto Torino la capitale naturale degli archivi.
Dal mal d’archivio di Derrida all’archivio mania, nell’arte contemporanea si assiste già da anni alla messa in scena degli archivi in biennali e mostre che hanno come punto di partenza la collezione di oggetti e di documenti chiamati a raccontare l’ossessione degli artisti. Quanto di questa visione ha influenzato il vostro modo di guardare agli archivi? Che tipo di esperienze sono alla base della prima edizione di Archivissima?
Archivissima in fondo ricorda anche nel nome Artissima, la fiera torinese di arte contemporanea.
Certamente l’arte contemporanea ha rappresentato un modello, offrendo un’estetica e un racconto che ha influenzato la nostra visione archivistica, che ha cercato di portare nella cultura d’impresa, in ambito corporate, un nuovo sguardo, che ci ha permesso di immaginare l’archivio come un fenomeno pop. L’adozione di linguaggi differenti - cinema, letteratura, fotografia, storytelling - per raccontare i documenti li ha resi vivi e parlanti.
Questo approccio ha permesso di dialogare con pubblici allargati, con target trasversali, interessati a scoprire e a fruire diversamente la città e il suo patrimonio (musei, biblioteche fondazioni), attraverso un itinerario fisico e virtuale: 62 location, 150 archivi nazionali coinvolti, 10.000 persone in tre giorni di eventi gratuiti, sono i numeri sorprendenti di Archivissima, un festival sostenuto esclusivamente dai privati di cui stiamo già immaginando l’evoluzione. Stiamo già lavorando alla prossima edizione che coinvolgerà anche archivi ed esperienze internazionali.
In occasione di Archivissima avete presentato la rivista Archivio e play.Archivi.st, un gioco online didattico per i giovani, proposte costruite per target differenti che raccontano la capacità degli archivi di parlare a pubblici diversi.
Abbiamo immaginato Archivissima come un Festival per non specialisti, destinato principalmente alle famiglie e incentrato sul tema dell’accessibilità delle fonti. La Rivista Archivio è pensata per un pubblico di nicchia, attratto dalle produzioni editoriali indipendenti, con un background culturale alto, con interessi per l’arte, il design, le storie d’impresa, perché siamo convinti che a livello corporale c’è spazio per un prodotto editoriale dal carattere trasversale, che approfondisca verticalmente i contenuti, partendo da un tema monografico che diventa occasione di racconto. “Crimine e potere” è il soggetto del secondo numero, in cui gli archivi forniscono gli indizi e le piste, con l’inserimento di documenti originali, tratti per esempio dal caso Moro, che rendono attuale il tema delle fonti, e delle prove alla base dei racconti. Ugualmente, il gioco Archivist ha lo scopo di diffondere tra i giovani l’importanza del saper accedere agli archivi storici e di imparare a riconoscere i contenuti autentici, anche online, un un mondo sempre più popolato di informazioni vere, false e tendenziose.
Accessibilità, autenticità, credibilità, democrazia, sono alcuni dei valori contemporanei associati all’archivio.
Sono ancora una volta tendenze che raccontano come l’archivio incarni bisogni e desideri del presente. Dal punto vista del pubblico, è sempre più sentita l’idea dell’accessibilità, del poter verificare i documenti, pur scontrandosi con il fatto che sono in pochi a saper “leggere” e interpretare correttamente le fonti. La democratizzazione effettiva si misura sempre in termini di partecipazione, l’unica che permetta a tanti di essere autori e non spettatori delle storie, e di dotarsi della capacità critica per saper distinguere il vero dal falso. Diversamente, per le imprese, soprattutto quelle storiche e familiari, l’archivio rappresenta la prova tangibile del proprio esserci nel tempo, che spesso si traduce in azioni e progetti che ricadono sul territorio, sulla comunità di appartenenza, nella logica di restituzione e della responsabilità sociale d’impresa. O ancora nel vanto di essere parte di una storia che parla di umanesimo industriale Per le aziende gestite da fondi di investimento, spesso l’archivio diventa rilevante per il tema della credibilità e della certificazione della propria qualità, con un’enfasi forte sulla storia e l’eccellenza del prodotto.
“Performing the Archive, The future of the past,” è il titolo di un saggio che suggerisce la svolta narrativa che ha reso possibile l’archivio mania, quanto la crisi economica e la cultura digitale hanno influito su fenomeno? C’è una data spartiacque nella vostra esperienza lavorativa?
La nascita di Promemoria nel 2011 è concisa con il nostro primo lavoro all’interno del progetto della Rete di archivi del tessuto biellese, che ci ha messo in contatto diretto con il cambiamento e con le potenzialità suggerite da un vero e proprio mercato, che ha messo al centro il contenuto e le potenzialità dell’archivio come suggeritore di storie. Proprio in quella occasione ci siamo accorti che era finita l’epoca delle grandi catalogazioni, portati avanti con criteri di scientificità dalle più importanti aziende storiche - Fiat, Piaggio, eni - tra gli anni Ottanta e Novanta, per mettere in sicurezza e conservare la propria storia. Nel giro di pochi anni, c’è stata una vera e propria rivoluzione nei linguaggi e nella comunicazione che ha spostato l’attenzione dalla conservazione alla valorizzazione. L’archivio ha smesso di essere un’entità slegata dalla vita aziendale per diventare strumento del racconto strategico dell’impresa. La crisi economica, il fascino della storia come “garanzia” del valore, la nascita di Industry.0, e l’orizzontalità della cultura digitale che necessita continuamente di contenuti nuovi, ha generato il cambio di paradigma. Nella maggior parte dei casi, l’archivio oggi è dentro i laboratori di ricerca, all’interno dell’Ufficio Stile, nelle Academy, e gioca un ruolo chiave nella progettazione e nell’ispirazione dei prodotti, suggerendo progetti di comunicazione e di formazione. La moda in particolare, dal ostro osservatorio, con le case history di Pucci, di Versace, è stata tra le prime ad usare l’archivio come potente strumento interno. Come Promemoria, l’impegno di questi anni è stato proprio quello di mettere a sistema il contenuto, traducendolo in software, in piattaforme digitali, in riviste, in giochi, che hanno sempre l’archivio al centro. In occasione del convegno Lavazza Brandscape, siamo rimasti colpiti dalle tantissime agenzie di comunicazione che hanno partecipato alla giornata, in fondo anche loro si stanno interrogando su come usare al meglio il brand content, e nello specifico i documenti e le storie per creare valore.
Nel 2011 è iniziata anche la vostra collaborazione con Lavazza, che ha da poco inaugurato il Museo Lavazza e la nuova sede aziendale. Quale è stato il vostro ruolo all’interno del progetto e come immaginate il futuro dei musei d’impresa?
Il ruolo di Promemoria è stato ancora una volta quello di mettere a sistema la storia, selezionando episodi, racconti e immagini provenienti dall’archivio, come vero e proprio spin off del Museo, che ha aiutato il gruppo di lavoro nella definizione del concept e nella scelta del giusto tono di voce, complici i nuovi linguaggi, e le soluzioni allestitive adottate dallo studio internazionale Ralph Appelbaum. Siamo ancora una volta di fronte a un cambiamento, in cui dopo anni di Gallery e di Visitor Centre si parla nuovamente di museo come spazio vitale in grado di evocare il presente, mettendo in scena il passato. Riteniamo che il Museo della Lavazza rappresenti a tutti gli effetti un nuovo modello di Brand Experience, a cui ogni impresa che ambisce a creare il proprio dovrà inevitabilmente guardare. Il percorso espositivo del Museo si snoda attraverso un viaggio sensoriale-emotivo nella cultura globale del caffè attraverso cinque stanze tematiche. L’enfasi ancora una volta è sui contenuti e non sui dispositivi tecnologici, che facilmente possono invecchiare, al contrario la sfida è quella di dare valore alla propria specificità, al proprio racconto, che a differenza del supporti deve sempre restare contemporaneo.
L’attenzione crescente per gli archivi è una moda o è destinata a durare?
Credo che la nostra cultura sia assolutamente una cultura archivistica, che ci vede quotidianamente impegnati nel documentare e nel lasciare tracce della nostra storia, in cui è sempre più forte la dimensione partecipativa, la condivisione dei propri momenti, con modalità nuove che genereranno nuovi comportamenti e la crescita esponenziale di archivi personali. In questa logica il futuro è rappresentato da tutti i quei progetti che hanno l’obiettivo di raccontare la memoria personale e collettiva. Non sorprendono le donazioni spontanee dei propri fulmini di famiglia, che sono alla base del progetto Archivisioni, presentato al Museo del Cinema, in cui la grande storia e la piccola storia sono parte di un comune modello narrativo.
Archivissima rappresenta l’evoluzione del format “La notte degli Archivi”, tenutosi per due edizioni nel 2016 e nel 2017, che si è ripetuto anche quest’anno a conclusione del Festival, in cui rinomati scrittori, in orari serali, hanno letto e interpretato i documenti conservati negli archivi. Sin dall’inizio abbiamo immaginato di realizzare il Festival Archivissima ma ci siamo dati un paio d’anni per verificare la giustezza della nostra intuizione. La coincidenza dell’apertura del Museo Lavazza a Giugno del 2018 con il convegno Brandscape e il lancio del secondo numero del nostra magazine Archivio, ci hanno spinto ad accelerare la nascita del Festival, consapevoli che la città di Torino, sia per dimensioni che per la rete di istituzioni disseminate nel territorio, si presta perfettamente ad ospitarlo. Una vocazione che nasce da una forte identità industriale, forgiata da imprese storiche come la Fiat e la Compagnia di Sanpaolo, e da attori economici e culturali, che sia a livello locale che regionale, sono sempre stati sensibili al tema dell’archiviazione e della valorizzazione del patrimonio. Inoltre, la collaborazione con il Polo del ‘900, sostenuto dalla Compagnia di San Paolo che ha finanziato il progetto In[TO]68, dedicato agli archivi artistici e filmici del 68, con il Museo del Cinema, e non ultimo il nostro impegno come Promemoria nella digitalizzazione dell’Archivio Olivetti, e il recente riconoscimento di Olivetti come Patrimonio Unesco, hanno reso di fatto Torino la capitale naturale degli archivi.
Dal mal d’archivio di Derrida all’archivio mania, nell’arte contemporanea si assiste già da anni alla messa in scena degli archivi in biennali e mostre che hanno come punto di partenza la collezione di oggetti e di documenti chiamati a raccontare l’ossessione degli artisti. Quanto di questa visione ha influenzato il vostro modo di guardare agli archivi? Che tipo di esperienze sono alla base della prima edizione di Archivissima?
Archivissima in fondo ricorda anche nel nome Artissima, la fiera torinese di arte contemporanea.
Certamente l’arte contemporanea ha rappresentato un modello, offrendo un’estetica e un racconto che ha influenzato la nostra visione archivistica, che ha cercato di portare nella cultura d’impresa, in ambito corporate, un nuovo sguardo, che ci ha permesso di immaginare l’archivio come un fenomeno pop. L’adozione di linguaggi differenti - cinema, letteratura, fotografia, storytelling - per raccontare i documenti li ha resi vivi e parlanti.
Questo approccio ha permesso di dialogare con pubblici allargati, con target trasversali, interessati a scoprire e a fruire diversamente la città e il suo patrimonio (musei, biblioteche fondazioni), attraverso un itinerario fisico e virtuale: 62 location, 150 archivi nazionali coinvolti, 10.000 persone in tre giorni di eventi gratuiti, sono i numeri sorprendenti di Archivissima, un festival sostenuto esclusivamente dai privati di cui stiamo già immaginando l’evoluzione. Stiamo già lavorando alla prossima edizione che coinvolgerà anche archivi ed esperienze internazionali.
In occasione di Archivissima avete presentato la rivista Archivio e play.Archivi.st, un gioco online didattico per i giovani, proposte costruite per target differenti che raccontano la capacità degli archivi di parlare a pubblici diversi.
Abbiamo immaginato Archivissima come un Festival per non specialisti, destinato principalmente alle famiglie e incentrato sul tema dell’accessibilità delle fonti. La Rivista Archivio è pensata per un pubblico di nicchia, attratto dalle produzioni editoriali indipendenti, con un background culturale alto, con interessi per l’arte, il design, le storie d’impresa, perché siamo convinti che a livello corporale c’è spazio per un prodotto editoriale dal carattere trasversale, che approfondisca verticalmente i contenuti, partendo da un tema monografico che diventa occasione di racconto. “Crimine e potere” è il soggetto del secondo numero, in cui gli archivi forniscono gli indizi e le piste, con l’inserimento di documenti originali, tratti per esempio dal caso Moro, che rendono attuale il tema delle fonti, e delle prove alla base dei racconti. Ugualmente, il gioco Archivist ha lo scopo di diffondere tra i giovani l’importanza del saper accedere agli archivi storici e di imparare a riconoscere i contenuti autentici, anche online, un un mondo sempre più popolato di informazioni vere, false e tendenziose.
Accessibilità, autenticità, credibilità, democrazia, sono alcuni dei valori contemporanei associati all’archivio.
Sono ancora una volta tendenze che raccontano come l’archivio incarni bisogni e desideri del presente. Dal punto vista del pubblico, è sempre più sentita l’idea dell’accessibilità, del poter verificare i documenti, pur scontrandosi con il fatto che sono in pochi a saper “leggere” e interpretare correttamente le fonti. La democratizzazione effettiva si misura sempre in termini di partecipazione, l’unica che permetta a tanti di essere autori e non spettatori delle storie, e di dotarsi della capacità critica per saper distinguere il vero dal falso. Diversamente, per le imprese, soprattutto quelle storiche e familiari, l’archivio rappresenta la prova tangibile del proprio esserci nel tempo, che spesso si traduce in azioni e progetti che ricadono sul territorio, sulla comunità di appartenenza, nella logica di restituzione e della responsabilità sociale d’impresa. O ancora nel vanto di essere parte di una storia che parla di umanesimo industriale Per le aziende gestite da fondi di investimento, spesso l’archivio diventa rilevante per il tema della credibilità e della certificazione della propria qualità, con un’enfasi forte sulla storia e l’eccellenza del prodotto.
“Performing the Archive, The future of the past,” è il titolo di un saggio che suggerisce la svolta narrativa che ha reso possibile l’archivio mania, quanto la crisi economica e la cultura digitale hanno influito su fenomeno? C’è una data spartiacque nella vostra esperienza lavorativa?
La nascita di Promemoria nel 2011 è concisa con il nostro primo lavoro all’interno del progetto della Rete di archivi del tessuto biellese, che ci ha messo in contatto diretto con il cambiamento e con le potenzialità suggerite da un vero e proprio mercato, che ha messo al centro il contenuto e le potenzialità dell’archivio come suggeritore di storie. Proprio in quella occasione ci siamo accorti che era finita l’epoca delle grandi catalogazioni, portati avanti con criteri di scientificità dalle più importanti aziende storiche - Fiat, Piaggio, eni - tra gli anni Ottanta e Novanta, per mettere in sicurezza e conservare la propria storia. Nel giro di pochi anni, c’è stata una vera e propria rivoluzione nei linguaggi e nella comunicazione che ha spostato l’attenzione dalla conservazione alla valorizzazione. L’archivio ha smesso di essere un’entità slegata dalla vita aziendale per diventare strumento del racconto strategico dell’impresa. La crisi economica, il fascino della storia come “garanzia” del valore, la nascita di Industry.0, e l’orizzontalità della cultura digitale che necessita continuamente di contenuti nuovi, ha generato il cambio di paradigma. Nella maggior parte dei casi, l’archivio oggi è dentro i laboratori di ricerca, all’interno dell’Ufficio Stile, nelle Academy, e gioca un ruolo chiave nella progettazione e nell’ispirazione dei prodotti, suggerendo progetti di comunicazione e di formazione. La moda in particolare, dal ostro osservatorio, con le case history di Pucci, di Versace, è stata tra le prime ad usare l’archivio come potente strumento interno. Come Promemoria, l’impegno di questi anni è stato proprio quello di mettere a sistema il contenuto, traducendolo in software, in piattaforme digitali, in riviste, in giochi, che hanno sempre l’archivio al centro. In occasione del convegno Lavazza Brandscape, siamo rimasti colpiti dalle tantissime agenzie di comunicazione che hanno partecipato alla giornata, in fondo anche loro si stanno interrogando su come usare al meglio il brand content, e nello specifico i documenti e le storie per creare valore.
Nel 2011 è iniziata anche la vostra collaborazione con Lavazza, che ha da poco inaugurato il Museo Lavazza e la nuova sede aziendale. Quale è stato il vostro ruolo all’interno del progetto e come immaginate il futuro dei musei d’impresa?
Il ruolo di Promemoria è stato ancora una volta quello di mettere a sistema la storia, selezionando episodi, racconti e immagini provenienti dall’archivio, come vero e proprio spin off del Museo, che ha aiutato il gruppo di lavoro nella definizione del concept e nella scelta del giusto tono di voce, complici i nuovi linguaggi, e le soluzioni allestitive adottate dallo studio internazionale Ralph Appelbaum. Siamo ancora una volta di fronte a un cambiamento, in cui dopo anni di Gallery e di Visitor Centre si parla nuovamente di museo come spazio vitale in grado di evocare il presente, mettendo in scena il passato. Riteniamo che il Museo della Lavazza rappresenti a tutti gli effetti un nuovo modello di Brand Experience, a cui ogni impresa che ambisce a creare il proprio dovrà inevitabilmente guardare. Il percorso espositivo del Museo si snoda attraverso un viaggio sensoriale-emotivo nella cultura globale del caffè attraverso cinque stanze tematiche. L’enfasi ancora una volta è sui contenuti e non sui dispositivi tecnologici, che facilmente possono invecchiare, al contrario la sfida è quella di dare valore alla propria specificità, al proprio racconto, che a differenza del supporti deve sempre restare contemporaneo.
L’attenzione crescente per gli archivi è una moda o è destinata a durare?
Credo che la nostra cultura sia assolutamente una cultura archivistica, che ci vede quotidianamente impegnati nel documentare e nel lasciare tracce della nostra storia, in cui è sempre più forte la dimensione partecipativa, la condivisione dei propri momenti, con modalità nuove che genereranno nuovi comportamenti e la crescita esponenziale di archivi personali. In questa logica il futuro è rappresentato da tutti i quei progetti che hanno l’obiettivo di raccontare la memoria personale e collettiva. Non sorprendono le donazioni spontanee dei propri fulmini di famiglia, che sono alla base del progetto Archivisioni, presentato al Museo del Cinema, in cui la grande storia e la piccola storia sono parte di un comune modello narrativo.