500 magie dei maragià
Treviso. «Magie dell’India. Dal tempio alla Corte, capolavori d’arte indiana» è il nuovo appuntamento, a Casa dei Carraresi, con l’arte dell’Estremo Oriente, dopo il ciclo dedicato alla Cina e la rassegna sul Tibet. In programma fino al 31 maggio, la mostra, curata da Adriano Màdaro, Marilia Albanese e Renzo Freschi, abbraccia quasi quattromila anni di storia, dal II millennio a.C. al II millennio d.C. e, pur nel suo rigore scientifico, fa volutamente leva sulle suggestioni che questo continente ha sempre suscitato nell’immaginario occidentale. Per questo non adotta un criterio cronologico o geografico ma s’incentra sui due cardini del tempio, l’arte nell’India classica, che privilegia l’aspetto religioso, e l’India dei maragià, focalizzata sul potere politico e l’ambiente della corte. Con l’avvertenza, sottolinea l’indologa Marilia Albanese, che i due aspetti sono correlati: sacro è il re e regale la divinità, accomunati da uno stesso rituale e, soprattutto, dallo splendore dei manufatti, dei tessuti e dei gioielli: sono ben 500 gli oggetti esposti. Un continente così ricco di religioni e di mitologia non poteva non avere una molteplice rappresentazione specie dal punto di vista scultoreo (nella foto, «Maitreya», II-III sec. d.C., regione del Gandhara), come si evince dalle cinque sale che costituiscono il nucleo della mostra, con il côté terreno dell’arte erotica e un capitolo specifico per l’arte del Gandhara, di ispirazione buddhista ma classica nel suo riferimento alla tradizione ellenistica. A caratterizzare i fasti delle corti dei maragià sono i colori brillanti delle miniature (le più antiche risalgono al XII secolo) e dei dipinti, insieme alle vesti sontuose e alla ricchezza delle armi. A conclusione una rassegna documentaria dei rapporti intercorsi tra l’Italia e l’India, a cominciare dall’epoca romana.
da Il Giornale dell'Arte numero 336, novembre 2013