«Vorrei un gatto che abbaiasse»
Con lo strumento della fondazione per la gestione di beni pubblici si è cercata una direzione di autonomia progettuale ed operativa, aprendo all’apporto dei privati. Perché dai soggetti privati è possibile ottenere, non solo risorse economiche, ma anche competenze per instradare gestioni virtuose. Si tratta di un passo avanti, ma di esperienze a luci e ombre, con una trasformazione della natura giuridica che molte volte ha portato a «privatizzazioni» solamente nominali o di facciata. L’altra via è quella di affidare a soggetti privati, sia del Terzo settore che del mondo dell’impresa, la gestione del bene culturale nella sua unitarietà. Naturalmente si parla di una “privatizzazione” della conduzione e non del bene per dare dinamicità e nuove prospettive al settore. Avanzare timide riforme per ritoccare il sistema esistente è un esercizio di stile, scarsamente risolutivo. La scarsa o pressoché nulla autonomia dei siti statali è l’emblema di una «cristallizzazione» che allontana qualsiasi privato. Rideterminare i confini dell’intervento pubblico. È questo il primo e più urgente nodo da affrontare per avere un nuovo sistema di governo dei beni culturali. Per dirla col premio Nobel Milton Friedman: «Che pensereste di chi dicesse: Vorrei un gatto, che abbaiasse?». Le leggi biologiche non sono tanto più rigide di quelle che definiscono il comportamento del settore pubblico.
Filippo Cavazzoni è Direttore Istituto Bruni Leoni
Dal Rapporto Annuale Fondazioni in Il Giornale dell'Arte, n. 338, gennaio 2014