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«Social Roots»: l'innovazione sociale incontra il settore agroalimentare

  • Pubblicato il: 15/07/2015 - 16:19
Rubrica: 
DOVE OSA L'INNOVAZIONE
Articolo a cura di: 
Vittoria Azzarita

La Fondazione Giacomo Brodolini coordina il progetto «Social Roots» con l'intento di creare connessioni tra settore agroalimentare e innovazione sociale. Per comprendere meglio la genesi e il modus operandi del progetto, abbiamo posto alcune domande ad Antonio Dell'Atti, Project Manager presso l’Ente sui temi dell’innovazione sociale e dell’imprenditoria social
 
 
Nell'anno di EXPO Milano 2015, il settore agroalimentare è tornato al centro del dibatto nazionale non solo per l'importanza economica rivestita da tale comparto produttivo (che secondo un recente studio di Nomisma ha segnato un più 40% in sette anni) ma anche per le implicazioni ambientali e culturali connesse al ritorno alla terra e a un maggior rispetto per l'ambiente e il paesaggio.
 
In linea con gli obiettivi della Strategia Europa 2020, che mira a raggiungere una crescita economica che sia al contempo intelligente, sostenibile e inclusiva, anche la Comunità Europea ha ribadito il suo impegno a favore delle aree rurali all'interno della Programmazione 2014-2020. Secondo quanto riportato sul portale della Rete Europea per lo Sviluppo Rurale, sono tre gli obiettivi strategici a lungo termine che la politica di sviluppo rurale dell’UE intende perseguire di qui al 2020: il miglioramento della competitività dell’agricoltura; la gestione sostenibile delle risorse naturali e l’azione per il clima; e uno sviluppo territoriale equilibrato per le zone rurali, obiettivi possibili solo con un netto cambiamento culturale rispetto allo sfruttamento del suolo.
 
Sulla scia di tali priorità, proprio in questi giorni in Italia è stata approvata dal Senato della Repubblica la legge quadro in materia di agricoltura sociale che, oltre a garantire «l'inserimento socio-lavorativo di soggetti svantaggiati, molto svantaggiati e disabili», prevede anche la possibilità di realizzare progetti finalizzati all'educazione ambientale e alimentare, al rispetto della biodiversità e alla diffusione della conoscenza del territorio attraverso attività didattiche e interventi di valorizzazione culturale delle aree rurali. Sono molteplici infatti le iniziative – finanziate anche a livello locale con i fondi messi a disposizione dai Gruppi di Azione Locale (GAL), solitamente formati da soggetti pubblici e privati allo scopo di favorire lo sviluppo locale di un'area rurale - che cercano di diffondere un diverso modo di fare agricoltura, utilizzando la cultura come mezzo per divulgare una nuova idea di paesaggio rurale, con l'intento di riportare in vita luoghi e tradizioni che sono costantemente minacciati dal degrado e dall'abbandono.
 
In tale contesto si inserisce il progetto «Social Roots. Exploring Social Innovation in Agrifood» coordinato dalla Fondazione Giacomo Brodolini. La Fondazione, nata nel 1971 in memoria dell’ex ministro del lavoro  a cui si deve l’approvazione dello Statuto dei lavoratori, pone al centro delle sue attività di ricerca e promozione culturale, i problemi più rilevanti e urgenti riguardo a occupazione, tutela del lavoro e protezione sociale, adottando una rigorosa metodologia scientifica e un approccio interdisciplinare. Per comprendere meglio il modus operandi del progetto e il ruolo giocato dall'agricoltura nell'attuale contesto economico italiano, abbiamo posto alcune domande ad Antonio Dell'Atti, Project Manager presso la Fondazione Giacomo Brodolini sui temi dell’innovazione sociale e dell’imprenditoria sociale.
 
 
«Social Roots. Exploring Social Innovation in Agrifood» è una piattaforma che intende promuovere un dialogo privilegiato tra innovazione sociale e filiera dell'agroalimentare. Come nasce il progetto e qual è il ruolo svolto dalla Fondazione Giacomo Brodolini in qualità di coordinatore?
Negli ultimi tre anni, la Fondazione Giacomo Brodolini ha investito molto nella promozione di un ecosistema dell’innovazione sociale in Italia, con la visione di connettersi ai principali hub europei e internazionali. Dalla fine del 2012, la Fondazione, in partnership con Impact Hub Milano, gestisce FabriQ, l’incubatore di innovazione sociale del Comune di Milano, che in meno di tre anni ha incubato e assistito circa 15 startup ad elevato impatto sociale. L’esperienza di FabriQ e di altre iniziative simili in Italia, unita alla formidabile opportunità rappresentata da EXPO Milano 2015, ha fatto nascere la scintilla di puntare sulla creazione di una piattaforma internazionale di incontro tra domanda e offerta di innovazione sociale su uno specifico tema: l’agrifood. Così nasce Social Roots.
 
 
Oltre alla Fondazione Giacomo Brodolini, quali sono gli altri partner del progetto e che ruolo svolge ciascuno di essi?
Fin da subito, abbiamo scelto la logica della partnership per lo sviluppo della piattaforma, affiancandoci a soggetti con un’esperienza ancora maggiore della nostra sul tema dell’agrifood, in una logica di sano e mutuo apprendimento. In questi primi 6 mesi di progetto, ci affiancano in questa esperienza realtà nazionali come: Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA – ex INEA), Seeds and Chips, Parco Tecnologico Padano, Fondazione ItaliaCamp, Tecnogranda, RENA, Make a Cube, oltre a partner internazionali come Social Good Brazil, Forum for the Future e Atelier Slice. Il ruolo dei partner è quello di fornire, in vari modi, sostegno nella promozione della piattaforma e di offrire opportunità ai progetti e startup che si affiancheranno alla piattaforma, ai fini di una loro crescita e consolidamento.
 
 
Tra le azioni intraprese nell'ambito del progetto vi è il lancio di una «Call for Solutions» internazionale. Ci può raccontare di cosa si tratta e quali sono i principali risultati che vi aspettate di raggiungere attraverso questo bando?

La Call for Solutions è stato il nostro primo banco di prova per testare Social Roots. Era aperta a progetti di impresa, startup, PMI, cooperative con un focus sul settore agrifood, ma che avessero in qualche modo al loro interno logiche di innovazione sociale. Tra i temi della Call, vi erano sicurezza alimentare, biodiversità, cooperazione allo sviluppo, qualità dei prodotti, filiere alimentari. La Call ha raccolto fino al 30 giugno ben 87 progetti, provenienti da 10 Paesi: Brasile, Senegal, Ghana, Colombia, Stati Uniti, Francia, Spagna, Bosnia Erzegovina, Giordania, Grecia. In questo momento, siamo nella fase di valutazione. Entro il 20 luglio, presenteremo i 20 vincitori che parteciperanno gratuitamente ad EXPO Camp.
 
 
A tal proposito, il vostro progetto prevede infatti la realizzazione di un percorso di sostegno e accelerazione allo sviluppo di idee e progetti capaci di coniugare il settore dell’agrifood con l'innovazione sociale. In cosa «EXPO Camp» è simile a un tradizionale incubatore d'impresa e in cosa si differenzia?
L’EXPO Camp è una esperienza formativa di una settimana che mira a supportare e sviluppare le idee e i progetti dedicati all’innovazione nel settore agroalimentare, che abbiano un forte impatto sociale. Oltre alle attività di formazione che si terranno a FabriQ, ci saranno straordinarie esperienze di netowrking e business matching. I partecipanti avranno l’occasione di visitare il Parco Tecnologico Padano a Lodi, ed entrare in contatto con le startup incubate all’interno del programma di accelerazione del Parco, ma anche di entrare in contatto con il programma di promozione delle startup tecnologiche sul food promosso dal Padiglione USA “Feeding the Accelerator”. Inoltre ci sarà un'intera giornata dedicata al business matching, all’interno di EXPO in vari Padiglioni (Società Civile, Coldiretti, USA, Marocco, ecc.) in cui faremo incontrare le startup e i progetti partecipanti con investitori italiani e stranieri. Expo Camp è il primo “premio” per i vincitori della Call, ma è aperto anche a soggetti che non hanno partecipato alla Call. Le iscrizioni sono aperte fino al 3 agosto, con la possibilità di accedere con uno sconto per chi si iscrive entro il 20 luglio.
 
 
Un'altra iniziativa interessante partita durante il mese di maggio è rappresentata dai «Social Roots Days»: come sono organizzati e a chi si rivolgono principalmente?
I Social Rots Days sono giornate di presentazione della piattaforma, in cui cerchiamo di aggregare rappresentanti della domanda e dell’offerta di innovazione sociale nel settore agroalimentare, quindi startup ma anche incubatori, aziende o realtà pubbliche e private in grado di offrire un qualche tipo di supporto a progetti ancora non pienamente consolidati. Ne abbiamo già svolti due, uno a Roma presso la sede del CREA (ex INEA), e uno a Torino con il sostegno di ConfCooperative Torino, Camera di Commercio di Torino, e Banca Alpi Marittime.
 
 
Se dovesse fornire qualche esempio pratico, cosa significa oggi fare innovazione sociale nel settore agroalimentare? Esistono delle best practices anche nel nostro paese?
Il nostro Paese da questo punto di vista è messo molto bene, forte di un’esperienza secolare in entrambe queste macrocategorie: agroalimentare e innovazione sociale. Quello che noi proviamo a fare è fare emergere esperienze che siano il frutto di un connubio tra queste categorie, al fine di promuovere un reale ecosistema nazionale. In Italia ci sono molte best practices in questo senso, e abbiamo per questo motivo deciso di fornire una vetrina nella piattaforma nella sezione “Il Raccolto delle Idee”, che rappresenta uno strumento per mappare i casi di innovazione sociale nel settore dell’agrifood a livello nazionale e internazionale.
 
 
Il comparto dell'agroalimentare oltre ad essere una delle eccellenze del Made in Italy, è anche un settore ad elevato contenuto culturale in quanto specchio delle tradizioni e del genius loci del nostro territorio. In che modo, dal suo punto di vista, il progetto “Social Roots” può contribuire all'emersione degli aspetti culturali connessi alla vita rurale e a un maggior rispetto per l'ambiente e il paesaggio?
La ruralità e la valorizzazione dell’ambiente e del paesaggio sono temi strettamente connessi a Social Roots. Tra le 87 proposte ricevute, moltissime si inseriscono in questo filone con progetti aventi l’obiettivo di riqualificare terreni agricoli, oppure intere aree e produzioni spesso abbandonate a causa dello spopolamento dei centri urbani soprattutto da parte dei più giovani. Ma per fortuna, nell’ultimissimo periodo, questo trend sta cambiando, e molti giovani stanno riscoprendo la bellezza di ritornare a contatto con la terra, ma anche l’utilità in termini economici. Sarà un processo lungo, ma siamo sulla buona strada.
 
 
In un momento storico in cui i fenomeni migratori sono nuovamente al centro del dibattito mainstream, è possibile trasmettere una cultura dell'inclusione e della redistribuzione della ricchezza tra i popoli attraverso l'adozione di un modello economico alternativo basato sul rilancio del settore agroalimentare?
Questo è uno dei grandi messaggi di EXPO 2015. Un nuovo modello economico basato su un maggiore rispetto dell’ambiente, della diversità anche culturale dei popoli è possibile ed anzi auspicabile. Un modello che non tenga conto delle diverse tradizioni e culture alimentare non può funzionare nel lungo periodo, ed è controproducente anche da un punto di vista culturale, con danni enormi soprattutto per le comunità più piccole e lontane dai grandi centri, e per i piccoli produttori. D’altronde, come diceva Joan Mirò: «Sono le cose più semplici a darmi delle idee. Un piatto in cui un contadino mangia la sua minestra, l'amo molto più dei piatti ridicolmente preziosi dei ricchi».
 
 
Analizzando i dati pubblicati dall'Eurostat, si nota come in Italia nel corso del 2013 le attività agricole in senso stretto abbiano prodotto un valore aggiunto lordo del 2,1%, occupando l'ultima posizione tra i settori produttivi che compongono il valore aggiunto complessivo. Perché secondo lei un settore fondamentale per la nostra società non ha saputo conquistare un peso economico maggiormente rilevante?
Come dicevo prima, qualcosa per fortuna sta cambiando. In termini occupazionali, nel 2014, l'agricoltura ha segnato un risultato positivo, con un incremento delle unità di lavoro dell'1,4%. A nostro avviso, EXPO può e sta già rappresentando un incredibile volano per il settore italiano, che avrà ripercussioni positive per i prossimi anni a venire.
 
 
Se pensa al futuro di “Social Roots”, quali nuove iniziative vede nel medio e lungo periodo?
Social Roots non finisce con EXPO. Il nostro obiettivo di medio-lungo termine è quello di divenire una piattaforma riconosciuta anche a livello internazionale per aggregare progetti e startup attivi nel settore agrifood a realtà più solide (come aziende, o gruppi di aziende) che possano realmente supportare la loro crescita e il loro consolidamento, in una logica di open innovation. L’obiettivo è quindi quello di contribuire alla creazione di un ecosistema di imprese, organizzazioni non profit e istituzioni, che lavorano insieme per lo sviluppo di nuovi modelli di sviluppo sostenibile nel settore agroalimentare.
 
 
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