DAL LIBERTY IN ITALIA ALLA VISIONE DEL FUTURO
Qualità e valore dei progetti culturali nei programmi della Fondazione Palazzo Magnani di Reggio Emilia – A colloquio con il nuovo Presidente Davide Zanichelli.
La Fondazione Palazzo Magnani, nella sua prestigiosa sede di Reggio Emilia, popone fino al 14 febbraio 2017 un’ampia indagine sul Liberty in Italia, con sette sezioni che collocano in un percorso unitario attraverso quasi 300 opere (dipinti, sculture, grafica, progetti architettonici e decorativi, manifesti, ceramiche) le multiformi manifestazioni espressive di questa tendenza artistica, grazie a selezionatissimi prestiti provenienti da importanti Musei italiani e da straordinarie collezioni private, in molti casi esposti al grande pubblico per la prima volta.
«All’interno di una idea più ampia e generale di Liberty italiano – sottolineano i curatori Francesco Parisi e Anna Villari – abbiamo voluto porre a confronto le due diverse tendenze, cercando di assecondare in questo modo il dibattito storico artistico dell’epoca che individuava, come vera essenza del Liberty, la linea fluente, floreale e decorativa e, d’altra parte, recuperando il modello critico della letteratura coeva che identificava nel Liberty tutto ciò che era considerato moderno e di rottura, includendo quindi anche quelle esperienze non propriamente classificabili in Italia come floreali ma piuttosto moderniste o secessioniste».
La mostra è infatti dedicata al dialogo tra le diverse forme d’arte e ogni sezione mette in luce l’alternanza tra le due “anime” del Liberty italiano: quella floreale e quella “modernista”, più vicina alle influenze europee che porterà da lì a poco allo sviluppo del linguaggio decorativo in chiave più stilizzata ed essenziale.
Una chiave di lettura delle multiformità espressive – in questo caso del Liberty che, divenuto movimento tendenza e moda, dopo più di cento anni non ha ancora esaurito il suo fascino e la sua seduzione – nello stile di ricerca che nel corso di questi anni ha caratterizzato l’attività culturale ed espositiva della Fondazione Palazzo Magnani.
Che di recente ha rinnovato il suo Consiglio di Amministrazione e ad Iris Giglioli è succeduto alla Presidenza Davide Zanichelli, il quale ha accettato, in questa occasione, di anticipare al Giornale delle Fondazioni le linee dei programmi futuri.
Appena insediato, si apre questa importante mostra sul “Liberty in Italia”. Come si caratterizza a suo parere e come si colloca nei progetti della Fondazione?
La mostra, pensata nel corso di due anni di lavoro, è stata prodotta dalla Fondazione Palazzo Magnani e da Silvana editoriale nell'ottica di una costruzione ex novo di un progetto inedito e originale. Gli obiettivi che da sempre la Fondazione si prefigge, e che continuerà a prefiggersi, sono quelli di dare vita ad appuntamenti espositivi che consentano di aggiungere un tassello di conoscenza sui temi affrontati. Il taglio scelto per la mostra sul Liberty va proprio in questa direzione, presentando le espressioni italiane del movimento nella loro veste multidisciplinare e meno nota (molte sono le opere esposte per la prima volta) e cercando di dimostrare come in Italia l'arte liberty fosse molto di più del consueto floreale europeo e contenesse elementi modernisti e inquieti di grande intensità.
Lei è un imprenditore che unisce in modo originale esperienze diverse nell’”information technology” e nel marketing culturale. Appena insediato al vertice della Fondazione, con quali idee e programmi intende svilupparne le iniziative e caratterizzarne il ruolo?
La Fondazione ha quasi 20 anni. Possiamo dire che stia uscendo dall’adolescenza per avviarsi verso una maturità piena, sia istituzionale che gestionale. Vede infatti convergere, in maniera inedita, gli interessi delle principali istituzioni della città con un forte coinvolgimento, destinato ad ampliarsi, dei soggetti economici del territorio. Il Consiglio d’Amministrazione riunisce competenze multidisciplinari e complementari: amministrazione, finanza, marketing, comunicazione, cultura, arte, educazione e formazione. Sarà questa la squadra che definirà la cornice del progetto culturale per i prossimi anni. Progetto al quale Consiglio e Comitato Scientifico avranno poi il compito di dare contenuto con una programmazione coerente. In tutto ciò information technology e comunicazione avranno, inevitabilmente, un ruolo nuovo e fondamentale.
Come si articolerà la vostra interazione con il territorio, e come pensa di sviluppare la collaborazione con le istituzioni locali, con le Fondazioni e gli “sponsor” privati?
Auspichiamo un forte coinvolgimento delle istituzioni locali (sistemi culturali, educativi e della ricerca) sia nella progettazione che nella fruizione. Avremo uno sguardo molto attento al mondo dell’economia, ben sapendo che oggi le dinamiche sono globali così come lo sguardo che dobbiamo avere, verso l’Europa e verso il mondo. Accogliendo nella programmazione della Fondazione nuovi spazi oltre al Palazzo di Corso Garibaldi e nuove iniziative (Fotografia Europea e il cartellone di Restate), ci presenteremo a partner e sponsor con nuove proposte, maggiormente integrate, più flessibili e scalabili.
La Fondazione ha ereditato la Collezione d’arte della Provincia di Reggio Emilia. Ritiene opportune strategie di investimento per lo sviluppo di questa e altre collezioni? Che spazio attribuisce all’arte contemporanea?
La Fondazione ha nel tempo valorizzato e anche in parte fatto circuitare nel territorio nazionale il proprio patrimonio artistico insieme a quello della Provincia, attraverso mostre e prestiti. Si tratta di un patrimonio fotografico importante (con autori quali Michael Kenna, Franco Fontana, Gerard Castello Lopez, Stanislao Farri e molti altri) e di opere d’arte che spaziano tra la fine dell’Ottocento e oggi (da Anselmo Govi a Arnaldo Pomodoro). La possibilità di far conoscere questo patrimonio e di costruire percorsi espositivi da proporre a eventuali partner è un campo di lavoro dalle enormi potenzialità su cui si ha sicuramente intenzione di investire. Il primo step sarà la digitalizzazione e la messa on line delle collezioni.
La Fondazione agisce in un contesto economico, sociale e culturale che ha fatto della contemporaneità non tanto uno “status” temporale quanto un atteggiamento, di cui il DNA reggiano è intriso. Reggio Emilia, in molti campi, è stata ed è tutt’ora avanguardia, per qualità di prodotto, di servizio e attitudine alla sperimentazione. Anche i segni che marcano il territorio vanno in questa direzione (basti pensare ai ponti e alla stazione di Calatrava o alla Collezione Maramotti), ma non mi piace chiudere un progetto culturale in una etichetta storiografica. Ho visto bellissime mostre di arte rinascimentale parlare alle corde della sensibilità contemporanea meglio di qualsiasi saggio o trattato di sociologia.
Avrà anche lei problemi di “spending review” tra dimensione dei progetti e risorse disponibili?
Penso che la sostenibilità sia un valore a cui non si deve sottrarre neppure la cultura. Rimango convinto che buoni progetti possano trovare adeguate coperture. Questo ci costringe a riflettere innanzitutto sul valore del denaro quando speso in cultura. Il denaro è tutto uguale? In cultura viene principalmente utilizzato quello proveniente dalle nostre tasse, quello investito in sponsorizzazioni o convenzioni e quello frutto di donazioni liberali. Come si riflette la provenienza e la finalità delle diverse tipologie di denaro nella qualità e nel valore dei progetti culturali che da esso sono sostenuti? Qual è il giusto mix che porta salute al processo? Quali effetti produce? In cosa si trasforma? È, questo, un percorso che mi piacerebbe facesse tutta la comunità (politica, economia e cultura) attraverso gli spunti di riflessione e di partecipazione che la Fondazione le metterà a disposizione.
Come valuta, da imprenditore, le politiche culturali in Italia? Che impatto ha sui vostri progetti l’Art bonus introdotto dal Governo? Cosa manca a suo avviso al quadro normativo e fiscale? Quali esperienze di successo a livello internazionale potrebbero essere un utile riferimento per noi in Italia?
Non sono un esperto di fiscalità, anzi non vedo l’ora di imparare cose nuove in questo settore. L’Art bonus è certamente una piccola rivoluzione in un settore stagnante da sempre e dunque ha fatto, giustamente, un certo rumore. Si rivolge tuttavia ad uno spettro di interventi molto precisi e definiti. La riflessione andrebbe forse portata ad un livello più generale, riconoscendo come il rapporto tra denaro e cultura nel nostro paese sia sempre stato mediato dall’intervento statale e dalla leva fiscale. Forse i tempi sono maturi per iniziare a guardare al denaro, a quello di dono in particolare, come ad una fonte di salute per la vita del corpo sociale, esattamente come facciamo, più facilmente, quando doniamo per cause legate alla salute del corpo fisico. Entrambi sono organismi delicati che hanno bisogno di cure e di risorse, ma soprattutto hanno bisogno di essere accompagnati da giusti pensieri, soprattutto quando si mette mano al portafoglio.
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Davide Zanichelli, 44 anni, laurea in Filosofia all’Università degli Studi di Bologna, studi competenze ed esperienze professionali nella progettazione e management dei processi culturali, nella comunicazione e nella multimedialità. È fondatore e amministratore di Netribe Communications, agenzia di marketing e comunicazione che ha curato progetti per la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Sovraintendenze archeologiche e diverse Regioni italiane. Dal 2000 al 2009 è stato docente dell’Università degli Studi di Siena, sede di Arezzo, dove ha insegnato Informatica umanistica nel Corso di laurea in Filosofia, Storia e Comunicazione. Dal 2013 è presidente dell’Associazione per la Pedagogia steineriana di Reggio Emilia e vicepresidente della Cooperativa Sociale “Libera Scuola Steiner-Waldorf”, dove si occupa della gestione dei servizi educativi e della programmazione culturale.