Per una nuova ecologia sociale
«Insieme al patrimonio naturale, vi è un patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. È parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. Non si tratta di distruggere e di creare nuove città ipoteticamente più ecologiche, dove non sempre risulta desiderabile vivere. Bisogna integrare la storia, la cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali dell’umanità nel loro significato più ampio».
Quello che ho riportato sopra è un estratto di Laudato Si, l’enciclica di Papa Francesco - proprio in queste ore in visita nella nostra città - da molti definita il primo e storico pronunciamento “green” della Chiesa.
Ma basta leggere con attenzione queste parole per cogliere in esse un approccio evoluto: mentre riporta l’attenzione sull’urgenza di trovare un nuovo equilibrio tra uomo e Natura, lo scritto del Papa estende il perimetro dell’ecologia oltre la prospettiva strettamente ambientalista, includendo al suo interno anche la dimensione culturale.
Un messaggio rivoluzionario che sancisce una volta di più (e con tutta la autorevolezza del caso) un assioma incontrovertibile, e cioè il ruolo primario del patrimonio storico, artistico e culturale nello sviluppo delle comunità – e prima ancora, aggiungo, nella loro sopravvivenza - e del loro benessere, del senso di appartenenza nei loro membri, nella loro capacità di costruire, definire e coltivare la loro propria identità.
L’ecologia richiede di prestare attenzione alle culture locali, scrive Bergoglio, ed è proprio così: dalla loro cura e integrazione con il paesaggio naturale e culturale nasce il genius loci, esito esclusivo della stratificazione della storia collettiva e delle esperienze umane che la determinano.
Ma se l’analisi è più che mai opportuna e puntuale, i tempi sono maturi per far seguire l’azione alla riflessione. Quella che viviamo oggi è la condizione che Ernst Bloch definiva «non più e non ancora», una sorta di zona grigia in cui la propulsione al cambiamento si avverte ma non è ancora sufficiente a realizzarlo.
Eppure, guardando al nostro pezzo di mondo e all’ecosistema che ci circonda, le indicazioni del Papa rappresentano apertamente un monito verso la valorizzazione - tema consumato nelle sale convegni ma approcciato non ancora efficacemente nella realtà – nella doppia logica di «attribuire» (meglio: restituire) valore riflessivo alla dimensione storico-artistica e culturale, e allo stesso tempo «trarre» valore in termini di sviluppo umano, sociale ed economico.
Riceviamo dal Papa uno stimolo in più a lavorare sull’investimento non più e non solo sui grandi attrattori, come vengono chiamati musei e istituzioni culturali più note e importanti, ma piuttosto sul patrimonio diffuso, che è il vero vantaggio competitivo del nostro Paese; non più e non solo sull’attrazione della quantità (di turisti, di biglietti...) magari puntando tutto sulle città, ma sullo sviluppo dei territori e sull’integrazione della loro offerta culturale, paesaggistica, enogastronomica. Senza inventare nulla di nuovo, ma semplicemente secondo la migliore, più storica e apprezzata tradizione italiana.
da La Repubblica, 22 giugno 2015