Incapacità di spesa. Rischiamo di restituire alla EU 5 miliardi
Un chiaro esempio di Paese schizofrenico. Prendiamo in esame due elementi. Il primo. Nonostante le promesse solenni, anche per il ciclo di programmazione europea 2007/2013, l’Italia è finita in sofferenza. Nella recente relazione al Parlamento, il Sottosegretario Graziano Del Rio, con delega alla Coesione territoriale (il Ministero è stato cancellato da Renzi), ha dichiarato che entro dicembre 2015 dobbiamo ancora spendere 25 miliardi delle risorse della programmazione 2007/2013. Contemporaneamente ha denunciato che rischiamo di restituire all’Unione Europea ben 5 miliardi di euro per incapacità di spesa.
Le ragioni sono tante.
Per tutte segnalo: scarsità di progetti «sensati», procedure amministrative e burocratiche farraginose.
Il secondo elemento richiede un ragionamento più articolato. Nel 2019 l’Italia e la Bulgaria esprimeranno le due città Capitale Europea della Cultura. Un appuntamento straordinario su cui torneremo più avanti. Per ora ci limitiamo a segnalare che a questa competizione hanno partecipato 21 città italiane (8 in Bulgaria), di cui tre non hanno visto protagoniste le Amministrazioni pubbliche. Fra le rimanenti 18, sei (Ravenna, Siena, Perugia con i Luoghi di Francesco d’Assisi e dell’Umbria, Lecce, Matera e Cagliari) sono state selezionate per la fase finale. A giudicarle è stata una Commissione di esperti (7 europei e 6 italiani) presieduta dall’inglese Steve Green il quale, nella conferenza stampa di presentazione delle valutazioni, ha espresso un giudizio largamente positivo sui dossier di candidatura. Le città candidate (Aosta, Bergamo, Mantova, Venezia e il Nord Est, Pisa, Grosseto, Urbino, L’Aquila, Caserta, la Città diffusa e il Vallo di Diano, Taranto, Reggio Calabria, Erice, Palermo, Siracusa, più le sei finaliste), in coerenza con il profilo della competizione, hanno predisposto progetti di riqualificazione e valorizzazione del patrimonio culturale, di rigenerazione urbana, di ammodernamento del sistema di accoglienza, oltre che un palinsesto di eventi per il 2019 di buona fattura, avendo chiara la necessità di disegnare un modello urbano di interesse per l’Europa. In un certo senso si possono definire vere smart cities perché si sono date un obiettivo da raggiungere e hanno acceso i pensieri creativi dei propri cittadini. Ogni dossier di candidatura è stato costruito con la partecipazione della comunità, delle istituzioni regionali, dei soggetti di rappresentanza, realizzando il massimo della condivisione su obiettivi strategici per il futuro delle diverse città, oltre che un’esemplare esperienza di democrazia partecipativa su cui si è ragionato troppo poco. Proprio la qualità dei progetti allestiti, e la procedura usata per la validazione e la condivisione del programma, ha suggerito di non disperdere il lavoro svolto, a prescindere dall’esito della competizione. Lo strumento individuato per valorizzare il patrimonio progettuale, per iniziativa dell’Associazione delle Città d’Arte e Cultura a cui aderisce la quasi totalità delle città candidate, ha preso il nome di Italia 2019. Un programma finalizzato a dare concreta attuazione ai migliori progetti di riqualificazione del patrimonio culturale e di rigenerazione urbana, previsti nei dossier di candidatura. Perché, se una sarà la città Capitale, è altrettanto vero che tutte le candidate possono contribuire a fare dell’Italia la Capitale Europea della Cultura per il 2019. A questo punto è bene ricordare che ogni dossier di candidatura, per ciascuno dei progetti presentati, indica gli investimenti necessari, le fonti possibili di finanziamento (pubblico e privato) e i tempi di realizzazione nell’arco temporale 2014/2018. Un parco-progetti che ha indotto il Parlamento, con voto unanime di tutti i partiti, a impegnare il Governo (Letta) a realizzare il progetto Italia 2019, utilizzando principalmente le risorse europee relative al ciclo 2007/2013 e 2014/2020. E parere favorevole è stato espresso anche dal Presidente del panel degli esperti, Steve Green, nel momento in cui ha suggerito alla Commissione Europea di assumere Italia 2019 come una «buona pratica» da adottare per le prossime edizioni della competizione. Quest’ampio consenso ha attirato l’attenzione del precedente Governo che ha indicato una procedura grazie alla quale le città candidate avrebbero potuto dare avvio all’attuazione dei propri progetti, utilizzando da subito le risorse europee che residuano, oltre che le nuove stanziate con il prossimo ciclo di programmazione. L’attenzione si è quindi concentrata sulla legge «Destinazione Italia» (Legge 21 febbraio 2014, n°9) che, fra l’altro, stanzia 500 milioni di euro (residui delle risorse europee) per finanziare progetti di valorizzazione del patrimonio culturale presentati da città con una popolazione fra 5 e 150 mila abitanti, per importi che vanno da 1 a 5 milioni. Progetti da realizzare e fondi da spendere entro dicembre 2015. E qui scatta la contraddizione. Come spesso succede, approvare una legge non determina subito la sua applicazione se rimanda ad un decreto attuativo. E’ il nostro caso. Dopo due mesi dall’approvazione della legge, non è stato ancora promulgato il decreto e le città candidate, come altre, non possono presentare i propri progetti. Quindi le risorse ci sono, la legge di spesa pure, i progetti immediatamente cantierabili anche, manca il decreto attuativo. Risultato: ai 5 miliardi che Del Rio paventa di dover restituire a Bruxelles potrebbero aggiungersi anche questi ulteriori 500 milioni. Ecco il Paese schizofrenico! Aggiungo una ulteriore considerazione. Italia 2019 è uno scrigno di progetti validati dalle comunità, dalle istituzioni locali e regionali e valutati da un panel di esperti. Sono quindi pronti per dare forma a veri e propri accordi di programma fra le singole città, le rispettive Regioni e le istituzioni statali, finanziabili con le risorse provenienti dalla nuova programmazione europea. Si parte con i fondi residui e si continua con i prossimi disponibili. Se tutti vanno ripetendo che bisogna dare avvio al più presto all’impiego delle risorse europee 2014/2020, allora Italia 2019 è una straordinaria occasione da utilizzare subito. Un Paese che non cresce, con tassi di disoccupazione giovanile elevati, con un divario crescente fra Nord e Sud, come può permettersi di non utilizzare al meglio, e subito, le risorse (circa 60 miliardi) della programmazione europea? Domande che rischiano di rimanere senza risposte plausibili. Siamo entrati in un meccanismo perverso. La progettualità dello sviluppo a livello locale, laddove cioè le migliori energie si mobilitano per «ruminare» futuro, la scala più propria dove il patrimonio culturale può davvero giocare o non un ruolo decisivo per la crescita di una comunità e misurarne l’impatto, in una parola il «territorio», realizza il massimo della creatività e dispone del minimo di potere decisionale. Il «Paese schizofrenico», appunto.