Economia e cultura, il sodalizio passa dal distretto
Se un organo non lo si esercita man mano perde vigore e le sue funzioni vengono compromesse determinandone il decadimento. Questa verità assiomatica potrebbe essere perfettamente valida anche per i beni storico-artistici di cui il nostro Paese è ricchissimo e che spesso rischiano il degrado perché le risorse necessarie alla loro manutenzione non sono sufficienti e, comunque, rappresentano un costo sempre più difficile da sostenere per la collettività. Bisogna, allora, che le risorse culturali dei territori tornino ad essere degli organi sani e vitali, reintegrati nel percorso di sviluppo delle loro comunità. Così le attività di restauro e di manutenzione non saranno più identificabili come un puro costo, ma piuttosto interpretate e gestite come operazioni ricche di potenziali esternalità positive, capaci di dare un loro apporto diretto all’economia locale e allo stesso tempo di produrre benefici per il settore della cultura, ad esempio generando crescita di competenze, tensione a una maggior qualità, apertura al networking e all’innovazione. Esperienze concrete di questo approccio sono i cosiddetti «distretti culturali», il cui modello ha trovato piena sostanza in sei iniziative di Fondazione Cariplo realizzate a partire dal 2005 con venti milioni di euro, ma che ne hanno mobilitati in aggiunta quaranta da parte di altri enti. Ne fa un’analisi accurata il volume a firma di Gian Paolo Barbetta, Marco Cammelli e Stefano Della Torre dal titolo «Distretti culturali: dalla teoria alla pratica» (editore Il Mulino), che è stato presentato il 13 giugno scorso, alla Triennale di Milano, in un convegno organizzato proprio da Cariplo, a cui hanno partecipato fra gli altri il Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Massimo Bray, e il presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri, Giusep pe Guzzetti.
Il progetto Distretti culturali di Fondazione Cariplo, affermano gli autori nell’introduzione al volume, non nasce pensando semplicemente al nesso tra cultura e territorio, ma parte dalle criticità riscontrate nella gestione del patrimonio artistico-architettonico. Si è trattato di realizzare iniziative in cui la cultura potesse divenire un fattore di potenziamento dell’economia, un attrattore, un catalizzatore di innovazione, senza tuttavia rimuovere il tema cruciale, che è la centralità del patrimonio nel contesto italiano e negli interessi, anche economici, del sistema pubblico di gestione della cultura e dei beni culturali. La pubblicazione racconta come i sei Distretti culturali siano stati realizzati e come stiano trovando implementazione. Dal territorio sono state raccolte oltre trenta proposte e undici di queste, sottoposte ad analisi e selezionate sulla base della loro capacità di produrre esiti che andassero al di là del semplice intervento di restauro, sono state approvate come «potenziali» distretti. Ciò in modo da poter costituire, partendo da quell’iniziale proposta, un progetto complessivo caratterizzato dall’attenzione alla qualità degli interventi strutturali, ai problemi di gestione del patrimonio nel lungo periodo, all’integrazione tra cultura e territorio, al superamento dei limiti cognitivi tradizionali in questo campo. Alla fine, attraverso un rigoroso sistema di accompagnamento tecnico, i sei progetti sono divenuti realtà oggi operative. Ne diamo brevemente conto a pagina quattro, mentre a pagina cinque illustriamo altre iniziative di varie Fon dazioni di origine bancaria concettualmente assimilabili, almeno in parte, all’idea di creazione di un distretto culturale.
Da FONDAZIONI, Periodico delle fondazioni di origine bancaria, Anno XIV, Luglio - Agosto 2013