Che senso ha investire 150 milioni in un museo se non si garantisce anche il suo futuro?
«…La chiusura di un museo procura sconcerto: un luogo di cura e relazione cessa di esistere e recare beneficio alla comunità. Il rogo di un quadro, sia pure modesto, ci colpisce: vanno in fumo tempo, dedizione, mitezza, pazienza, meticolosità. Ci troviamo come dilacerati alla successione di notizia: il MADRE, il Riso, il MAXXI, perfino il MART. Non possiamo che dispiacerci per l’incuria, l’analfabetismo contemporaneistico dei decisori, la mancanza di investimenti qualificati. La sollecitudine con cui si impone agonia a un’istituzione culturale è infinitamente maggiore di quella con cui ci si adopera a contrastare la corruzione, l’evasione, il nepotismo; o a ridurre prebende, consulenze, incarichi. Al tempo stesso dobbiamo riconoscere che lo stato italiano manca da sempre, non da oggi, di una politica seria di tutela e promozione del contemporaneo. Non sono seri i musei o le collezioni che si improvvisano tali per iniziativa personalistica, in assenza di un progetto di ricerca; non sono seri, o sono progettati in modo colpevolmente improvvisato e casuale, i musei il cui budget è tutto o quasi impegnato dalle spese di gestione». Michele Dantini (Arte contemporanea, ricerca, sfera pubblica: una relazione necessaria» Doppiozero 2012)
Nasce prima il modello giuridico o il progetto istituzionale? La forma giuridica fondazionale, per quanto possa agevolare lo sviluppo di una struttura museale, non è la panacea. Deve essere funzionale all’attuazione di una chiara strategia e passare per un modello gestionale adeguato a coordinare le tante complessità istituzionali e organizzative di una istituzione. E lo vediamo anche con i casi recenti.
Sono arrivate come un fulmine a ciel sereno le notizie dell’avvio delle procedure per il commissariamento della Fondazione MAXXI, delle dimissioni del Presidente Pio Baldi e dell’insediamento di Antonia Pasqua Recchia. Il Museo nazionale dedicato alla creatività, all’arte e all’architettura contemporanee, inaugurato solo due anni fa e voluto proprio dal MiBAC che in questo progetto ha investito 150 milioni di euro, traballa. Pare che alla base ci sia una confusione tra deficit e fabbisogno futuro, anche perché, dal confronto con istituzioni internazionali analoghe, il MAXXI sembra proprio un esempio di buona gestione, con una capacità di autofinanziamento di circa il 50%, superiore a quella del MACBA di Barcellona, del Reina Sofia di Madrid o del Pompidou di Metz, che sono garantiti dai soci fondatori rispettivamente per il 75%, l’80% e il 90%, contro il 41% del nostro Museo. Molte le collaborazioni progettuali con le imprese. Sono trascorsi solo sei anni dall’apertura del MADRE governato dalla Fondazione Donnaregina, ed è già travolto dalle minacce di chiusura. Il bilancio preventivo del museo per l’anno in corso non è ancora stato approvato, in attesa della programmazione della Regione Campania. Nel 2011 lo statuto del museo era stato modificato per migliorarne la governance: apertura ad altri portatori di capitale oltre alla Regione Campania, nomina di un Presidente dedicato (nella versione precedente era il Presidente della Giunta Regionale o un suo delegato) e contratto a tempo determinato per il direttore generale del museo. Ma se lo Stato non ci crede e si auto-commissaria, come possono intervenire i privati? Questa vicenda alimenta ulteriori riflessioni sulla gestione e sull’istituto giuridico della fondazione, adottato in modo crescente dai musei e in particolare quelli d’arte contemporanea associati ad AMACI, l’Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani, che stanno scegliendo questo assetto, prevalentemente con il modello aperto «di partecipazione», per consentire l’accesso a nuovi soci. La prima in ordine di tempo è stata, nel 1988, la Fondazione Marini San Pancrazio, che gestisce il Museo fondato a partire da una donazione della vedova dello scultore al Comune di Firenze, il quale partecipa all’istituzione insieme alla Fondazione Marino Marini di Pistoia. Nel 2002 nasce la Fondazione Torino Musei, sistema museale che raccoglie quattro istituzioni (GAM, Palazzo Madama, Borgo Medioevale e MAO) e che coinvolge Comune, Regione, Fondazione CRT e Compagnia di San Paolo. Dal 2007 nascono una dopo l’altra la Fondazione Museion, costituita dall’omonima Associazione e dalla Provincia Autonoma di Bolzano, il MAXXI, direttamente dal MiBAC, il MAGA, che unisce Comune di Gallarate, Ministero, Regione e Provincia, la nuovissima Fondazione Centro Arti Visive Pescheria, che alla fine dello scorso anno si è staccata dal Comune di Pesaro.
A solo un anno dalla costituzione, si è da poco sciolta la Fondazione Galleria Civica di Trento, che sembra sempre più avvicinarsi verso una fusione con il MART, in attesa che si risolvano le questioni ancora aperte poste da soci privati e Comune di Trento, da una parte, e Museo di Rovereto, dall’altra. Ma quali sono state le ragioni e le esigenze che hanno portato e stanno portando alla trasformazione dei musei in fondazione o alla scelta, fin dalla loro nascita, di questo assetto giuridico? Alcuni si sono trasformati in itinere, a seguito del trasferimento in una sede più ampia, come il MAGA di Gallarate e il Museion di Bolzano. Ad uno spazio di grandi dimensioni è corrisposta la necessità di un assetto giuridico come quello fondazionale, con l’obiettivo di muovere collaborazioni con soggetti privati e nella convinzione che tale forma possa fornire strumenti più agili e snelli per la gestione del patrimonio, dell’attività di ordinaria e straordinaria amministrazione e, in particolare, per l’ottimizzazione dei servizi offerti ai visitatori, nel rispetto della trasparenza e degli interessi della collettività, garantiti dallo statuto e dalla partecipazione di soggetti pubblici nella compagine sociale. «Da sempre parliamo di trasformarci in fondazione» afferma Bartolomeo Pietromarchi, Direttore del MACRO di Roma, «alla ricerca di flessibilità nella gestione e di una nuova logica nei rapporti con partner privati». Il museo, che ha in gestazione un lungo percorso di trasformazione giuridica, intende procedere con uno schema di partecipazione pubblico-privato, affiancando al Comune di Roma due partner, tra cui Enel. Per Margit Oberrauch, Direttore Amministrativo di Museion «la Fondazione è un biglietto da visita per entrare in contatto con interlocutori a livello internazionale. Il suo modello partecipato, in cui confluiscono pubblico e privato, si rispecchia a livello locale nelle collaborazioni con le istituzioni culturali del territorio, che possono utilizzare per eventi e progetti il nuovo spazio progettato da Martino Gamper “MUSEION passage”, aperto ai cittadini fino alle 22». Sulla carta tanti i pro della cosiddetta «moda fondazionale»: è un’istituzione indipendente che dovrebbe operare in modo autonomo rispetto alla situazione politica che caratterizza i soggetti pubblici fondatori, può ricevere, a vari livelli, l’adesione di altri soggetti oltre a quelli originari e beneficiare di contributi in termini di risorse finanziarie, partnership tecniche, know-how. Inoltre, attraverso una definita composizione degli organi, viene garantita la proporzionalità tra entità del contributo e partecipazione all’attività. Emma Zanella, Direttrice del Museo MAGA, racconta che «lo Statuto della Fondazione Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea permette a un partner privato di entrare nel Consiglio di Gestione per la durata del finanziamento, se stanzia almeno 1/20 del budget di gestione ordinaria del Museo, come nel caso di Yamamay, dando così un contributo anche di tipo decisionale». Ma l’adozione del modello giuridico non è condizione sufficiente di successo, se la trasformazione in soggetto di diritto privato rispecchia una trasposizione dei meccanismi di rappresentanza per il soddisfacimento di tutti gli interessi coinvolti e se il presidio manageriale è debole e manca un forte controllo di gestione, elemento indispensabile per un soggetto più libero di un ente pubblico. La scelta dell’assetto giuridico va preceduta dalla «valutazione comparativa in termini di sostenibilità economico-finanziaria e di efficacia, sulla base di obiettivi previamente definiti» (art. 115, comma 4 del Codice dei beni culturali e del paesaggio riscritto dall'art. 2 del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156). In altre parole, prima si definisce la mission, si analizza il contesto in cui si opera, si costruisce la strategia e si disegna l’assetto di governance e quello finanziario, poi si sceglie la forma giuridica.
Guarda in questa direzione la Fondazione Torino Musei, che dovrebbe essere sostituita a breve da una «super-fondazione» a cui forse parteciperanno, in una «cabina di regia» che già soffre, Regione e Provincia per poi coinvolgere altri musei. Spiega il Segretario Generale Adriano Da Re: «Abbiamo adottato un modello di gestione tipicamente aziendale, con una struttura organizzativa di tipo funzionale, orientata ai processi e alla responsabilizzazione di tutto il personale». Anche se occorre attenzione «quando si sposta la responsabilità gestionale dai musei verso gli organi direttivi, quindi a margine dei processi produttivi», come evidenziava Enrica Pagella sulle colonne del nostro Rapporto Sponsorizzazioni. La privatizzazione attuata con la fondazione deve portare all’autofinanziamento tramite attività di fundraising e ricavi generati dall’attività caratteristica, ma al tempo stesso la partecipazione del soggetto pubblico, spesso primo fondatore, deve garantire continuità, grazie alla definizione di accordi pluriennali e contributi fissi, che permettano al museo di programmare la propria attività con un orizzonte di lungo periodo, in sinergia con le altre istituzioni e le politiche culturali del territorio. Carlo Sisi, Presidente della Fondazione Marini San Pancrazio, lamenta che «ci fu un periodo in cui il Comune si era dimenticato, pur erogando i denari, che potevamo essere aggregati ai musei comunali fiorentini. Oggi con le istituzioni cittadine si è creata una rete, dovuta non tanto alla sensibilità istituzionale dell’amministrazione pubblica, quanto all’attività del museo».
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(dal XII Rapporto Annuale Fondazioni)