Non c’è speranza senza progetto lungo
In questi giorni a Padova e in una dozzina di luoghi sparsi per le Alpi e gli Appennini, un migliaio di studiosi e di appassionati rende onore al Costruttore di montagna, celebrando il terzo meeting mondiale dei Paesaggi terrazzati.
Dall’alto medioevo per dieci secoli qualche decina di generazioni di montanari ha costruito centinaia di chilometri di muri in pietra che contengono il terreno. Cento massi da mettere con arte in pila per avere lo spazio in cui portare a spalle un metro cubo di terra, e ottenere un metro quadrato coltivabile, sul pendio della montagna. Sono due o tre giorni di lavoro duro; se si fa per cento volte si ottengono cento metri coltivabili: le dimensioni di un orto. L’orto però produce se c’è acqua in abbondanza, e per averla occorre altro lavoro, spesso ancora più arduo e difficile: i canali per l’irrigazione in montagna sono lunghi chilometri, spesso scavati nella roccia viva, con tracciati acrobatici a servizio di piccole comunità. E’ impossibile oggi rendersi conto dell’interminabile fatica che ha segnato i secoli dell’insediamento nella montagna italiana. Non erano lavori forzati, erano modi di vivere, regole di comportamento, di rapporto tra privato e comune, tra padri e figli, tra uomini e donne