Quel Tibet è troppo esotico
Treviso. È polemica sui 300 tesori giunti «dal tetto del mondo» nella medievale Casa dei Carraresi. Dal 2005 Fondazione Cassamarca ha affidato ad Adriano Màdaro, giornalista e sinologo opitergino, la curatela dell’impegnativo ciclo pluriennale dedicato alla Cina «La via della seta», e conclusosi proprio lo scorso maggio.
Ora l’ultima proposta dedicata al Tibet, e che forse Màdaro vede come naturale prosecuzione delle mostre precedenti, ha scatenato l’inevitabile reazione dell’associazione Italia-Tibet. Non solo per una certa impostazione filocinese che sembra trascurare completamente l’attuale stato di occupazione da parte della Repubblica Popolare che perdura dal 1950, ma anche perché, come recita un comunicato diffuso dalla suddetta associazione, «Il Tibet viene presentato con il consueto taglio esotico-turistico intriso di facili suggestioni. La comunicazione riguardante la mostra, prosegue la nota, non solo tace completamente la tragedia contemporanea dell’occupazione cinese e le sue brutali o sottili modalità, ma suggerisce inoltre, con argomentazioni superficiali e pretestuose, una distorta lettura della storia del Tetto del Mondo, della figura del Dalai Lama, del buddismo del Tibet e dei suoi rituali, in modo da offrire della cultura e della religione tibetana, ricca di elementi simbolici, un’immagine ridicolmente magica o addirittura truculenta. Il curatore dà informazioni distorte sulle relazioni storiche e politiche tra Tibet e Cina, presentandole tout court come un rapporto ininterrotto di totale sottomissione e appartenenza alla Cina stessa».
Già alcuni mesi fa, durante una prima la conferenza stampa, alla domanda di un giornalista Màdaro aveva precisato di non voler dare un’interpretazione politica all’esposizione e di mirare a offrire anche «suggestioni», salvo poi dichiarare, al quotidiano locale «La Tribuna di Treviso», in risposta alla recente polemica: «Non possono avere la pretesa che io cambi idea: io guardo in faccia i fatti e basta. Solo nel 700, ma quello senza apostrofino, c’è stato un Tibet indipendente. Per il resto tutte le cartine, anche quelle della vecchia enciclopedia Utet della mia mamma, spiegavano che la Cina comprendeva il Tibet. La rivendicazione indipendentista di oggi non è comunque la rivendicazione di un passato di indipendenza. La vicenda del Dalai Lama va studiata e affrontata seriamente, per capire che la Cina, quando, dopo la rivoluzione culturale, ribadì i confini mandando l’esercito, spiegò che c’era un tempo limite per togliere tutti i privilegi feudali ai signori dei conventi. Con quel che ne seguì».
Claudio Cardelli, presidente nazionale dell’Associazione Italia-Tibet, spiega così la sua posizione: «Senza nulla togliere al loro valore artistico, non va dimenticato che la storia di questi reperti è un po’ oscura: durante gli anni della Rivoluzione Culturale, vi fu una distruzione dissennata da parte delle Guardie Rosse e anche un accurato saccheggio. Il loro rientro in Tibet rientra in quel canale di sfruttamento oggetto di speculazione a scopo turistico.
Comunque i due principali elementi che non condivido sono la presentazione storica del Tibet come parte integrante della Cina e il fatto che si ignori completamente la situazione odierna. È l’approccio iniziale a essere sbagliato, accanto ad una lettura che mira a stimolare un interesse “esotico”: l’uso di tibie e calotte craniche, ad esempio, è legato a simbolismi e il buddismo attuale è ben lontano dal praticare anche la “magia nera” come affermato dal curatore».
Intanto, per offrire una lettura diversa della cultura tibetana e dell’odierna situazione, l’Associazione Italia-Tibet organizza un incontro per venerdì 19 ottobre alle 21 presso la sala «Orsa Maggiore» della Cna- viale della Repubblica 154 a Treviso.
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da Il Giornale dell'Arte, edizione online, 17 ottobre 2012