TREVISO, CITTA’ DIPINTA
Autore/i:
Rubrica:
CONSIGLI DI LETTURA
Articolo a cura di:
Milena Zanotti
Dall’avvincente disquisizione del Prof. Lionello Puppi alle parole di Patrizia Boschiero e Marco Tamaro, parlano i protagonisti del progetto di Fondazione Benetton che è stato alla base della candidatura di ‘Treviso capitale della cultura 2020’ e che ha dato, in esito, un volume dal titolo omonimo. Con un rilancio per la prossima candidatura della città veneta.
Un volume dal titolo Treviso Urbs Picta, a cura di Rossella Riscica e Chiara Voltarel, pubblicato nel 2017 da Fondazione Benetton Studi e Ricerche. Un libro pensato per un vasto pubblico, sia quello specializzato degli studiosi che quello dei lettori appassionati, che possono apprezzarne le numerose immagini degli affreschi a corredo. Il corposo studio si propone di essere prepulsore di una nuova stagione di restauri, come ideale continuazione del convegno Urbs Picta, 30 anni orsono, che metteva in luce l’eccezionalità di Treviso città dipinta. Il lavoro è frutto di un progetto pluriennale e approfondito, con un’equipe selezionata all’interno di Fondazione Benetton. Parola chiave: conoscenza, come sottolinea fin dalla prefazione il sindaco Giovanni Manildo. Perché la conoscenza? Per riattivare un processo virtuoso, che prende le mosse dalla riscoperta della bellezza del patrimonio artistico per stimolare una maggior circolazione di persone e nuove energie.
Incontriamo il Prof. Lionello Puppi, professore emerito dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, membro del Comitato Scientifico di Fondazione Benetton, che ci chiarisce la base teorica, legata alla storia dell’arte e alla cultura, del progetto.
Nel suo intervento all’interno del volume, intitolato “Urbs picta”: qualche sommessa istruzione per l’uso lei illustra la nozione di urbs picta. Quale rilevanza riveste tale concetto per la città di Treviso?
La definizione dell'immagine urbana come 'urbs picta', in quanto allude alla decorazione pittorica esterna, di facciata - istoriale o meramente ornamentale -, delle realta' architettoniche che la compongono, ma senza asserirsi quale proiezione figurativa o visiva di una spazialita' interna, e magari, anzi, contestandola, rende ambiguo o quanto meno insoddisfacente il rapporto codificato e tradizionale di architettura e urbanistica. Se, recentemente, qualche studioso ( per es. Marcello Fagiolo ) ha tentato di salvaguardarlo assimilando la pittura di facciate all'"art des fětes" e dunque all'effimero di un'"arte povera", in realtà la trattatistica architettonica sin dall'Alberti ne aveva tentato una storicizzazione che ne garantisse la legittimita' nel momento in cui riteneva di rintracciarne la genesi nell'Antichità classica, mentre un Vasari ne additava la rinascita nell'attività romana di Baldassarre Peruzzi e della sua Scuola e della sua influenza su raggio peninsulare. E' sin troppo evidente che il problema dell' origine - che rimanda al Due/Trecento - e della diffusione - che è di scala europea - è più complesso, nel momento in cui occorre prendere atto come la deflagrazione della città d'"ancien régime" finirà per comportare, non solo l'inattualità e il rifiuto di dipingere le facciate di edifici che venivano ormai scaturendo da una visione nuova dell'architettura, ma anche l'abbandono, con il conseguente degrado sino all'obliterazione, delle testimonianze di quella pratica.
L'attenzione sistematica ai lacerti sopravvissuti per il loro restauro e la loro conservazione trova il suo momento programmatico all'avvio degli anni Ottanta dello scorso secolo, consolidandosi in iniziative di schedatura che coinvolsero anche la regione veneta e, ovviamente, Treviso: dove poteva contare sul pionieristico impegno di un Botter e di un Coletti, e non mancò di produrre esiti importanti illustrati dalla mostra nel 1989 a Ca' da Noal su "Facciate affrescate trevigiane. Restauri". Si trattò , tuttavia, di slancio rapidamente venuto meno, sino alla ripresa promossa e condotta a termine dalla Fondazione Benetton con un volume che, grazie alla meticolosa perlustrazione palmo a palmo del tessuto viario della città speculare ad una paziente esplorazione di fonti librarie e archivistiche delle due giovani ricercatrici Rossella Ruscica e Chiara Voltarel è approdato alla individuazione e schedatura di oltre cinquecento reperti la cui capillare distribuzione, e sia pur con episodi di variabile densità, appare illustrata in una mappa di sorprendente eloquenza visiva. E vien voglia di parafrasare il motto celeberrimo, e variamente attribuito, "Roma quanta fuit, ipsa ruina docet" come "di quale folgorante splendore fu Treviso città dipinta, gli stessi suoi frammenti sopravvissuti lo documentano". Averli scovati, riconosciuti, schedati, restaurati o consegnati ad un restauro a venire, è dunque merito grande di un'indagine archeologica sapiente, che non dovrebbe però restar fine a se stessa con il rischio di consegnarsi nei modi conclusivi di una sia pur diligente ed encomiabile operazione di tipo filatelico e quindi tutt'affatto sterile. Dovrebbe invece farli 'pensare', 'capire' e integrare i lacerti recuperati in un tessuto più ampio costituito da altri lacerti e presago di quello "stato d'animo" che per il grande medievista italo-americano Roberto Sabatino Lopez è la città 'tout-court' per leggerla, intenderla e alfine rielaborarne la percezione e la riprogettazione con i nostri occhi contemporanei evitando il pericolo dell'oblio, il naufragio nell'assenza di memoria perché , come qualcuno ha recentemente ammonito citando l'amara riflessione del mago Merlino nel film "Escalibur" di John Boorman, la grande, eterna maledizione degli uomini , è dimenticare.
Per gli aspetti legati alla gestione del progetto ci rivolgiamo a Patrizia Boschiero, responsabile per l’area delle edizioni della Fondazione, che ha un punto si vista privilegiato, in quanto ha coordinato il progetto seguendolo nelle varie fasi. Il suo contributo nel volume Treviso Urbs Picta narra gli sviluppi del progetto omonimo; quando lei afferma che la riapertura di una campagna di studi e di attenzioni per il patrimonio della “città dipinta” contribuisce a ‘riaccendere un faro su una dimensione artistica, artigianale e comunitario della città’…..
Dall'avvio del progetto di ricerca abbiamo constatato da una parte quanto poco gli abitanti della città conoscano il patrimonio di affreschi e decorazioni storiche di vario genere che caratterizzano Treviso. Dall'altra non c'è stata occasione nella quale il tema, o la sua riscoperta, non abbia suscitato grande curiosità e interesse, desiderio di saperne di più, di andare a vedere... Di guardare agli edifici del centro storico con una diversa attenzione. Come singoli e come abitanti orgogliosi della bellezza della propria città. Dal mondo della scuola c'è molto interesse, ad esempio a introdurre nei percorsi didattici di scuole primarie specifici laboratori di affresco, che entusiasmano insegnanti e bambini, per i quali queste possono essere esperienze formative appassionanti e significative anche in prospettiva futura...
E sono emersi interessi a mettersi in gioco da parte di restauratori, che vedono in queste nuove attenzioni anche occasioni di lavoro, solo per fare un esempio connesso a professioni specifiche potenzialmente coinvolte in un processo di valorizzazione che la ricerca auspica di trascinare con se'...
Per questo progetto quale importanza ha avuto il centro di documentazione della Fondazione Benetton? Perché avete sentito l’esigenza di creare una banca dati online, consultabile, che supporti il progetto?
In tutte le ricerche specifiche del nostro centro studi la connessione e i travasi sistematici con il centro documentazione (biblioteca, archivio, cartoteca) sono metodologicamente e contenutisticamente centrali.
Le ricerche prendono avvio anche da indagini nel patrimonio librario, cartografico e archivistico della Fondazione, e nello stesso tempo, dal loro avvio allo svolgimento e poi, all'uscita della o delle edizioni, fungono da stimolo e indicazione per nuove acquisizioni coerenti e strutturate in microfondi specifici.
Per quanto riguarda la banca dati online realizzata ad hoc sulla "Treviso urbs picta", abbiamo capito da subito, con il gruppo di ricercatori coinvolti e con il confronto con studiosi e soprintendenti di grande esperienza su questi temi, che sarebbe stato strumento indispensabile per organizzare adeguatamente la grande mole di dati e documentazione pertinente che man mano si andava a elencare, raccogliere, studiare, e connettere al censimento di tutti gli edifici affrescati, numerati e georeferenziati.
La banca dati mette in relazione il singolo edificio e le decorazioni esterne che lo caratterizzano con la cartografia storica e attuale, con una dettagliatissima campagna fotografica realizzata dalla Fondazione, con documenti e bibliografia. La sua versione pubblica online consentirà una maggiore fruizione e accessibilità ai contenuti, in chiave interattiva, in modo semplice ma potenzialmente molto dettagliato. Un'altra chiave di lettura rispetto a quella, per noi centrale, fornita dal libro uscito a dicembre in italiano e che ad aprile sarà in libreria anche in inglese.
Qual è la strategia di collaborazioni con le Istituzioni, in particolare con il Comune di Treviso? Altresì, sono state stabilite partnership?
La ricerca ha necessariamente portato con se' collaborazioni continue con altre istituzioni culturali, pubbliche e private.
Biblioteche, Archivi, Soprintendenze, Musei del territorio sono stati e sono interlocutori chiave sia per gli studiosi parte attiva nel progetto, sia per la Fondazione, che proprio in questo progetto ha investito molto in termini di lavoro, coinvolgimenti multidisciplinari e certamente anche dialogo e confronto con altri soggetti coinvolti dal tema e dal senso di questo lavoro.
Pensiamo che la ricerca, il libro, la banca dati, tutti i risvolti culturali sviluppati in itinere siano per la Città e per il Comune di Treviso un grande regalo e un grande stimolo, una sfida alla cura, che speriamo venga adeguatamente raccolta e portata avanti con iniziative concrete crescenti, in linea con le parole spese dal Sindaco di Treviso nella prefazione al volume.
Qual è stato il ruolo dell’associazionismo per il successo del progetto?
Per ora direi che l'associazionismo abbia raccolto parzialmente gli stimoli dati dalla nostra ricerca, in chiave ludica e di sensibilizzazione episodica, ma le potenzialità sarebbero moltissime.
Naturalmente ci sono anche inevitabili rischi di banalizzazione, ma vale la pena correrli e tentare di governare eventuali derive riduttive del senso della ricerca, che con attenzione e pazienza può invece essere salvaguardato e nello stesso tempo diffuso in molte direzioni anche proprio con il prezioso apporto di associazioni culturali attive nel territorio
A Marco Tamaro, direttore di Fondazione Benetton, chiediamo di contestualizzare il progetto nelle prospettive della Fondazione a partire dalla sua identità, in stretta connessione con la città di Treviso e alla propensione comune di costruire una ‘comunità aperta’.
Il volume Treviso Urbs Picta è l’esito di un progetto promosso da Fondazione Benetton che ha messo in campo un importante lavoro di equipe, durato più anni. Com’è nata l’idea del progetto omonimo? Quali sono state le reazioni della collettività?
Partiamo dalla città dipinta, un progetto che è durato sei anni, quello che a noi fa piacere è che si tratta di un progetto che riscuote molto interesse. Secondo me l’elemento interessante non è l’idea in sé. Treviso come tante città d’Italia nel periodo che va dalla’ Età Comunale al Rinascimento e oltre è stata variamente affrescata. Nel periodo successivo gli affreschi hanno perso di importanza e con in ‘900 ecco insorgere i problemi collegati all’inquinamento ed il patrimonio si disperde, prima nella memoria collettiva e poi nel deterioramento delle opere. Fondazione Benetton, in primis, si adopera per un lavoro di censimento sul patrimonio rimasto e su quello di cui c’è documentazione che si è perso, cercando di contestualizzare il contesto storico per definire il senso dell’operazione. Il motivo per cui il progetto ha attirato ed attira curiosità è il fatto che, per come l’abbiamo narrato, risveglia in molti la consapevolezza che molte delle nostre città hanno perso i loro tratti identificativi. L’omologazione dei gusti, la perdita di capacità nel riconoscere le tracce della storia e i processi di lunga durata che restituiscono il senso di comunità, si è perso. Quindi succede che la ‘città dipinta’ abbia degli affreschi che si sono perduti e nel momento in cui si raccontano le tracce smarrite si instaura un processo virtuoso in cui i cittadini sono resi consapevoli dei tesori artistici che ci sono e che c’erano. E’ un riacquistare il senso dell’origine della bellezza dei luoghi che viviamo e delle nostre città storiche, molto apprezzate dai turisti.
Il motivo da cui ha preso avvio il progetto è che di fronte alla nostra sede c’è Palazzo Zuccaredda, ora sede del comando Provinciale dei Carabinieri. Un giorno il prof. Rossi, studioso e geografo della nostra Fondazione, ci comunica che stanno avviando dei lavori di restauro, con tutte le dovute autorizzazioni, ma intervenendo anche sulla superficie affrescata. In quel momento è nata l’dea di censire i palazzi cittadini, per un totale di 476 facciate, ricostruendo il contesto nel quale nasce la città affrescata, recuperando delle fonti apparentemente disperse. In questo approfondito lavoro la città si è riconosciuta, anche grazie ad una serie di incontri che contavano quattrocento persone ciascuno, avviando un processo virtuoso in cui tutta la comunità si è attivata per coadiuvare il lavoro intrapreso. Il giorno della presentazione del volume Treviso Urbs picta, una persona su dieci lo aveva acquistato. Ciò è segno di una diffusa attenzione nel mondo dei Beni Culturali, e ci fornisce una riprova delle energie che possono essere movimentate, generando interesse ed attività economiche.
Treviso era rientrata nel ristretto novero delle città candidate a divenire 'capitale della cultura del 2020', ruolo assegnato lo scorso febbraio a Parma. Il sindaco Giovanni Manildo ha subito dichiarato che il dossier del progetto presentato al Mibact, di 60 pagine in totale, sarà il punto di partenza per ripresentare la candidatura della città veneta, consapevoli del lavoro intrapreso e con l'intenzione di perfezionarlo. Quale ruolo strategico si propone di giocare Fondazione Benetton in tal senso?
Il Comune ha riconosciuto il lavoro ed il progetto ‘Città dipinta’ è diventato uno degli assi portanti del progetto di candidatura di Treviso a Capitale della Cultura 2020. Il prossimo anno ricorrono i trent’anni del Premio internazionale Carlo Scarpa per il Giardino, che interpreta l’ampia visione del nostro presidente Luciano Benetton. Non ignoriamo il fatto di essere a Treviso, proponendoci di portare sulla città gli esiti dei lavori da noi intrapresi. Il ruolo strategico della Fondazione è, quindi, quello di centro propulsore in questa duplice veste, avendo: un momento di ideazione in ampia scala ma consapevoli della nostra territorialità, in cerca di un equilibrio tra ricerca, formazione, divulgazione, l’attenzione al mondo dei beni culturali. Ci saremo, dunque, senz’altro per la prossima candidatura di Treviso capitale della cultura, come ho già assicurato al sindaco Manildo, questa volta utilizzando una tempistica a largo spettro. Il dossier della candidatura ha investito 4/5 mesi di lavoro ed ha smosso molte belle energie. Peraltro abbiamo il privilegio di poter contare su una struttura aziendale solida che ci fornisce la possibilità di lavorare continuativamente da trent’anni e ciò ci dota di quella stabilità indispensabile che spendiamo nel ruolo di partner. Il nostro progetto è stato molto apprezzato ed il sindaco ha voluto che la Fondazione fosse molto presente, sia nel comitato promotore che in quello scientifico della candidatura.
Ci può parlare delle aree di intervento di Fondazione Benetton?
La Fondazione è in continua evoluzione, i segnali più evidenti sono il recupero degli spazi di via Cornarotta nel 2003 e la recente inaugurazione della chiesa sconsacrata di San Teonisto, per merito di Luciano Benetton che l’ha acquistata con le proprie risorse, restaurata e donata alla Fondazione. Abbiamo la possibilità di avere, quindi, un luogo dove pensare una programmazione integrativa.
A pochi chilometri dall’aeroporto di Fiumicino, per fare un esempio, vi era un’area archeologica dimenticata: i Porti Imperiali di Claudio e Traiano.
In accordo con l’azienda Aeroporti di Roma, che fa parte del Gruppo Benetton[i], con la Direzione del Parco Archeologico di Ostia abbiamo strutturato un progetto di divulgazione dal titolo ‘Navigare il territorio’ che ha portato più di 20mila persone nel 2016 a conoscere l’area, a fronte di un flusso di visitatori che si attestava attorno alle 2mila presenze. In queste occasioni giochiamo sino in fondo il ruolo costruito da Luciano Benetton con i suoi fratelli, consapevoli di possedere l’adeguata struttura e con la responsabilità di poter lavorare nell’ambito dei beni culturali con certezza dei finanziamenti, dando conto di ogni euro utilizzato nelle nostre attività, sottratti dalle attività industriali e dai profitti delle aziende collegate. Un altro ambito fondamentale, con un’esperienza trentennale, è quello relativo al paesaggio, essendone pionieri e potendo operare al meglio anche grazie all’impegno profuso in un ampio raggio temporale.
Quale rapporto esiste tra la Fondazione e l'azienda - madre, in particolare per ciò che concerne le relazioni di governance, strategia e connessioni di responsabilità sociale d’impresa?
Nel panorama delle fondazioni d’impresa siamo atipici in quanto, pur essendo strettamente collegati e dipendenti dal punto di vista economico dal Gruppo industriale Benetton, lavoriamo in un regime in cui la governance è spostata verso i comitati scientifici interni della Fondazione piuttosto che nei confronti dell’azienda. Quindi la linea di lavoro e i programmi di ricerca maturano all’interno dei comitati e poi sono portati in consiglio di amministrazione. Questa netta separazione tra le politiche aziendali e la gestione della Fondazione è una condizione ideale, poiché consente un regime intellettuale di grande libertà. Poi, di volta in volta, diventerà valore aggiunto il rapporto con aziende partner del Gruppo Benetton, che genera delle utili sinergie stabilite però a posteriori e non come pre-requisito. Questa modalità a nostro avviso sarebbe da condividere per tutte le fondazioni d’impresa, molto spesso ancillari e poco strutturate, mentre in Fondazione Benetton lavorano 23 persone. Ritengo sia un modello, quindi, che assicura ottimi risultati, soprattutto garantendo una continuità di azione e prospettive.
Noi ci occupiamo in primis di paesaggio, che poi si è declinato in termini legati al patrimonio culturale, la nostra strategia è di lungo periodo poiché abbiamo cercato di anticipare i tempi. In particolare ora stiamo lavorando, sicuri di contribuire ad un dibattito ora agli inizi, al tema legato alle trasformazioni del territorio indotte da fenomeni determinati da quadri ambientali e sociali.
La Fondazione si confronta con le aziende del gruppo, con priorità completamente diverse dalle nostre, ma che si misurano con i temi di responsabilità sociale d’impresa. Partendo dal nostro punto di vista cerchiamo di proporre loro delle occasioni di concretizzare la responsabilità sociale d’impresa secondo modelli innovativi, ragionando sul tema che certe scelte, apparentemente determinate da fattori poco connessi al cosiddetto business, in realtà diventano un possibile fattore di vantaggio competitivo anche dal punto di vista dell’azienda.
Traguardi futuri?
L’avere un’attività così lunga è un pregio, che può però avere il limite insito di puntare molto sull’aspetto consolidato e meno su quello dell’innovazione. Il traguardo futuro consiste, dunque, nel riuscire ad innovare garantendo continuità, apparente ossimoro ma che significa, ad esempio, ritrovare nei nostri studi decennali sul paesaggio gli elementi che permettono di essere parte attiva di un dibattito centrato su ambiente, sostenibilità e futuro. Quando si parla di trasformazione di paesaggi e comunità si intercettano dei processi fondativi per la costruzione del futuro, quindi si fa anche politica. Basti pensare all’argomento dell’insediamento delle comunità nei luoghi e della loro vita, con le tensioni che da questo sorgono, che si traduce nella costruzione delle nuove comunità, uno dei motivi per cui si innescano processi antistorici e si hanno conseguenze importanti, basti vedere gli esiti delle recenti elezioni politiche. Entrare a far parte di questo dibattito con un’idea di costruzione di identità che possa avere una pluralità di approcci dal punto di vista culturale significa entrare nel dibattito di costruzione delle prossime comunità, che non possono che essere multiculturali.
Possiamo, dunque, parlare di un ‘modello Treviso’?
Stiamo parlando di un luogo interessante perché mantiene i connotati di una cittadina di provincia. E’ una città piccola, con una porzione storica e una più moderna, preponderante in termini di numero di abitanti. La città ha vissuto sempre un certo isolamento, fuori dalle grandi direttrici, poi ha sperimentato un periodo di grande ricchezza. Il sindaco Manildo, in tal senso, ha pensato allo slogan ‘Treviso oltre le mura’ come confine permeabile e non come sorta di barriera, processo e progetto di costruzione di comunità aperte. Da questo punto di vista Treviso può assurgere a laboratorio, si tratta di intraprendere una battaglia che è in primis culturale.
Treviso Urbs Picta
Facciate affrescate della città dal XIII al XXI secolo
a cura di Rossella Riscica e Chiara Voltarel
Fondazione Benetton Studi Ricerche - Antiga Edizioni
Treviso 2017
206 pp. 244 ill. a colori e 36 in b/n
euro 33
© Riproduzione riservata
Ph: sede della Fondazione Benetton, fotografia di Corrado Piccoli
[i] Benetton Group è un’azienda di moda presente nei principali mercati con una rete commerciale di circa 5000 negozi. La sede centrale è presso Villa Minelli, situata a Ponzano, a circa 30 Km da Venezia. Villa Minelli è un complesso di edifici del XVI secolo che riveste interesse storico e culturale.
Il centro di coordinamento di Benetton Group è ubicato a Castrette (Treviso), moderno complesso logistico- industriale dedicato all’abbigliamento, che serve la rete globale di negozi.
Benetton Group comprende anche Edizione S.r.l., società non quotata e interamente controllata dalla famiglia Benetton, una tra le maggiori holding di partecipazioni italiane, con investimenti nei settori di: infrastrutture e servizi per la mobilità, ristorazione autostradale e aeroportuale, tessile e abbigliamento, immobiliare e agricolo.
A fine 2016 Edizione evidenzia un fatturato consolidato di euro 11,7 miliardi e le società del Gruppo impiegano complessivamente più di 64.000 dipendenti.
Il centro di coordinamento di Benetton Group è ubicato a Castrette (Treviso), moderno complesso logistico- industriale dedicato all’abbigliamento, che serve la rete globale di negozi.
Benetton Group comprende anche Edizione S.r.l., società non quotata e interamente controllata dalla famiglia Benetton, una tra le maggiori holding di partecipazioni italiane, con investimenti nei settori di: infrastrutture e servizi per la mobilità, ristorazione autostradale e aeroportuale, tessile e abbigliamento, immobiliare e agricolo.
A fine 2016 Edizione evidenzia un fatturato consolidato di euro 11,7 miliardi e le società del Gruppo impiegano complessivamente più di 64.000 dipendenti.