Tre associazioni e due cataloghi per l’artista che non voleva apparire
Roma. L’Associazione Gino De Dominicis, l’Archivio Gino De Dominicis, la Fondazione Gino De Dominicis: sono diventati tre gli enti che, i primi due in conflitto con il terzo, si contendono l’autorità culturale e legale nell’ordinamento del lavoro dell’artista morto, 51enne, nel novembre 1998. All’indomani della scomparsa, nei primi mesi del 1999, si costituì l’Associazione Gino De Dominicis, composta dai fondatori Italo Tomassoni, Duccio Trombadori e le eredi Gabriella Lazzarini e Paola Damiani(cugina di De Dominicis), cui successivamente si aggiunsero Maurizio Calvesi, Alberto Boatto,Renato Barilli, Vittorio Sgarbi, Lucrezia De Domizio Durini e Francesco Villari.
Nel giugno 2011 la prima ferita all’unità del gruppo, raccontata da Duccio Trombadori nel contesto di un servizio apparso il passato novembre-dicembre sull’edizione online della rivista «Artribune»: la diffida di Paola Damiani, in qualità di presidente dell’Associazione Gino De Dominicis, a pubblicare, sul catalogo della mostra «Gino De Dominicis. Teoremi figurativi» presso la Ca’ d’Oro di Venezia, curata da Vittorio Sgarbi, gran parte (circa sessanta) delle opere di De Dominicis provenienti dalla collezione di Luigi Koelliker, in quanto ritenute dei «falsi». Ma Vittorio Sgarbi fa parte dell’Associazione. Protesta. La presidente Damiani risponde convocando nel luglio i componenti dell’Associazione Gino De Dominicis con il solo ordine del giorno dello scioglimento della stessa. «Ma per farlo ci vuole l’unanimità, spiega a “Il Giornale dell’Arte” Vittorio Sgarbi, e io mi sono opposto». Sgarbi pensa così di andare per conto suo, di creare una Fondazione Gino De Domincis da lui presieduta, ma arriva prima Tomassoni, che costituisce l’Archivio Gino De Dominicis. L’Archivio, «istituito su mandato degli eredi» e indipendente dall’Associazione, è costituito, come ci dichiara Tomassoni, soltanto da una «commissione scientifica» composta da Tomassoni stesso, da Maurizio Calvesi, Lia Rumma,Emilio Mazzoli e dal collezionista Giuliano Perezzani. «L’Archivio si occuperà delle autentiche», spiega Tomassoni; «ma la sua nascita non è stata deliberata con alcuna riunione», incalza Sgarbi; «l’Associazione Gino De Dominicis andrebbe sciolta, ora opera solo l’Archivio», insiste Tomassoni; «qui non si scioglie niente, ci vuole l’unanimità, lo dice lo statuto», controbatte Sgarbi, che continua: «L’Associazione esiste, io ne faccio parte, e visto che Tomassoni mi ha fatto adirare, costituisco la Fondazione Gino De Dominicis e mi impegno a realizzare un catalogo generale dell’opera del maestro». Ma un catalogo ragionato già esiste, l’ha realizzato nel 2011, con Skira, proprio Tomassoni (cfr. n. 312, set. ’11, p. 46). «Sì, dice Duccio Trombadori, ma presenta notevoli imprecisioni, da errori di misure a confusioni nelle indicazioni delle proprietà. Diciamo che il catalogo generale di Vittorio sarà una correzione del catalogo ragionato di Italo». Trombadori, che ha deciso di aderire solo moralmente ma non formalmente alla Fondazione Gino De Domincis istituita da Sgarbi, non si spiega il comportamento di «Italo»: «Ho tentato di farlo ragionare, mi sono sforzato di mediare, ma poi compare l’Archivio con un sito che neanche menziona l’Associazione, di cui sono cofondatore». Ne fa parte, come detto, anche Maurizio Calvesi. Per lo studioso romano, il catalogo ragionato di Italo Tomassoni è, invece, «più che scrupoloso nel controllo analitico delle opere e dei dati, e annovera 632 opere, frutto di anni di fatica e di scavo, una selezione rigorosissima che ha scansato ogni opera di dubbia autenticità e costituisce quindi una base imprescindibile per ogni altra ricerca sull’artista». Così Calvesi in una sua recensione del libro di Tomassoni, definito «fedele custode della personalità di De Dominicis», apparsa sulla rivista «Storia dell’arte» (n. 130, dicembre 2011). Chi sarà il custode delle garanzie per chi voglia verificare l’autenticità di un’opera di De Dominicis? «Noi dell’Archivio, sostiene Tomassoni, che spiega: Gli unici soggetti titolati ad avere diritto di sancire l’autenticità di un’opera sono gli eredi. Non lo dico io, lo dice la legge sul diritto d’autore». «Le autentiche le rilasceremo noi o chi vuole», replica Sgarbi, secondo cui «nessuno, per legge, si può arrogare il diritto di attribuire in esclusiva la paternità di un’opera. Lo sa che Tomassoni ha indicato come falsa un’Asta di Gino che Gino in persona montò, con le sue mani, in casa mia?». Tomassoni (che al proposito dell’attribuzione di «Asta» parla di «falsa circostanza») prende a questo punto una decisione: «Non rilascio più dichiarazioni, ma valuterò l’intera questione nelle sedi opportune». Non si intimorisce Vittorio Sgarbi, secondo cui la Fondazione Gino De Dominicis rimetterà tutto a posto. Essa si avvale anche di una grafologa. E poi ci sarà il catalogo generale. E un «comitato culturale» che annovera, tra altri, i galleristi Franco Toselli, Pio Monti, Liliana Maniero e la storica dell’arteLaura Cherubini. «Ma io non ne faccio parte, asserisce la studiosa. Ringrazio per la stima Vittorio, ma dico solo che il libro di Italo Tomassoni riporta inesattezze sicuramente in relazione alla presenza o meno di opere esposte nella mostra su Gino, curata da me e da Andrea Bellini, itinerante nel 2007-08 a Nizza-Torino-New York, ma mi tengo in disparte. So solo che Gino ha tenuto sempre alto il livello dell’opera e della vita e che è nostro dovere lavorare alla sua memoria con questo spirito». «È la nemesi di Gino», chiosa Fabio Sargentini, «scopritore» di De Dominicis, «lui, così accorto a distruggere tutti i cataloghi e le fotografie di sé e dei suoi lavori, così affezionato all’idea della sparizione, si trova ad avere due cataloghi ragionati».
da Il Giornale dell'Arte numero 327, gennaio 2013