Territorio, cultura e saperi: lo sviluppo sostenibile dell’Italia passa da qui
Cos'è la sostenibilità? Si tratta di una moda passeggera o di un must mondiale e duraturo? E quali sono le carte vincenti che l’Italia può giocarsi per vincere la partita dello sviluppo sostenibile? Queste sono soltanto alcune delle numerose domande che il Centro Studi Confindustria (Csc) ha posto a vari studiosi ed esperti, raccogliendo i loro contributi nel ricco volume «Le sostenibili carte dell’Italia»[1], curato da Luca Paolazzi, Teresa Gargiulo e Mauro Sylos Labini ed edito da Marsilio.
«…quel magico intreccio di concretezza e fantasia che tutti
c’invidiano per quanto l’abbiamo naturale, hanno fatto dell’Italia
la patria dell’armonia e della bellezza.»
V. Boccia, «Le sostenibili carte dell’Italia», p. IX.
Presentata in occasione del convegno biennale del Centro Studi Confindustria (Csc), che si è tenuto a Verona lo scorso 15 febbraio, la pubblicazione pone la sostenibilità al centro del dibattito. Da un lato, infatti, lo sviluppo sostenibile - intenso non solo come rispetto dell’ambiente ma soprattutto come guida a una crescita economica, sociale e culturale inclusiva - è diventato un imperativo mondiale esplicitato nei 17 obiettivi dell’Agenda 2030 adottata nel 2015. D’altro lato, l’Italia ha evidentemente bisogno di recuperare parte della competitività perduta e, per farlo, non può esimersi da questo nuovo imperativo. Per l’Italia, la sfida è duplice: da un lato, occorre mantenere «quel magico intreccio di concretezza e fantasia» che ha fatto del Bel Paese la patria dell’armonia e della bellezza e, dall’altro, è necessario rilanciare questa antica alleanza, considerando i nuovi paradigmi della digitalizzazione e della competizione globale. Ma perché lo sviluppo dovrebbe seguire una traiettoria di sostenibilità? La domanda è molto meno filosofica di quanto possa sembrare. È infatti ormai sotto gli occhi di tutti che la crescita diseguale rischia di smantellare i nostri governi democratici oltre che danneggiare in maniera irreversibile l’ambiente. Passare da questa constatazione alla ricerca di soluzioni pragmatiche non è però per nulla semplice, per ragioni «culturali prima ancora che tecnologiche». Agire in modo sostenibile significa infatti adottare «un’ottica di lunghissimo periodo, pensando alle generazioni che verranno e che non votano perché semplicemente ancora non ci sono». Ma significa anche dare un segnale diverso a chi è interessato a valutare non solo la salute attuale ma le prospettive di crescita future di un’impresa.
La principale novità della ricerca consiste nell’identificazione di tre carte che l’Italia è invitata a giocare per distinguersi nel contesto globale in cui tutti mirano a raggiungere obiettivi di sostenibilità: i) il territorio inteso come deposito di saperi e competenze; ii) il patrimonio culturale, come fonte di attrazione turistica, ma ancora di più di creatività ed innovazione; iii) l’imprenditorialità, soprattutto manifatturiera, come miccia dello sviluppo. Quella dei giovani, resta invece carta sprecata: l’Italia conta troppi pochi laureati (26% delle persone nella fascia di età 25-34 anni) rispetto alla media OCSE (43%) e ogni anno migliaia di giovani persone istruite lascia il paese.
Dai distretti industriali alle catene del valore globali, i punti di forza del territorio
Dopo una prima parte di premessa-inquadramento che ci mostra come l’Italia sia stata la prima nazione ad aver incorporato obiettivi di benessere equo e sostenibile nella politica economica, il volume esplora il potenziale della prima carta da giocare, il territorio, analizzato da molteplici prospettive per la creazione di valore sostenibile. Il territorio può infatti essere inteso come luogo di origine del noto fenomeno dei distretti industriali italiani, per altro spesso antesignani del concetto di «economia circolare». I distretti hanno giocato un ruolo chiave nell’economia italiana ma occorre diversificare il sistema produttivo per rendere la produzione di valore sostenibile nel lungo periodo. I distretti rischiano infatti di fare da freno al cambiamento «se le competenze si sclerotizzano in una monocultura produttiva, anziché diversificarsi in molteplici direzioni produttive e circolare tra imprese con caratteristiche diverse». Ma il territorio è anche paesaggio, non solo in senso «naturale» ma anche «culturale», che da sempre ispira e contraddistingue la manifattura italiana. In un’ottica di sostenibilità, occorre avviare nuove pratiche progettuali in grado di estrarre i valori unici che contraddistinguono il paesaggio italiano. Quando periferico, però, il territorio diventa oggetto di abbandono e di degrado, dando vita a uno sviluppo affatto sostenibile. La Strategia nazionale per le aree interne (SNAI) mette al centro delle proprie azioni i territori che si trovano in una condizione di marginalità. I casi delle Valli Grana e Maira (Piemonte) offrono un esempio concreto di come il dialogo costante tra amministrazione regionale e locali – secondo il metodo di lavoro perseguito dalla strategia – possa permettere di cambiare la programmazione nazionale a sostegno degli obiettivi locali, in questo caso: miglioramento della qualità di vita degli anziani e costruzione di un sistema di servizi capace di attrarre persone in età lavorativa. Infine, adottando una prospettiva territoriale globale, il volume analizza anche la posizione dell’Italia all’interno delle cateni globali del valore. I risultati sono positivi: il manifatturiero italiano è già ben integrato nelle filiere internazionali e nella maggior parte dei settori, livelli e dinamiche dei valori medi unitari risultano superiore a quelli di altri paesi europei, specie grazie a un miglioramento della qualità dei beni esportati.
La cultura come fonte di valore economico, al di là di ogni malinteso
Che il ricco patrimonio culturale e artistico italiano sia uno dei caratteri distintivi del Bel Paese è un fatto noto e condiviso. Ma come mettere a frutto questo vantaggio competitivo? E come trarne valore? Secondo Pier Luigi Sacco, a cui è affidata la riflessione sul tema, esiste una barriera concettuale tra mondo della cultura e mondo dell’economia, che per esempio porta ad associare alcune forme profittevoli di produzione creativa, come la moda e il design, più alla manifattura che alla cultura. I motivi sono tanti: spesso, per esempio, si dimentica che i settori culturali e creativi includono attività sussidiate ma anche molte altre che stanno sul mercato. Allo stesso tempo, sarebbe errato pensare che i settori sussidiati non producano valore. La prospettiva che propone il prof. Sacco è molto interessante: il rapporto che intercorre tra arte e settori creativi è simile a quello che lega la ricerca di base a quella applicata. Sarebbe dunque miope pensare di poter alimentare un’industria creativa fiorente senza poter attingere a un ricco serbatoio di produzione artistica e di idee culturali. Di conseguenza, si rischia di sottostimare il valore dei settori culturali e creativi se non letti in relazioni ad altri settori economici con cui interagiscono sempre di più, dal turismo culturale alle nuove tecnologie. Inoltre, i sistemi di classificazione attuali non sono adeguati a misurare il valore dei settori culturali e creativi in quanto pensati per un’economia industriale in cui cultura e creatività giocavano un ruolo marginale. La proposta è di «sviluppare apparati concettuali, sistemi di misurazione e indicatori adeguati, così da analizzare gli effetti economici della cultura, valutare le politiche intraprese e delineare e attuare strategie e politiche industriali coerenti e appropriate». Dei focus tematici sono poi proposti nei capitoli successivi che delineano le opportunità di creazione di valore nel mondo del design, del turismo culturale e della gastronomia, nonché per le stesse unità aziendali attraverso una formazione manageriale culturale che segua lo «spirito olivettiano». Particolarmente interessante l’analisi di Martha Friel che vede nell’investimento in nuovi saperi e sensibilità, sia dal lato della domanda che dell’offerta, la chiave del successo del sistema del gusto italiano: è questo il fattore cruciale su cui puntare per replicare in altri ambiti questo modello di sviluppo.
Puntare su saperi e imprenditorialità, miscelando tradizione e innovazione
Infine, il sistema dei saperi unito ad un lavoro altamente motivato e in grado di tradurre le richieste dei clienti in prodotti e servizi di qualità è da sempre alla base della manifattura italiana. Ma, anche qui, occorre restare all’altezza delle sfide odierne, puntando su formazione e rapporto tra manifattura e altri settori essenziali dell’economia italiana, come il comparto della cultura e del turismo. Questo significa anche sviluppare un’imprenditorialità in parte diversa, in grado di padroneggiare tecnologie digitali e relazioni globali. Cogliere le opportunità di un mondo che cambia significa inoltre sapersi aprire agli immigrati, mettendo a frutto il loro apporto culturale e il loro saper fare. L’Italia ha inoltre la possibilità di sperimentare una propria via all’immigrazione, che potrebbe essere ben diversa e per certi versi più flessibile rispetto al modello multiculturalista di stampo britannico e a quello assimilazionista di derivazione francese. L’investimento nel sistema dei saperi, infine, deve puntare soprattutto sulle tipologie dell’agire umano non replicabili dall’intelligenza artificiale, tra cui intelligenza sociale e attività creativa. In questo senso, potrebbe essere utile rafforzare la capacità del sistema dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM) di attrarre studenti stranieri per arricchire il nostro capitale umano nonché un serbatoio di competenze non replicabili dalle macchine. Nel 2017, gli iscritti stranieri hanno rappresentato ben il 28% degli iscritti ai corsi di secondo livello.
Le politiche di sviluppo territoriali «culture-led» di Milano, Torino e la regione Puglia
Il volume si chiude con tre casi studio – Milano, Torino e la Puglia – che mostrano come la cultura e la creatività possano essere messe al centro delle politiche di sviluppo locali e regionali, con ritorni significativi sull’immagine e l’economia dei territori. Le ultime pagine sono anche occasione per riflettere su cosa ha funzionato meglio e cosa potrebbe essere migliorato in queste tre diverse realtà italiane.
La ricerca è talmente ricca e completa che resta «solo» da integrare gli spunti raccolti in un programma di governo e mettersi subito a lavoro, tenendo a mente non solo le proposte concrete avanzate ma soprattutto la visione di ampio respiro che concilia crescita economica, equilibrio ambientale ed equità, l’attenzione alla cultura e al suo valore sociale ed economico (che finisce per tessere la trama dell’intera pubblicazione), nonché l’approccio positivo e costruttivo che caratterizza i contributi di questo volume.