Scelte culturali per la Sicilia
Cambio ai vertici della Fondazione Sicilia, con risorse interne per garantire la continuità istituzionale. L’Avv. Raffaele Bonsignore, già segretario generale, succede alla presidenza al Prof. Giovanni Puglisi. Il cda coopta per la posizione di Vice Presidente Salvatore Carruba, che incontriamo. Siciliano di ritorno, figura di spicco del mondo editoriale e culturale è una scelta che pare confermare la volontà dell’Ente di proseguire in una politica di intervento che metta al centro i temi dell’educazione, della valorizzazione del patrimonio, della produzione culturale delle sfide di sviluppo socio-economico dell’Isola. Partendo dalla comunità per ripensare il turismo.
Cambio al vertice alla Fondazione Sicilia con risorse interne per garantire la continuità istituzionale. Dal 13 maggio scorso l’Avv. Raffaele Bonsignore è il nuovo Presidente della Fondazione Sicilia per il quadriennio 2016-2019. Succede al Prof. Giovanni Puglisi, che dal 2005 ha guidato la Fondazione per dieci anni, due mandati consecutivi. Palermitano, classe 1967, membro del comitato direttivo della Fondazione Centro Siciliano di Studi sulla Giustizia, Bonsignore è stato Segretario Generale della Fondazione Sicilia dal 2010. Il nuovo presidente ha tributato un omaggio pubblico al lavoro del suo precedessore, che “ha portato all’apertura, nel 2012, di Palazzo Branciforte, restaurato da Gae Aulenti e nel 2015, appena tre anni dopo, alla riapertura della pinacoteca di Villa Zito, due tappe significative per la riqualificazione del patrimonio storico-artistico della Sicilia, dove le numerose collezioni sono fruibili in maniera organica dal pubblico”.
Giovanni Puglisi, classe 1945, resta nel board con la carica di Presidente Emerito. Già presidente della Commissione nazionale italiana per l’Unesco, rettore dell’Università degli Studi di Enna “Kore” è stato recentemente nominato presidente della Fondazione Sicilia Unesco. Da un anno “Palermo arabo-normanna e le Cattedrali di Cefalù e Monreale” sono diventate patrimonio Unesco, un riconoscimento che, come dichiara Puglisi al Giornale dell’Arte, “mette in evidenza la sinossi culturale della cittò, la sua capacità di assorbire culture che da sempre l’hanno attraversata, sedimentandosi e mai annullandosi l’una contro l’altra.” Un grande lavoro lo aspetta in continuità con quanto sviluppato in Fondazione Sicilia. “La principale cosa da fare in Sicilia, come nel resto dell’Italia, è porre il tema del turismo al centro delle strategie politiche ed economiche…investendo sulle infrastrutture della mobilità, sull’estensione e sulla manutenzione delle strade e dei percorsi ferroviari…sull’ospitalità, sugli alberghi, sugli ostelli e sulla formazione nel settore dell’accoglienza”.
La Cultura sarà centrale ancora per il futuro dell’ente siciliano. Il 26 maggio il Consiglio di Amministrazione chiama alla Vicepresidenza, Salvatore Carrubba, milanese di adozione, siciliano di ritorno, personaggio di grande caratura nel mondo della cultura. Classe 1951, milanese da più di 50 anni, laurea in giurisprudenza, inizia la sua carriera a 27 anni come direttore della Fondazione Luigi Einaudi per gli studi in politica ed economia, fino al 1990. Dal 1993 al 1997 è direttore del Sole 24 Ore per il quale è editorialista. Nel 1997 fino al 2005 è Assessore alla Cultura del Comune di Milano. E’ stato Presidente dell’Accademia di Brera. Oggi insegna all’Università IULM, realtà della quale è consigliere d’amministrazione. Presiede le Fondazioni del Piccolo Teatro di Milano e del Collegio delle Università milanesi. Lo incontriamo.
“Sono onorato di essere stato chiamato a far parte prima del Consiglio Superiore della Fondazione Sicilia, ora del CdA. Lavorerò con persone di primordine, con grandi competenze. “Ritorno a casa” ─ anche se in Sicilia ho vissuto poco- in una realtà che è stata, già in passato, e speriamo possa esserlo in futuro, uno strumento portante per lo sviluppo, non soltanto economico, della Sicilia. Pensiamo soltanto al grande patrimonio rappresentato dai palazzi e dalle raccolte, un patrimonio culturale aperto al pubblico, in piena efficienza, con un nuovo allestimento a Villa Zito inaugurato un anno fa alla presenza del Capo dello Stato. Un patrimonio importante della città, legato alle funzioni di una fondazione di origine bancaria che ha attraversato e sta attraversando le difficoltà legate all'attualità finanziaria di questi mesi.
Fondazione Sicilia rappresenta una realtà significativa non soltanto per l’isola, ma per tutto il mezzogiorno, perché sotto Roma, per ragioni storiche sono presenti pochissime fondazioni di origine bancaria.
Penso che la mia presenza sia stata voluta per arricchire la visione di un punto di vista differente, di una persona che vive da tantissimi anni a Milano, ma che ha un attaccamento sentimentale uguale a chi è rimasto in Sicilia.”
La Sicilia ha oggi un ruolo centrale come piattaforma di accoglienza nel Mediterraneo. E’ terra di grandi energie e potenzialità, ma nel contempo di profondi contrasti e disagi, economici e sociali, alti tassi di disoccupazione. Come favorire il rilancio?
In Sicilia oggi si sono esperienze importanti di rinascita, che mettono in campo voglia e capacità di investire e rischiare; pensiamo a tutto lo sviluppo dell'attività della filiera agricola e alimentare.
La linea di utilità sociale che Puglisi ha ben saputo costruire potrà essere declinata in molte forme contemperando le numerose esigenze a fronte di risorse economico finanziarie in flessione. Vedo imprescindibile il rapporto con il sistema formativo, non soltanto con l'università, sullo sviluppo di tutte le nuove opportunità che le nuove forme di comunicazione consentono, partendo dalla tutela dei beni culturali alla rifondazione delle attività turistiche. Il turismo sta profondamente cambiando, anche per ragioni contingenti, ma non solo, per lo svuotamento di altre destinazioni turistiche che si riversano in Sicilia. Questa è una straordinaria occasione per ripensare allo sviluppo turistico della Sicilia e farne un'occasione di rilancio dell'economia, della tutela del territorio, della tutela delle filiere.
Lei è stato tra i protagonisti del nuovo “miracolo Milano”. Quale lezione si può apprendere ed esportare in altri contesti, fatte le debite differenze?
Il successo di Milano che oggi pare trainare il cambiamento, coronato in EXPO, è frutto di una politica di investimenti pubblici e privati iniziati quindici anni fa, anche nella cultura, come dimostrano alcuni musei aperti negli ultimi tempi o i restauri della Scala e del Castello Sforzesco. La città ha puntato a rinnovare il suo volto urbanistico, intervenendo in aree abbandonate per decenni e che portavano ancora i segni della guerra. Se non si dispone di uno sguardo lungo, sia nelle istituzioni politiche, sia in quelle della società civile, non si costruisce nulla di positivo per il futuro.
Se Milano è la città che ha la migliore attività teatrale secondo i critici si deve anche al fatto che negli ultimi anni i teatri della città sono stati tutti messi nelle condizioni di lavorare al meglio. Ritengo che questa sia la prima responsabilità e la principale, soprattutto in tempi nei quali non ci sono più soldi "facili". Nel momento in cui i comuni sono costretti a tagliare e le fondazioni bancarie soffrono per altre ragioni, siamo costretti a ripensare le politiche, sia pubbliche che del terzo settore. Nella Cultura penso che il ripensamento debba andare nella direzione di ampliare la democratizzazione, ossia l’accesso ai servizi culturali. Il patrimonio deve diventare di tutti, non solto dell’élite colta e benestante. Occorre una diffusione più ampia. Il Piccolo Teatro che presiedo dimostra che, anche al tempo delle generazioni digitali, un'esperienza artistico-culturale come il teatro è molto forte e riesce a trascinare anche tanti giovani. Il terreno c'è anche in Sicilia e bisogna fare in modo di svilupparlo, non soltanto in campo teatrale, ma nella lettura, nella diffusione delle arti visive, della musica, eccetera. Quindi credo che oggi come oggi le principali virtù che dovremmo dimostrare nella gestione delle attività culturali siano visione lunga e capacità di democratizzare i consumi culturali.
Lei è a capo del Piccolo Teatro di Milano, un’eccellenza riesce ad avere una sua autonomia gestionale anche in relazione al successo di accesso, al gradimento da parte del pubblico e a molte produzioni che camminano in altri contesti.
Il Piccolo, nato come teatro pubblico è diventato fondazione negli anni successivi. E’ scuola di teatro, il che porta finanziamenti pubblici, ma soprattutto l’attività di formazione di attori che calcano le scene anche in altri teatri ed è nel contempo continua ricerca.
Nelle ultime stagioni abbiamo avuto produzioni come Lehman Trilogy, testo apparentemente complesso (non fosse altro per la durata), che però ha conquistato il pubblico, anche per la poesia del testo di Stefano Massini e la maestria del regista, l’indimenticabile Luca Ronconi, su un tema così pesante come la crisi finanziaria avviata proprio dalla Lehman Brothers. Ha avuto un successo enorme, è stato ripreso nella stagione scorsa e ha iniziato a girare in altri teatri. Lo stesso credo si possa dire per l'Opera Da Tre Soldi: la nuova produzione di quest'anno rammenta e commemora l'anniversario della prima rappresentazione di quell'opera a Milano e che ha avuto una tenitura lunghissima, con un continuo tutto esaurito. La funzione del teatro si manifesta anche nella capacità di offrire prodotti che hanno una lunga durata e che possano essere anche fatti girare. Pensiamo al leggendario spettacolo l'Arlecchino di Servitore di Due Padroni, che è ancora in tournée a Lugano e a Milano e ne conferma la vitalità. E’ molto importante avere produzioni che incontrino il gusto del pubblico, che riescano a girare, ma che nello stesso tempo qualifichino l'immagine culturale dell’istituzione, risultato che quest’anno ci ha portati al risconoscimento dell’autonomia di gestione del Piccolo Teatro, in quanto teatro d'Europa.
Come sta contribuendo a questa visione la riforma Franceschini?
A mio avviso sta muovendo il cambiamento di mentalità all’interno dell'amministrazione pubblica, che ha dovuto prendere atto che obiettivo dei musei non è soltanto di custodire quadri, ma farli vedere. La riforma sta lavorando nella direzione che esprimevo: inventare occasioni di valorizzazione ─ termine che molti non amano, ma al quale non trovo sinonimi -per far vedere, conoscere, capire, apprezzare e anche gioire del patrimonio. Queste importanti riforme hanno inoltre una ricaduta sull’atteggiamento dell’opinione pubblica verso il patrimonio culturale, perché aumenta anche il senso di responsabilità delle persone e il loro desiderio di consumo culturale.
Da nuove strategie e nuove competenze deriva anche una nuova sostenibilità, ovvero se la cultura è diffusa e non elitaria o interstiziale, la sostenibilità economica si trova.
Questa è la scommessa. E credo che in questa direzione vadano alcuni provvedimenti di Franceschini, come l’Art Bonus. Favorire la collaborazione tra pubblico e privato, quest’ultimo considerato ancora da alcuni come il nemico da abbattere, a mio avviso è l'unica strada che si può seguire proprio per cercare non soltanto di reperire delle risorse finanziarie ─ questo è perfino banale ─ ma appunto di coinvolgere l'opinione pubblica e la società civile (a partire anche dalle fondazioni) in un processo di riconsiderazione sociale della cultura.
© Riproduzione riservata