Pistoletto allo specchio
Michelangelo Pistoletto è stato testimone privilegiato di oltre cinque decenni di arte contemporanea. Ha avuto parte in vicende importanti, di rilievo sovranazionale; e in trasformazioni decisive. La sua biografia professionale incrocia la storia di tutti ancora oggi, quando lo vediamo muoversi tra Biella, Roma e Bruxelles come ambasciatore di una personale proposta di rinnovamento sociale, amico e confidente di uomini politici di primo piano, come Giorgio Napolitano.
Il ruolo che Pistoletto si ritaglia è ben più vasto e ambizioso di quello del semplice artista. Giura di non considerarsi «sciamano», ma si muove da predicatore e profeta, su piani molteplici che non è facile tenere assieme. «Sento come se la società umana fosse mia committente, confida, e mi chiedesse di pensare qualcosa per cambiare la situazione». Dovremmo prendere sul serio l’affermazione. Malgrado le smentite, è evidente che tra le motivazioni più profonde della sua stagione tarda sia proprio il tedio dell’«arte contemporanea» e la convinzione che il gioco (quantomeno il gioco che a partire dagli anni Sessanta abbiamo conosciuto) è pressoché finito.
Il titolo della lunga conversazione tra Pistoletto e Elkann, La voce di Pistoletto, rimanda a dimensioni carismatiche e «spirituali ». La produzione di oggetti luccicanti e dispendiosi è oggi secondaria. Porre così grande enfasi sulla propria «voce» non avrebbe senso, da parte dell’artista, se non vi fosse acuta consapevolezza del fallimento della critica che ha preteso di interpretare la neoavanguardia italiana, o quantomeno delle narrazioni che l’hanno accompagnata storicamente. «La parola serve a spiegare quello che non si capisce dell’immagine, aggiunge. Attribuisco grande importanza alla parola perché voglio comunicare cose che devono essere capite e non solo intuite, immaginate o [peggio] fraintese».
Pistoletto sacrifica trasparenza e distacco all’urgenza di adattare miticamente ciò che è stato a un’agenda artistica, politica e sociale successiva. Il racconto si costella di anacronismi inattendibili, omissioni e vanità cui manca un’efficace azione di contrasto da parte dell’intervistatore.
La «Venere degli stracci» diviene un’impegnata opera ambientalista (possiamo ragionevolmente dubitare abbia mai inteso esserlo!) mentre sono innumerevoli gli artisti cui si attribuisce plagio o si impone la propria paternità: Kosuth, Boetti e Koons ad esempio. Mancano i riferimenti al Novecento nazionale e la circostanza sorprende. Pistoletto si propone come difensore ed erede della grande tradizione figurativa italiana: perché dunque tacere sull’importanza (poniamo) di Casorati per l’evoluzione dei Quadri specchianti?
Il passaggio dal narcisismo della testimonianza autobiografica alla storiografia tout court non riesce, e l’amabile loquacità della conversazione si risolve in un rito privato, a tratti autocelebrativo.
Spiace: perché proprio l’insistenza sulle «responsabilità» pubbliche, in senso pedagogico e civile, sembrerebbe suggerire all’«artista» un atteggiamento più severo e controllato.
Le difficoltà di orientamento devono essere state formidabili per un giovane autodidatta con incerte e disparate competenze figurative. Pistoletto stesso rievoca l’apprendistato ondivago e carico di dilemmi. Tutti gli «ismi» sembravano sfidarsi attorno a lui in anni in cui Torino si apriva tumultuosamente e in gran fretta all’intera tradizione delle avanguardie internazionali.
Il suo «talento» è quello di accogliere le differenze all’interno della propria attività, di trasformare la singola opera in una giustapposizione di modi e «maniere», in una «verifica» di tecniche e «stili». Il giovane Pistoletto non produce «immagini», forse non mira neppure a possedere uno «stile»: eclettico e sperimentale, amletico ma senza «dramma», combina «astrazione» e «figura», monocromo e «realismo esistenziale» in ciascun Quadro specchiante. Non aderisce né all’una né all’altra posizione. Compara, riflette e lascia che siano altri a interpretare.
© Riproduzione riservata
La voce di Pistoletto, di Michelangelo Pistoletto
con Alain Elkann, 304
pp., ill., Bompiani, Milano
2013, € 35,00
da Il Giornale dell'Arte numero 333, luglio 2013