MAXXI museo, maxi svolta
Roma. A poco più di un anno dall’apertura incontriamo Pio Baldi, Presidente della Fondazione MAXXI, del quale ha seguito tutta la complessa genesi.
Partiamo dalla scelta del veicolo giuridico: modello di governance, strategia di sostenibilità.
Il museo è una grande opera pubblica realizzata tramite il Ministero per le Infrastrutture e pensata, studiata e allestita, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha anche trovato la gran parte dei finanziamenti. Il MiBAC, che ha sempre guardato al passato, a un certo punto si è reso conto che doveva costruire futuro, quindi promuovere i beni culturali di domani, seppur nelle difficoltà del momento. Difficoltà ampliate in una città come Roma che vive di storia. Ora c’è un museo che non potrà, dati i costi di mantenimento, essere amministrato con soli fondi pubblici, con il Tesoro che ogni anno taglia gli stanziamenti. Deve poter coinvolgere i privati. Va tenuto presente che se un museo rimane interno alla struttura pubblica, come gli Uffizi, Palazzo Barberini o Capodimonte, non può ricevere contributi diretti da privati. Ecco la ragione per la quale scatta la necessità di pensare a una struttura giuridico-amministrativa, la fondazione, che pur restando partecipata prevalentemente dal Ministero, consenta flessibilità, coinvolgimento dei privati e permetta di avvalersi dei fondi raccolti. Abbiamo compreso, non immediatamente, che dovevamo bilanciare produzione e vendita: la produzione di un museo è la cultura che genera in termini di ricerca, mostre, eventi, rappresentazioni, educazione. Il suo core business. La vendita consiste nella raccolta fondi. Il museo deve reggersi in parte con i propri mezzi e in parte con la ricerca di fondi esterni. Quindi, dopo poco tempo, abbiamo creato una struttura organizzativa con questa finalità. Un presidio stabile, di più persone, che funziona bene, con ottime relazioni e che è diventato una parte essenziale del funzionamento del museo.
Una struttura di fundrasing. Con che tipo di professionalità, come vi siete organizzati?
Con professionalità che conoscono il mondo dell'arte contemporanea, ma hanno anche una formazione di tipo economico ed esperienze professionali precedenti in analoghe strutture. Per ottenere adesioni occorre conoscere artisti, collezionisti, altri musei, oltre ad avere competenze economiche. La struttura di fundraising è poliforme. Non serve un economista puro, che non saprebbe a chi rivolgersi, come parlare, che linguaggio usare nei confronti del possibile sostenitore. E’ un’unità che con me, con i Direttori dei Musei di Arte e di Architettura e con il Segretario generale concerta una strategia e si muove su più target di riferimento.
La prima indicazione strategica è che i fondi non si trovano se si ha l'obiettivo di soddisfare le proprie esigenze organizzative, ovvero pagare il personale, una bolletta, finanziare una mostra. Si trovano se si cercano sulla base di quello che il mercato cerca. Occorre un’inversione dell'atteggiamento, formulare proposte che possano interessare all’interlocutore oltre che al museo.
Vedo tre livelli di condivisione con le aziende, dal più semplice al più complesso.
1) l'associazione del brand del museo al brand dell'impresa, con una connotazione di valori. Attraverso l'arte contemporanea si trasmettono capacità di innovazione, propensione al rischio, sperimentazione. L’ulteriore contropartita riguarda ciò che l'istituzione culturale può mettere a disposizione della clientela dell'azienda per operazioni di pubbliche relazioni.
2) Il secondo livello è più intenso: un percorso di partnership. La programmazione delle mostre e degli eventi è parzialmente condivisa con l'azienda, che potrebbe avere degli interessi a partecipare alla gestione del museo. Si riflette, insieme, su un comune obiettivo, il che implica un rapporto dialogico molto forte e una programmazione congiunta. Con l'Eni stiamo lavorando, tramite il MAXXI Architettura, a un progetto di mostra sulla «Stazione di Servizio», la grandiosa invenzione di Enrico Mattei, di circa 50 anni fa. Costi condivisi. Rientra nella struttura delle autostrade ed è un posto di rifornimento, di vendita, una tipologia architettonica. Pensiamo all’innovazione sociale delle stazioni a cavallo dell'autostrada, inventate in Italia, ormai un po' antiche. E’ compito del museo di architettura svolgere ricerche sulle tipologie architettoniche interessanti. Con Eni si organizza un concorso tra architetti per progettare la stazione di servizio del futuro che potrebbe diventare una specie di mall o un punto di attrazione, o consentire l’accesso a un'area archeologica importante o a un parco. Quindi un pezzo di città, che è anche un punto di rifornimento.
3) Un altro livello di cooperazione, più coinvolgente, riguarda l'innovazione su prodotti. Qui entriamo nella logica di museo/laboratorio o museo/fabbrica. Un esempio può essere per noi Alcantara che produce un materiale di rivestimento per arredi. L'impresa vuole fare un salto di gamma e un’estensione d’uso elevando la percezione del prodotto, che non è un mero surrogato della pelle o un prodotto per solo rivestimento. Il MAXXI Architettura ha coinvolto dieci designer di fama che con hanno prodotto con il materiale alcuni oggetti, una nuova ricerca. Quindi Alcantara sperimenta come migliorare il suo prodotto. Una modalità che potrebbe essere estesa ad altre aziende, in una contaminazione tra arti e produzione industriale.
Non c’è più la ricerca della figura del mecenate, dello sponsor, ma una condivisione di obiettivi comuni, su una metodologia: porsi degli obiettivi che stanno nel mercato, comunicare molto bene attraverso tutti i canali, in primis il sito, far capire ciò che fa e il valore che produce il museo. Il rapporto con l'impresa deve essere pluriennale, continuativo e molto stretto. Un percorso comune su obiettivi comuni.
Quali sono le difficoltà che ha affrontato in questo percorso?
La chiarezza di obiettivi e di percorsi che ora abbiamo derivano da errori commessi: abbiamo formulato richieste in modo errato, commettendo errori di comunicazione.
Impresa e cultura sono mondi che diffidano ancora l'uno dell'altro. Un museo nella sua proposta non deve mettere in campo le debolezze, ma la sua forza. La qualità della proposta fa la forza delle istituzioni. Un'istituzione pubblica può farsi accompagnare da soggetti privati solo se l'amministrazione pubblica dimostra tangibilmente che il progetto è rilevante e stabile, con un contributo almeno pari al 50%. Il MAXXI è aperto da poco più di un anno, ma è operativo da quasi due. Ora ci autofinanziamo per il 40-45%. L’obiettivo è arrivare al 55%, non oltre. Il Pubblico deve manifestare la centralità dell’operazione, altrimenti il privato se ne andrà. Perderà fiducia. D'altra parte è il contenuto dell'articolo 9 della nostra Costituzione.
In questo momento la tua fondazione ha dei soci privati stabili?
Sì. I maggiori sono BMW, Telecom, Lottomatica, Infocamere, e come socio pubblico la Regione Lazio.
Sul fronte degli investitori privati, avete fatto un recruiting che vi ha portato a un nocciolo duro di sostenitori. Quale politica seguire e che cosa servirebbe per rendere più agevole e attrattivo il rapporto con i privati, sotto il profilo normativo e fiscale?
Trasparenza assoluta e coinvolgimento. Il privato che finanzia il museo vuole conoscere come i suoi soldi vengono impiegati, magari concordando insieme le modalità, possibilmente in elementi oggettivi, quali l'acquisto di opere d'arte, che si vedono e rimangano. Con «I live MAXXI», abbiamo coinvolto attivamente circa 100 personalità, che contribuiscono economicamente, dando una stabilità di contributo, ma non solo. Sono un funding board, li riuniamo frequentemente, sono organizzati in comitati, partecipano alla programmazione del museo, formulano idee e proposte. Ovviamente ci sono benefit, sconti, pre-preview, visite d’èlite a realtà internazionali. Occorre comunque pensare alla fiscalità di vantaggio, di cui parla il ministro Galan, anche se penso che ora sia difficile.
Come può camminare questa vostra esperienza?
Per ora questa cultura non c'è. Il responsabile dell'istituzione culturale ha una formazione prevalentemente artistica, fondamentale (anche che sia specifica, per esempio, chi dirige un teatro dell'opera deve essere un musicista o un musicologo), ma non sufficiente. Occorre una competenza laterale, manageriale, di attenzione al mercato. Questa consapevolezza è emersa dalla mia esperienza di soprintendente: non ho detto solo sì o no alle richieste di autorizzazione, ma ho cercato di sollecitare proposte, di suscitare crescita, come un manager. Dicendo no si diventa subito importanti, ma occorre rinunciare a questa lusinga e cercare di offrire soluzioni ai problemi. Possiamo fare dei forum, incontri fra direttori di musei o presidenti di fondazioni. Creare discussioni, momenti di confronto.
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