Knowledge Design: sperimentare nuove forme, generi e spazi di conoscenza nel laboratorio delle digital humanities, una lezione di Jeffrey T. Schnapp
La lecture del Prof. Jeffrey T. Schnapp: “Knowledge Design. Incubating new knowledge forms/genres/spaces in the laboratory of the digital humanities” si è tenuta in occasione della conferenza: “(Digital) Humanities Revisited – Challenges and Opportunities in the Digital Age” organizzata all’Herrenhausen Palace (Hannover, Dicembre 2013) come parte di un ciclo di eventi e conferenze, le “Herrenhausen lectures”, promosse dalla Volkswagen Foundation[1] con l’obiettivo di offrire un valido contributo al dibattito accademico sul futuro delle digital humanities. Di recente, il Prof. Schnapp è stato ospite della rassegna What’s next: “La sorte dei saperi nel ventunesimo secolo” primo appuntamento dell’osservatorio organizzato dal Museo Marino Marini (Firenze), nel quale protagonisti internazionali dell’innovazione culturale sono stati invitati a raccontare le loro visioni sul futuro dei musei, della conoscenza e del rapporto tra digitale e mondo della cultura.
Rubrica di ricerca in collaborazione con il Museo Marino Marini
Knowledge Design nell’era delle digital humanities. Si tratta di concetti nuovi, spesso sfumati e passibili di fraintendimenti, come spesso accade con tutte le espressioni che segnano momenti di passaggio. Il termine, così cacofonico in italiano da non venir tradotto, descrive in realtà un incontro estremamente naturale e attuale: quello tra il mondo della cultura e quello delle tecnologie digitali. Fermarsi a questa definizione sarebbe però un errore, perché questo passaggio racconta molto di più della progressiva integrazione del mondo digitale nella nostra quotidianità.
Se è infatti inevitabilmente digitale il modo in cui ci relazioniamo, condividiamo e produciamo contenuti e conoscenza, è altrettanto fondamentale mettere a fuoco come questo nuovo tipo di conoscenza viene progettata, sviluppata e rielaborata.
In questa direzione, sottolinea il Prof. Schnapp, il Knowledge Design diventa un modello sperimentale per le scienze umane, il che significa testare strumenti nuovi per progettare iniziative ad alto tasso partecipativo in una dimensione di profonda cross-disciplinarietà.
Alcune di queste avventure si svolgono proprio nei laboratori fondati da Schnapp ad Harvard e Standford, il metaLAB e lo Stanford Humanities Lab, dove gruppi di designer, storici, esperti di tecnologie e creatività si incontrano alla ricerca di nuove forme e spazi di conoscenza collaborativi e più adatti alla complessità del reale.
In questi laboratori di sperimentazione, avvengono infinite contaminazioni tra il prodotto ed il processo, tra la sfera della ricerca “pura” e il settori della “pratica”.
I nodi centrali per il futuro delle scienze umanistiche individuati da Schnapp nel suo intervento, sono dunque il risultato di anni di sperimentazione e ricerca nel settore che spingono, come prima istanza, ad andare oltre al mero binomio patrimonio – nuove tecnologie, per immaginare nuove forme di relazione, organizzazione e amplificazione della conoscenza.
Si tratta di cinque punti, il primo dei quali riguarda le “storied collections”, ovvero come applicare strategie innovative alla gestione del patrimonio culturale all’interno di musei, librerie e archivi, “istituti della memoria” che spesso faticano a rendere questi materiali vivi e accessibili.
Schnapp evidenzia che il range di opere fruibili dal pubblico varia generalmente dal 5 al 15%, un problema di quantità e scala che viene generalmente affrontato attraverso un’estrema selettività. Le difficoltà non riguardano solo personale, spazi e risorse e non possono essere risolte affidandosi esclusivamente alla digitalizzazione delle opere. L’idea, sottolinea Schnapp, non è mai stata quella di dedicarsi ad una “conservazione totale”, ma individuare il modo in cui dare visibilità e valore ad un corpus di opere in modo da renderlo accessibile e utilizzabile da una data comunità: collezioni presenti, passate e future vivranno o scompariranno in funzione delle persone in grado di renderle vive e significative.
La sfida riguarda dunque la capacità di gestire e interagire in modo critico ed innovativo con le grandi quantità di dati che accompagnano collezioni e opere d’arte per ripensare la loro trasformazione in rappresentazioni e narrazioni di senso. Sono nati così, da queste intuizioni, progetti come Phototrails, che consente attraverso la visualizzazione di milioni di fotografie on line di individuare “cultural patterns around the world”, The New York Talk Exchange, che illustra in tempo reale le informazioni scambiate tra New York e il resto del mondo, o ancora The Whale Hunt, un progetto di human storytelling in Alaska e trans-action: una finestra visuale sulla rapida espansione del mondo dell’arte negli ultimi vent’anni.
Progetti che hanno a loro volta ispirato lo sviluppo della piattaforma “Curarium”, un progetto del metaLAB di Harvard, che consente ai suoi utenti di potenziare la capacità di interagire con grandi database di opere e oggetti offrendo strumenti di elaborazione critica che ampliano la profondità di conoscenza condivisa.
Ma non solo, si tratta anche di porre attenzione alla “vita sociale degli oggetti” (the social lives of things), ovvero la capacità di catturare, classificare e descrivere oggetti tridimensionali non più a livello di dati aggregati ma bensì di elementi individuali parte di una rete di relazioni complesse.
Se la “conoscenza multisensoriale” contenuta in questi oggetti ci consente di utilizzarli come interfacce per esplorare il mondo, molte di queste preziose chiavi di lettura vengono attualmente ridotte a poche righe all’interno di archivi che ci precludono l’accesso al loro vero significato culturale e sociale.
E allora, chiede Schnapp, quali strumenti abbiamo per meglio restituire al mondo questi manufatti? Un tentativo di risposta è il progetto Teaching with things, sempre dell’Harvard metaLAB, che, sebbene ancora in fase embrionale, offrirà un mix di elementi multimediali di altissima qualità che saranno accompagnati da strumenti interpretativi e interattivi in grado di restituire l’oggetto in una dimensione virtuale che lo descriverà all’interno del suo network di relazioni ed in dialogo con il suo corrispettivo reale.
Questo tipo di iniziative si allineano alla necessità di ridefinire nuove strutture di apprendimento (new learning containers), per ripensarne spazi e modelli all’interno del contesto digitale. Il concetto introdotto qui da Schnapp è quello di Cold Spot, un termine che descrive l’idea condivisa che la conoscenza sia prodotta e riprodotta in spazi di solitudine e contemplazione dove entriamo in dialogo con il sapere lontano dalle distrazioni quotidiane. Trovare questi Cold Spot nella nostra società iperconnessa è una delle sfide più grandi, soprattutto considerando la recente e radicale trasformazione dell’architettura della conoscenza basata sul tradizionale “Sistema libreria” (silenzio, archivi, scaffali) pensato per stimolare una certa forma di attenzione, interazione e coinvolgimento. Cosa accade ora che possiamo accedere con il nostro cellullare ad una moltitudine di pubblicazioni mille volte più grande della biblioteca di Alessandria? chiede Schnapp.
La risposta, sembra risiedere nel concetto di Curatela diffusa (ubiquitous curation), che intende il mondo intero come un laboratorio di conoscenza a cielo aperto. Si tratta dunque di sviluppare nuovi strumenti che ci consentano di gestire il potere della natura interconnessa promuovendo una cultura del coinvolgimento e dell’attenzione. Pensiamo ai parchi nelle nostre città, percepiti come luoghi ricreativi e di riposo, cosa cambierebbe se invece di isolarci nel mondo virtuale contenuto nei nostri dispositivi utilizzassimo le nuove tecnologie per relazionarci con ciò che ci circonda attraverso una maggiore attenzione per la conoscenza?
Il digitale, in ultima istanza, riguarda il modo in cui interagiamo con il mondo ampliando le nostre facoltà cognitive e sociali, il modo in cui diamo forma al sapere, ai nostri sogni e desideri. Dotati di tali strumenti, prenderci cura del reale e ripensare alle infinite possibilità di apprendimento e produzione di conoscenza diventa un imperativo categorico, una sfida quotidiana che riguarda ciascuno di noi.
L’autore: Jeffrey T. Schnapp, Professore di Romance Languages & Literature all’Harvard University, membro della facoltà di architettura della Graduate School of Design, direttore del prestigioso metaLAB e co-direttore del Berkman Center for Internet and Society è stato fondatore dello Stanford Humanities Lab nel 1999. Una carriera accademica che spazia dallo studio del mondo antico al design, dalle digital arts alle pratiche curatoriali, Schnapp conta tra le sue pubblicazioni più recenti: “The Electric Information Age Book”, “Modernitalia”, una collezione di saggi su letteratura, design e architettura italiana del ventesimo secolo e “Digital_Humanities” un viaggio nel futuro delle librerie nel mondo digitale.
Dettagli
“(Digital) Humanities Revisited – Challenges and Opportunities in the Digital Age”,
December 5 – 7, 2013, Herrenhausen Lectures
© Jeffrey T. Schnapp and VolkswagenStiftung, Hannover 2014
VolkswagenStiftung Kastanienallee 35
30519 Hannover, Germany
Communication: Jens Rehländer
Editing and Coordination: Beate Reinhold
Typesetting and Layout: Das Herstellungsbüro, Hamburg
Printing: Rasch Druckerei und Verlag, Bramsche
www.volkswagenstiftung.de/digitalhumanities
Lecture Knowledge Design. Incubating new knowledge forms/genres/spaces in the laboratory of the digital humanities
Conferenza: “(Digital) Humanities Revisited – Challenges and Opportunities in the Digital Age”
[1] La Volkswagen Foundation (VolkswagenStiftung) è il primo ente privato Tedesco in termini di finanziamento alla ricerca e una delle maggiori fondazioni del paese. Con un capitale che ammonta a 3,1 milioni di euro, a partire dal 1962, la Fondazione ha distribuito più di 4.7 milioni di euro sostenendo oltre 30,000 progetti.