Cultura e lavoro in Europa: tra luci e ombre ecco i numeri
Il 2018 sarà l'Anno europeo del patrimonio culturale, ma qual è oggi lo stato di salute della “Cultura Europea” secondo la prospettiva occupazionale? Con 6,3 milioni di persone, in circa 6,5 milinoni di posti di lavoro “culturali” nell'EU (quasi il 3% dell'occupazione totale) l'Eurostat ci fornisce luci e ombre di un settore che diventa sempre più una risorsa comunitaria strategica
Andando oltre la “auspicata” cooperazione comunitaria nei settori culturali e creativi promossa dalla Commissione in occasione dell'ufficializzazione del 2018 quale anno europeo del patrimonio, ed ai suoi richiami alla costituzione di approcci sinergici tra comunità ed istituzioni per generare e distribuire risorse e valore aggiunto culturale attraverso il vecchio continente, qual è lo stato di salute della “Cultura Europea” secondo la prospettiva statistica occupazionale e del lavoro?
A questo proposito l'Eurostat, con la sua terza edizione della pubblicazione Culture Statistics, ci fornisce i numeri del settore. Lo studio, che analizza lo stato dell'occupazione nel settore culturale dell'UE-28 (pre brexit) degli ultimi anni, si propone di fornire una panoramica del lavoro nella filiera culturale, confrontandolo con l'occupazione totale europea. I dati sull'occupazione culturale che ritroviamo nell'analisi presentata qui sono derivati dal più ampio studio effettuato sulla forza lavoro europea (IFL - Glossary: Labour force survey ) riguardante la “popolazione attiva” europea degli ultimi 15 anni.
Queste statistiche, ottenute utilizzando la metodologia proposta nel rapporto finale ESSnet-Culture (2012) [ pdf ], riguardano i settori economici e l'occupazione della filiera culturale, e si riferiscono ad attività quali quelle “creative, artistiche, teatrali, sinfoniche e d'intrattenimento”, o “bibliotecarie, archivistiche, museali”; oppure a quelle attività culturali come “la programmazione e le attività di radiodiffusione, cinematografica, di video e di programmi televisivi o web”, o a quelle “di produzione, di registrazioni musicali e sonore” fino alle “attività di progettazione specializzati come il settore dei videogame”.
Sulla base di questa ampissima definizione di “occupazione culturale”, l'Eurostat certifica che (nel 2015) circa 6,5 milioni di persone nell'UE-28 sono state impiegate nel “settore culturale", vale a dire il 2,9% del numero totale delle persone occupate (Figura 1 e 2).
Numeri notevoli ed in continuo amumento (Tabella 1): sempre su scala europea, nel 2015 si sono registrati 410.000 “occupati culturali” in più (+7%) rispetto al 2011, con un tasso medio annuo di crescita (AAGR) del +1,7% (Tabella 2). Il leggero aumento è stato osservato anche in termini relativi: l'occupazione culturale come percentuale del totale è passata dal 2,8% nel 2011 al 2,9% nel 2015.
La percentuale occupazionale nei singoli Paesi Membri, nel 2015, varia dal 1,2% in Romania al 4,4% in Lussemburgo (Figura 1 e Tabella 1). La quota è risultata sopra il 3,5% in Danimarca, Estonia, Paesi Bassi, Finlandia, Svezia e Regno Unito (dati pre Brexit). E l'Italia? Con 2,7% si attesta nella media UE assieme a Cipro.
L'evoluzione del “peso” dell'occupazione culturale rispetto l'occupazione totale, poi, tra il 2011 e il 2015 ha dimostrato alcune oscillazioni nel confronto tra tra gli Stati Membri: mentre su scala continentale l'indicatore è leggermente aumentato o, in generale è risultato stabile, c'è stata una leggera flessione in quattro paesi, due dei quali dall'economia definita “trainante”: Germania, Francia, Ungheria e Finlandia (Tabella 1).
Dal punto di vista economico, è interessante osservare i dati in materia di occupazione dopo il 2008, l'anno della crisi finanziaria: il lavoro culturale ha mostrato una certa resistenza alla crisi (Figura 2 e Tabella 2). Dal 2008 al 2010, il numero di posti nel settore sono aumentati con una media annua del 0,4%. Un dato che, anche se modesto, rappresenta una buona prestazione rispetto al totale degli occupati, per il quale il tasso di crescita medio annuo, nello stesso periodo, è stato negativo (-1,5%). In altre parole, nonostante la crisi, l'occupazione culturale UE (in milioni di persone ed in percentuale dell'occupazione totale) è in aumento costante, con un andamento occupazionale che, tra 2011 il 2015, è arrivato al +2,6% per l'occupazione culturale, rispetto al +1,2% per l'occupazione totale.
In questo quadro dalle molte luci però, sfortunatamente, non mancano le ombre; due su tutte: lavoro femminile e giovani.
Nonostante la partecipazione femminile al mercato del lavoro sia una delle preoccupazioni della Commissione Europea, costantemente impegnata a promuovere la parità tra uomini e donne, gli uomini hanno continuato a rappresentare una quota maggiore del mercato del lavoro totale dell'Unione con il 54% nel 2015 (Figura 3). Ed anche nell'occupazione culturale il dato dell'occupazione maschile è stato superiore a quello delle donne, col 53%, rispecchiando il rapporto globale.
E se è vero che le donne sono in una leggera maggioranza nei settori culturali in 12 Stati membri dell'UE, in cui la loro “quota” nell'occupazione si attesta a oltre il 65% (ad esempio nei paesi baltici, dove uomini e donne sono ugualmente rappresentati nell'occupazione totale), in Grecia e in Italia, le quote “rosa” nel mercato del lavoro totale si attestano solo tra il 45% e il 44%, ed il divario di genere nei settori culturali aumenta ulteriormente, relegando il lavoro femminile ad un risicato 42%.
A questo dato, già di per se molto significativo, ne va aggiunto un altro: la quota dei giovani nel mondo del lavoro culturale è scesa nella maggior parte dei paesi dell'Unione Europea.
Su scala continentale, per ciò che riguarda gli occupati nel mondo del lavoro culturale nella fascia d'età 15-29 anni, si è rilevato un calo del 3% (dal 21% del 2011 al 18% del 2015) - (Figura 5). La crisi economica e finanziaria che ha colpito l'Europa nel 2008 potrebbe spiegare questo calo, gicchè, in barba a tutti i più volenterosi proclami, sfortunatamente, le statistiche indicano proprio nei più giovani i primi gruppi a soffrire sul mercato del lavoro in una fase di recessione. Nonostante questo, però, nell'UE-28 del 2015, 1,2 milioni di persone di età compresa tra 15 e 29 anni stava lavorando nel settore della cultura, rappresentando il 18% di tutti i posti di lavoro nel campo culturale (Figura 4).
Infine è nel confronto tra gli Stati membri, che la sproporzione dei dati occupazionali dei giovani nel mondo del lavoro culturale è palese: si va dal 31% a Malta al 12% in Italia, triste fanalino di coda con ben 6 punti percentuali al di sotto della media UE-28.
La “cultura europea”, quindi, potrebbe davvero considerarsi un “asset” per l'Europa? I numeri ci dicono di si, ma c'è ancora molta strada da fare. Perchè i numeri sono solo numeri, e se non correttamente interpretati, in un momento storico così ingordo di voti, classifiche e vincitori, possono facilmente divenire uno sterile esercizio di stile dagli effetti distorsivi. Perchè dietro i percentili si celano persone e questi numeri ce le raccontano. Una narrazione cruda che ci consegna lo spaccato non solo di un sistema culturale europeo ancora acerbo, dalle grandi potenzialità quasi inespresse, ma anche di un intero continente e del suo sistema occupazionale in cui permangono ancora troppi defict strutturali, molti dei quali ereditati dalle singole nazioni; caratterizzato da strategie non integrate, da discrepanze occupazionali generazionali e di genere, e da una frammentazione gestionale diffusa che ne appesantiscono la spinta com-unitaria propulsiva, di coesione e sviluppo, sia sociale che economica.
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Massimiliano Zane è Progettista Culturale, consulente strategico per lo sviluppo e la valorizzazione del patrimonio.
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