Benefit italiane. Quando il profitto dialoga con l’impatto sociale
L’Italia è all’avanguardia con le Società Benefit. La Legge di stabilità le ha introdotte nel nostro ordinamento, con provvidenziali implicazioni ed innovazioni sul piano socioculturale. Le Bcorp volontariamente rispettano i più alti standard di scopo, responsabilità e trasparenza, andando oltre l’obiettivo del profitto e innovano per massimizzare il loro impatto positivo verso i dipendenti, le comunità in cui operano e l’ambiente, con una visione di medio-lungo termine. Sono una “comunità”, un movimento in rapida crescita a livello globale -1800 in 50 Paesi (250 in Europa e circa 30 nel nostro paese, in settori molto diversi) - e l’Italia, primo paese in Europa, le disciplina. Il giurista Francesco Florian chiarisce il rivoluzionario quadro normativo
L’art. Art. 1 dal comma 376 al comma 384 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato) ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto delle Società Benefit. Al di là di sicure e per certi versi provvidenziali implicazioni ed innovazioni sul piano socioculturale, è bene fin da subito sottolineare come questi istituti siano società vere e proprie, di persone o di capitali, e non siano assimilabili, sotto il profilo giuridico, alle cooperative, nelle loro diverse declinazioni, né ai consorzi né all’impresa sociale né alle diverse manifestazioni della responsabilità sociale d’impresa.
Il testo legislativo è chiaro: le «società benefit» sono quelle società che nell'esercizio di una attività economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse. Non solo. Le predette finalità sono indicate specificatamente nell'oggetto sociale della società benefit e sono perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento con l'interesse dei soci e con l'interesse di coloro sui quali l'attività sociale possa avere un impatto. Le finalità possono essere perseguite da ciascuna delle società di cui al libro V, titoli V e VI, del codice civile, nel rispetto della relativa disciplina.
In sintesi i punti salienti possono essere così descritti:
- La società benefit esercita una attività economica che, così come delineata nel contratto di società (art. 2247 cc: “con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di un'attività economica allo scopo di dividerne gli utili”), è tesa alla produzione ed alla distribuzione dell’utile ai soci: si tratta quindi di attività economica commerciale. Ciò è confermato dallo stesso tenore della norma che, nel delineare tale tipo di società, testualmente recita”…..oltre allo scopo di dividerne gli utili”.
- Nell’esercizio dell’ attività sociale, detti enti perseguono uno o più finalità di beneficio comune (segue l’indicazione dei settori di beneficio comune). Con il che resta dimostrato che la finalità di beneficio comune può essere non essere “unica ma molteplice” e cioè consistente in una o più linee di azione.
- La/le finalità di beneficio comune devono essere specificatamente indicate nell’oggetto sociale che , assieme alla attività tesa a “produrre una divisione dell’utile”, concorre a definire l’azione della società. Finalità di beneficio comune, quindi, concreta, imprenditoriale, economicamente organizzata e non frutto un una generica folgorazione sulla via di Damasco da parte dell’imprenditore.
- Il perseguimento delle finalità benefit deve essere reale, al pari delle finalità altre (e non semplicemente dichiarato) e tale realità è dimostrata da altro requisito che prevede la legge: il perseguimento della finalità benefit, lungi dallo scartare lo scopo di lucro, deve tendere ad un bilanciamento tra lucro soggettivo e vantaggio collettivo.
La legge poi al comma 379 disciplina la procedura da applicarsi a quelle società che, già esistenti un forma di società commerciale pura (ma su questo concetto dovremo nei prossimi mesi interrogarci), vogliano perseguire specifici finalità d’interesse comune: e ciò avviene mediante una modifica statutaria attinente all’attività sociale e coerente con il tipo societario1.
Tutto questo potrebbe risultare una dichiarazione d’intenti se non vi fosse il comma 380 a rendere effettivo il “profilo benefit” con una previsione che ribadisce lo scopo di lucro e individua la necessità di uno o più soggetti responsabili cui affidare compiti volti al perseguimento delle finalità benefit. Il tutto sotto la direzione ed amministrazione degli organi della società, con il che la predisposizione di un comparto di controllo ed attuazione della finalità benefit è un obbligo degli amministratori, deputati al perseguimento dell’oggetto sociale che, giova sottolineare, è un unicum , una sintesi tra nonbenefit e benefit2.
Prosegue poi il testo di legge con previsioni attinenti a standard di valutazione, allegati alla stessa legge, il cui commento spetta ad altri ben più preparati di me in quanto attinenti a profili economico/amministrativi/contabili/organizzativi3.
Delineato per sommi capi il quadro normativo di riferimento, occorre condurre alcuni riflessioni, talune certe altre di prospettiva.
Lo statuto di una società benefit è quello di una srl o di una spa o di una snc. Nulla di più, ma anche nulla di meno. Quale potrebbe essere una implicazione economico finanziaria di tale dato oggettivo? La Società benefit sta sul mercato e accede a tutte le modalità di finanziamento del capitale con forme di remunerazione per gli investitori uguali a quelle di società che benefit non sono. Un imprenditore sociale/culturale, quindi, anche sotto un profilo strettamente finanziario, potrebbe rivolgersi ad investitori tradizionali i quali avrebbero un rendimento del loro impegno economico non inferiore a quello che conseguirebbero nel caso di una impresa commerciale tout court. Pari dignità, quindi, e tutto dipende dal progetto produttivo .
Poiché, si è già detto, la società benefit è una società a tutti gli effetti, nel caso sia una società di capitali, porrei attenzione a due aspetti: a) la possibilità di prevedere nel caso di srl benefit particolari diritti amministrativi e/o patrimoniali del socio, magari attinenti proprio al perseguimento della finalità benefit; b) nel caso di spa, la possibilità di usufruire della previsione codicistica del finanziamenti dedicati e/o patrimoni destinati, magari per la realizzazione del progetto benefit.
Una società può anche “diventare benefit”: lo consente la stessa legge. Sul punto però occorre tenere a mente che la modificazione dell’oggetto sociale (rectius: attività sociale) fa sorgere, a determinate condizioni disciplinate dal codice civile, il diritto di recesso da parte del socio. Tale dinamica, nel caso in cui una società voglia accedere alla qualificazione benefit, deve essere tenuta ben presente onde evitare, nello slancio decisionale, di provocare una emorragia sociale interna o contenziosi paralizzanti l’attività.
A ben vedere, poi, tale tipo di società ben si adatta a tutte quelle società strumentali di fondazioni ed associazioni. In realtà, la nascita di questi enti collegati e controllati da Fondazioni/associazioni difficilmente ha avuto come finalità la distribuzione dell’utile, pur rappresentando in taluni casi anche una linea di finanziamento: a leggere gli statuti di srl strumentali di enti non profit è facile riscontrare una finalità e struttura simile a quella che ora il legislatore ha previsto. Verrebbe da dire che tutta una serie di società strumentali possano avere, d’ora innanzi, una qualificazione più coerente nella forma e struttura di società benefit.
Un aspetto che ci impegnerà prossimamente sarà sicuramente quello attinente all’ente certificatore della società benefit di cui la legge definisce i “principi generali”. Ente che ha caratteristiche trasversali a società di revisione, controllo di qualità, derivanti dalla legge 231, e così via e che è ancora diverso dalle Authority centrali e che sicuramente non potrà essere declinato in chiave sanzionatoria. Detto ente, infatti, dovrà avere di riferimento gli standard di cui all’allegato 5 della legge4, cui attenersi, con necessario ed inevitabile impianto multidisciplinare, che incroci il più possibile in maniera asettica professionalità ed esperienze, anche e soprattutto in relazione ai settori di attività della società benefit. Ma su questo tema avremo modo di ragionare.
In sintesi, l’assetto della società benefit è quello del tipo sociale prescelto ed il codice civile fornisce diverse opportunità, se ben lette ed incrociate. Sotto il profilo redazionale, sia in sede di costituzione sia in sede di modificazione statutaria, è l’attività sociale che comprende quella benefit a dover essere soppesata, sapendo e comprendendo che si potrà/dovrà ragionare in termini di benefit/non benefit e non di profit/nonprofit.
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